"Perché anche le parole sono nomadi" (F. De André)
All'ultima rituale adunata leghista di Pontida dello scorso 1°
giugno, una delle magliette più vendute pare sia stata quella
con la scritta "Caucasico, europeo, cristiano, eterosessuale". Dando
per scontato il significato delle altre definizioni, può essere
interessante soffermarsi su quel "caucasico" che ci riporta
direttamente a certi studi antropologici degli anni trenta.
Da qualsiasi dizionario si può apprendere che tale parola, come
aggettivo o sostantivo, può riferirsi a tre significati: a) "del
Caucaso", nativo o abitante di; b) antropologicamente "europoide"; c)
relativo al gruppo di lingue non indoeuropee parlate nella regione del
Caucaso.
Nessuna delle tre accezioni appare quindi sensatamente rivendicabile
dagli aderenti della Lega Nord che la esibivano orgogliosamente come se
fosse un carattere distintivo della loro stirpe. Infatti anche volendo
far corrispondere una presunta "razza caucasica" con il cosiddetto
ceppo indoeuropeo, generalmente di carnagione chiara, va ricordato che
questo si espanse dalla regione di origine nella zona tra l'India e il
Caucaso a est verso l'India fino alle zone più occidentali della
Cina e forse anche nelle isole settentrionali del Giappone, a nord
verso la Russia e la Scandinavia e da qui verso ovest in Europa e a sud
verso la Turchia e il Nord Africa.
Per cui, di conseguenza, un padano può definirsi di origine
caucasica esattamente come può farlo pure un cinese, un turco,
un magrebino, un albanese o un rom.
Evidentemente, nel distorto immaginario leghista, quel "caucasico"
vuole soltanto alludere al colore bianco della pelle, anche se forse
sarebbe più opportuno dire "non nero", dato che le
tonalità della pelle di un indiano, di un cinese o di un
italiano non sono chiare come quelle di uno svedese.
D'altra parte, un'espressione più esplicita a favore della
"razza bianca" sarebbe suonata come troppo sgradevolmente suprematista.
Detto questo, ci troviamo davanti, oltre che ad uno dei tanti paradossi
del razzismo, ad un vero cortocircuito della discriminazione
anti-gitana portata avanti con particolare livore dalla Lega Nord nei
confronti dei campi nomadi, veri o presunti.
Tale campagna va avanti ormai da anni, cavalcando il facile pregiudizio
anti-gitano; basti ricordare l'infame quanto falsa notizia diffusa una
decina di anni fa proprio dalla Lega Nord e dai fascisti attorno ad una
sovvenzione statale di 35.000 lire a favore di ogni "zingaro".
Fu in particolare a Firenze che, nello stesso periodo, la Lega Nord
fomentò la lotta contro "la zingarizzazione selvaggia della
città", contestando assieme ai fascisti l'assegnazione di alcune
case popolari ai Rom.
Dopo i pogrom di Milano, Pavia e Napoli di questi mesi, l'ultima
occasione per seminare intolleranza si è presentata a Mestre,
nella frazione di Favaro Veneto, contro la sistemazione abitativa in
via Vallenari di 45 nuclei familiari di origine Sinti che da decenni
stazionano in roulotte e prefabbricati nella stessa strada. La
soluzione decisa e finanziata dal Comune prevede la costruzione di un
complesso destinato ad accogliere decentemente circa centosessanta
persone, di cittadinanza italiana a tutti gli effetti (uno di loro, in
un'intervista, ha ricordato pure di aver assolto al servizio militare
facendo il bersagliere a Pordenone!) che risiedono a Mestre da
quarant'anni, guadagnandosi da vivere regolarmente, soprattutto con la
raccolta e la vendita del ferro vecchio. Nessuno di loro usufruisce di
alcuna assistenza sociale, nemmeno del minimo vitale, eppure tutti i
bambini vanno regolarmente a scuola.
Persino il questore Nardone, che certo non è un uomo di
sinistra, ha escluso che la comunità Sinti rappresenti
un'emergenza, tanto che le stesse forze dell'ordine non segnalano
particolari episodi di criminalità; ma la Lega Nord ha
provocatoriamente mobilitato i suoi militanti a livello provinciale,
chiamando pure rinforzi da Treviso, per imbastire una protesta "di
partito" che ha visto un minimo coinvolgimento degli abitanti della
zona.
Persino i rappresentanti di Forza Italia e Udc si sono lamentati
perché la Lega ha monopolizzato la scena, pur essendo anch'essi
contrari al progetto in polemica col sindaco Cacciari che certo non
può essere accusato di "buonismo"; basti ricordare il suo
recente divieto contro chi chiede l'elemosina a Venezia o lo sgombero
ordinato nel settembre 1999 di 170 profughi di guerra rom dal campo di
S. Giuliano.
Considerata la "non pericolosità sociale" dei Sinti di Favaro
anche dal punto di vista più legalitario, quale altra ragione
può quindi esserci dietro simile accanimento se non il razzismo?
Sintomatici alcuni cartelli agitati dai leghisti come, ad esempio, "No
al campo nomadi" quando, con tutta evidenza, a Favaro non è
previsto alcun campo e, soprattutto, non ci sono nomadi.
L'evidenza della malafede si sposa peraltro con il clima imperante e,
soprattutto, con le fortune elettorali costruite dalla Lega Nord sul
razzismo e la xenofobia, a spese in primo luogo proprio delle minoranze
rom e sinti che in Italia assommano appena a 150 mila presenze.
Anche sul piano amministrativo e istituzionale la Lega sta perseguendo
lo stesso fine discriminante, come dimostra la recente presa di
posizione che, tramite il presidente della commissione Cultura del
consiglio regionale veneto, il leghista Daniele Stival, ha proposto
l'abrogazione della legge regionale n. 54 del 1989 "sugli interventi a
tutela della cultura rom e sinti", con l'immediato appoggio di Forza
Italia e dell'assessore alla sicurezza e ai flussi migratori (si noti
l'accostamento delle due materie) Massimo Giorgetti di Alleanza
Nazionale.
Ancora una volta, così, i Rom e i Sinti si confermano il primo e
più facile obiettivo delle politiche discriminatorie, nonostante
che per gli stessi razzisti sia difficile sostenere la loro
diversità, tanto più che molti rom hanno capelli biondi
ed occhi azzurri. Anche i nazisti si trovarono in difficoltà nel
motivare biologicamente la persecuzione e lo sterminio degli "zingari"
che, per le loro origini indo-europee avrebbero dovuto essere
considerati anch'essi ariani e quindi lasciati in pace.
Allora, il Centro di ricerche scientifiche sull'eredità,
istituito nel 1936 dal regime nazista e diretto dal dott. Robert
Ritter, fornì la motivazione necessaria. Pur riconoscendo loro
"coscienza di razza e forza e sentimento di appartenenza", non
esistevano più, secondo Ritter, zingari puri e la stragrande
maggioranza di essi era meticcia, risultato di "un miscuglio creato dai
rapporti degli zingari con gli elementi deteriori di popoli e razze
diverse dell'Asia sudoccidentale e dell'Europa sudorientale". Per
questa ragione, dopo averli definiti "sottouomini", Ritter
suggerì la loro sterilizzazione forzata, onde "impedire
l'ulteriore propagarsi di generazioni asociali e criminali"; ma presto
dalla sterilizzazione si passò all'internamento nei lager e
all'eliminazione, nonostante persino Himmler avesse vagheggiato la
deportazione dei "sinti puri" in una sorta di riserva.
Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se, prossimamente, qualcuno dei
numerosi esponenti leghisti con un passato nella destra filonazista
giungesse a teorizzare in modo analogo che Rom e Sinti non sono
abbastanza caucasici per essere umani.
emmerre