Venerdì 6 giugno un corteo ha attraversato la città
per esigere la chiusura della ferriera di Servola, un impianto
siderurgico fortemente inquinante posto in una zona altamente popolata
e urbanizzata. La manifestazione era stata organizzata dai comitati di
quartiere contro la ferriera, con un percorso politico poco limpido e
molto problematico. Infatti era stata accolta l'adesione anche di
alcuni leghisti e dell'Italia dei Valori, ma in piazza non si sono
viste bandiere né degli uni né degli altri, mentre le
persone presenti (quasi tutte abitanti nel quartiere in cui si trova
l'impianto) erano esplicitamente stufe dei giochetti politici e tutti
gli striscioni, i cartelli e i volantini erano rivolti sia contro la
vecchia amministrazione regionale di centrosinistra sia contro la nuova
di centrodestra, passando per la provincia e il comune. Per questi
motivi i compagni e le compagne del gruppo Germinal hanno deciso
comunque di scendere in piazza, portando solo le bandiere no tav e uno
striscione con la scritta "NO TAV giù le mai dal Carso" in
italiano e sloveno. Il Carso è la zona verde e boschiva intorno
a Trieste, che secondo il progetto tavista dovrebbe venire traforata e
devastata irreparabilmente. Un volantino distribuito a manifestanti e
passanti riportava i danni ecologici e sociali provocati da tav e
nucleare, due progetti collegati dalla devastazione per tutti e dal
guadagno per i soliti noti.
Il corteo, composto da meno di 300 persone, tra cui anche uno spezzone
dei disobbedienti locali e uno dei Grillo boys, ha attraversato il
centro fermandosi davanti al consiglio regionale e poi davanti alla
piazza di fronte alla stazione (uno dei pochissimi luoghi cittadini
dove ancora sopravvive qualche albero) per far sentire la propria voce
contro un progetto di "riqualificazione" che prevede il taglio di
alberi ultracentenari per allargare ulteriormente la strada.
Infine gli organizzatori avevano predisposto un collegamento con Beppe
Grillo, ma a quel punto i compagni avevano già chiuso bandiere e
striscione, visto che del grillo parlante potevano fare anche a meno.
In ogni caso anche lui è stato contestato e strombazzato, quando
ha detto che è necessario collaborare con le istituzioni…
Raffaele Viezzi
Per due sabati di fila, Pisa ha vissuto dei momenti di intensa
mobilitazione sociale. Dopo l'insperato successo di Canapisa, la street
parade antiproibizionista che dal 2001 si tiene sulle rive dell'Arno e
che il 31 maggio ha portato in piazza almeno 1500-2000 persone, sabato
7 giugno c'è stata la grande manifestazione in difesa di
Rebeldia.
Rebeldia è nata nel maggio 2003 quando un gruppo di (allora)
Disobbedienti occuparono l'ex Nettezza Urbana. La prima Rebeldia venne
sgomberata dopo neanche due mesi (con una serie di strascichi
giudiziari che ancora oggi vedono decine di persone sotto processo), ma
Rebeldia continuò ad esistere, "trasferendosi" dapprima in via
Diotisalvi e poi in via Battisti (dove ha sede attualmente) e
trasformandosi nel Progetto Rebeldia. Il Progetto Rebeldia è
formato da 27 tra gruppi, associazioni e comitati impegnati su diversi
fronti della liberazione sociale (dall'antirazzismo agli hacker, dalla
Ciclofficina al consumo critico, dall'antiproibizionismo alle inchieste
autogestite sul mondo del lavoro, dallo sport alle compagnie teatrali e
alle band musicali) che gestiscono collettivamente lo spazio di via
Battisti, pur mantenendo ognuna la propria totale autonomia.
Il primo maggio, poco dopo essere "entrati" nel Bastione Sangallo
(un'area del Giardino Scotto che da anni il Comune di Pisa lascia nella
sporcizia e nel degrado e che era già stata teatro di un'azione
di guerrilla gardening il 16 marzo), gli attivisti del Progetto
Rebeldia avevano avuto la sgradevole sorpresa sui giornali del mattino
che il neoeletto sindaco piddino di Pisa ha sintetizzato in
un'intervista il suo programma in via i mendicanti – via i rom e via
Rebeldia. Filippeschi aveva detto infatti che la sua prima "grande
opera" sarà l'inutilissimo parcheggio degli autobus – sarebbe il
secondo costruito in pochi anni… - in via Battisti, proprio dove ora
c'è Rebeldia. Le minacce del Comune hanno moltiplicato le
energie dei nostri che proprio nel corso della festa popolare tenuta
allo Scotto hanno lanciato la manifestazione del 7 giugno in difesa di
Rebeldia.
Sabato scorso così le strade pisane sono state percorse da
diverse migliaia di persone – almeno 3mila secondo le valutazioni
più pessimistiche - provenienti dalla Toscana e dalle regioni
limitrofe (ma c'è stato anche qualche coraggioso venuto
direttamente dalla Sicilia...). In testa al corteo c'era il Progetto
Rebeldia, con una fortissima presenza di migranti, poi gli altri centri
sociali pisani e toscani, gli antagonisti e il Comitato No Offshore, i
sindacati di base, i veteromarxisti e un'infinità di persone
"sparse". Probabilmente c'erano anche i partiti della sinistra
ex-parlamentare, ma non se n'è accorto nessuno... Molto visibile
al contrario la presenza degli anarchici, con le bandiere rosso-nere e
i distributori di UN e del foglio anarchico toscano Kronstadt che
spuntavano da ogni angolo. Dopo aver percorso le strade del cittadino,
il corteo è terminato in Piazza Carrara dove la giornata
è finita con un intensissimo concerto dei sempre grandi Assalti
Frontali.
È stata una bellissima manifestazione come in città non
se ne vedevano dai tempi della mobilitazione contro l'intervento
militare in Iraq, che ha riempito di speranza di speranza ed emozione
tutti i partecipanti. "La vera rinascita pisana", come ha detto
qualcuno dal camion mentre gli arrampicatori di Equilibri Precari (che
a Rebeldia gestiscono la parte d'arrampicata indoor più grande
di tutta la Toscana) stendevano un enorme striscione sul Palazzo
Comunale. Abbiamo scoperto tutti di non essere soli: per i piddini e i
loro lacché sarà dura disfarsi di Rebeldia.
Robertino
Critical mass: un'idea semplice per ottenere subito. In città
mancano gli spazi per le biciclette? non si respira? le macchine
impongono il loro ritmo sulle relazioni umane? Ci si dà
appuntamento in bici, e ci si riprende quello che si può. E
quando l'appuntamento é interplanetario come per la quinta
ciemmona si può un bel po'. Il 31 maggio, come ogni ultimo
venerdì del mese ritrovo a Piazza Ostiense alle 18 (o giù
di lì) ma stavolta moltissimi vengono da fuori città: da
tutto il mondo. E con mezzi autocostruiti di ogni tipo, dalle bici a
tre piani a quelle guidate da sdraiati, fino al risciò di
percussioni e a due ciclomezzi per autoprodurre piste ciclabili! Dopo
ampio giro lungo Tevere e nelle vie centrali la compagnia passa per
molte periferie, dove forse é ancora più forte l'impatto;
le facce in strada e alle finestre fanno capire che il segno lasciato
é forte. E se non mancano gli automobilisti che si lasciano
andare ai gesti irascibili tipici della categoria, non sono che il
segno di chi non capisce l'evidente, e fanno apprezzare di più i
tanti che invece, pur bloccati, apprezzano di cuore la novità.
È già col buio che si arriva agli ampi spazi del LOA
Acrobax, dove la festa procede a piedi. Una stima sulle presenze della
giornata è di quasi mille persone. Sono invece più di
tremila nella massa critica di sabato. L'appuntamento é in
piazza san Giovanni, e da là viene presto imboccata la
tangenziale, percorsa per molti chilometri, gremiti di casoni che per
una volta là sopra vedono e sentono del bello. Più tardi
un ampio passaggio in centro e la festa prosegue fino a tardi a villa
Borghese. Domenica e lunedì sono dedicate a creare la
possibilità del mare in bici. Da piazza Ostiense la massa si
sposta lungo la superstrada di via Colombo, guadagna il mare e apre uno
spazio liberato per tutta la notte. E la mattina dopo il ritorno a Roma
é possibile insieme all'allegra massa. Ancora una volta non
servono autorizzazioni per creare l'impensabile! Certo, non sto
scrivendo da un mondo libero, l'immensa massa di biciclette non
é stata massa critica sufficiente a far implodere le stantie
contraddizioni di questo mondo. Ma veniva da pensare "ti ricordi quando
le città erano assediate da puzzolenti e pericolose scatolone
con le ruote?"... ti senti già in un mondo nuovo a ripensare
all'assurdo passato. E partecipare alla costruzione di un nuovo mondo
é contagioso... non rimane che trovare altri modi.
Capaburla
Nel tardo pomeriggio del 6 giugno a Caselle alcuni antimilitaristi
anarchici hanno detto la loro sull'arredo urbano di una rotonda
piazzata all'ingresso del paese, di fronte ad un noto supermercato
della zona.
Ormai da tre anni in centro alla rotonda è stata piazzata una
freccia tricolore della Fiat, uno di quei "giocattoli" che vengono
usati durante le parate per rendere bello lo spettacolo della guerra. I
velivoli sfrecciano nel cielo segnandolo con lunghe scie tricolori: le
acrobazie tengono col fiato sospeso e tentano di accendere il
sentimento patriottico di chi assiste. Funamboli con un fiocco
tricolore per la propaganda di guerra, per esaltare il mestiere delle
armi, quello dell'assassino di professione, il militare, pagato per
seminare la morte, per fare strage e distruzione. Un'orrenda ipocrisia,
come quella di chiamare la guerra "pace" e gli interventi come quello
in Afganistan "missioni umanitarie".
La rotonda di Caselle è stata finanziata dal Penny Market, che
si trova di fronte, e dall'Alenia, fabbrica d'armi che proprio a
Caselle ha un suo stabilimento, e dove gli aerei militari vengono
collaudati.
Numerosi manichini sono stati collocati sotto l'aereo, in ricordo delle
vittime delle guerre e di chi sulla guerra lucra, come i fabbricanti
d'armi.
All'aereo sono stati appesi due striscioni "No a tutti gli eserciti" e
"Alenia fabbrica guerre". Fumogeni colorati hanno inaugurato la nuova
rotonda, trasformata in luogo antimilitarista dove si ricordano le
vittime di tutte le guerre, di tutti gli eserciti.
Un'azione simbolica per ricordare che l'Italia è in guerra e che
fermare la guerra è necessario e possibile, lottando per la
chiusura di basi, caserme, aeroporti e fabbriche di morte.
Sei anarchici che si trovavano nei pressi della rotonda, dove è
stata fatta l'azione antimilitarista, sono stati fermati dai
carabinieri, che li hanno portati in caserma trattenendoli per oltre
un'ora e mezza. Chi ricorda che l'Italia è in guerra deve essere
subito fermato. I solerti tutori dell'ordine bellico si sono affrettati
e rimuovere immediatamente i manichini, gli striscioni e persino i tubi
dei fumogeni. Evidentemente nulla deve turbare la pace dei militaristi
e dei guerrafondai, nessuno deve pensare che le armi prodotte a due
passi da casa sua servono ad ammazzare gente inerme.
Foto qui: http://piemonte.indymedia.org/article/2230
La settimana appena trascorsa è stata segnata da retate di
immigrati in strada e su autobus e tram, dalla lotta di un tunisino in
sciopero della fame al CPT, dalle rinnovate proteste contro la Croce
Rossa, che gestisce il lager dove, il 24 maggio un ragazzo è
morto per mancanza di cure .
L'autobus n. 47 è stato al centro di rastrellamenti di polizia e
GCT ai danni degli immigrati. Uno dei tanti che avvengono ogni giorno
sui mezzi pubblici cittadini, che un caso fortuito ha fatto rimbalzare
nelle cronache cittadine.
Sono le 8,30 del mattino del 4 giugno – come testimonierà in
seguito una mediatrice culturale legata al centro interculturale
Almaterra – e al capolinea del 67 a Moncalieri il pullman è
pieno di gente che va al lavoro o a scuola. Sul mezzo "è salita
una pattuglia della polizia, ha intimato a tutti gli stranieri di
scendere, ha diviso maschi e femmine con bambini, ha chiesto il
permesso di soggiorno.
Molte persone avevano con sé solo la carta di identità
italiana, altri il permesso di soggiorno, altri ancora né l'uno
né l'altro.
Tutto l'episodio si è svolto accompagnato da frasi quali: 'non
ce ne frega niente della vostra carta di identità italiana',
'è finita la pacchia', 'l'Italia non è più il
Paese delle meraviglie".
Gli agenti hanno fatto salire tutti gli uomini su un cellulare: solo un
uomo marocchino, mostrando la carta di identità italiana, si
è rifiutato di salire, chiedendo di che cosa veniva accusato e
che avrebbe fatto riferimento al suo avvocato. Gli agenti l'hanno
lasciato andare.
Nessuno dei passeggeri rimasti sull'autobus è intervenuto, anzi,
molte delle persone presenti, anche sui balconi delle case intorno e
sui marciapiedi, hanno applaudito."
Un episodio analogo accaduto sul tram della linea 4 intorno alle 15,30
di venerdì 6 giugno non è nemmeno finito in cronaca ma
è stato divulgato dal tam tam dell'Assemblea Antirazzista.
Sempre venerdì intorno alle 15 ben 7 vigili dei "servizi mirati"
salgono sul 67 e chiedono i documenti ai viaggiatori dall'aspetto
straniero. Tra loro un marocchino che mostra loro la carta azzurra del
permesso di soggiorno. Uno dei vigili a voce alta, sì che tutti
sentano bene, gli dice "Ma guarda. Te l'hanno dato oggi il documento,
eh. Custodiscilo bene!". Un episodio piccolo piccolo venuto alla
ribalta perché sul medesimo autobus c'è anche Viorica
Nechifor, giornalista rumena, responsabile della versione romena del
sito del Comune e addetta stampa del Consolato di Romania a Torino, che
si affretta a denunciare l'accaduto.
Sul fronte della lotta al CPT continua l'opera di informazione sui
fatti avvenuti negli ultimi dieci giorni e sul ruolo della Croce Rossa
che gestisce la struttura di via Mazzarello.
La sera del 6 giugno uno spettacolo teatrale doveva inaugurare il nuovo
centro polifunzionale della CRI a Settimo Torinese, un comune della
prima cintura. Fuori un gruppo di antirazzisti volantina. All'interno,
appena compare in scena il Colonnello Baldacci, responsabile del CPT,
nonché direttore della piece teatrale, due antirazzisti,
abilmente mimetizzati tra il pubblico, saltano sul palco, srotolano uno
striscione e chiedono di Hassan, morto senza cure al CPT.
L'intervento dei carabinieri pone fine alla protesta: i due vengono portati alla locale caserma dei carabinieri e identificati.
Il giorno successivo alcuni antirazzisti vanno a Torino Comics, mentre
è in corso la presentazione di The story of an Idea, il volume
dedicato da Moebius alla storia della Croce Rossa. Viene distribuito un
fumetto con una ben diversa storia della CRI mentre dal microfono,
momentaneamente preso in prestito dall'oratore ufficiale, qualcuno
ricorda la fine di Hassan al CPT.
Domenica 8 un recluso chiama dal CPT uno dei numeri messi a
disposizione dall'Assemblea Antirazzista e denuncia il caso di un
immigrato da quattro giorni in sciopero della fame, che chiede di
essere portato in ospedale per delle cure. Il giorno successivo, il
ragazzo, che parla poco e male l'italiano, viene preso a schiaffi "per
calmarlo". Terapie in stile Croce Rossa.
Mentre stiamo per andare in stampa arriva la notizia di un'ennesima
retata nel quartiere S. Salvario. Alcuni antirazzisti sono lì e
usano fischietti e gridano slogan. Una piccola azione di contrasto,
nonostante la quale cinque immigrati vengono portati via. La lotta
continua domani…
m. m.