La notizia di questi giorni in merito all'arresto di numerosi medici
operanti alla clinica Santa Rita di Milano in realtà si commenta
da sola, per certi aspetti. Assistiamo alle solite manifestazioni
pietose tipiche di questi casi: chi si chiama fuori, chi dice che non
ne sapeva nulla, chi nega, chi si trincera nel silenzio, chi accusa.
I fatti ipotizzati sono gravissimi: interventi chirurgici inutili, o
addirittura prevedibilmente dannosi, senza esami adeguati, effettuati
per gonfiare i bilanci e per potere riscuotere dal Servizio Sanitario
Nazionale gli adeguati compensi. Ovviamente le cartelle cliniche
venivano falsificate e aggiustate a dovere. Il tutto con la
complicità di una rete di omertà, collusione,
collaborazione degna di una cosca mafiosa. Ne viene certamente fuori un
quadro, non nuovo, di disgregazione sociale totale, di sistema
trasversale che serve unicamente a fare soldi sulle spalle di chiunque
sia debole, anche dei malati, di cinismo dilagante, di ideologia della
furbizia, e chi più ne ha, più ne metta, con una sfilata
di brutture umane di entità sconvolgente.
Credo che su queste ed altre considerazioni che si possono fare in
merito, di questi tempi, non vi siano molti dubbi. Vorrei però
qui proporre due angolature un po' particolari per quanto riguarda la
lettura di questo tragico evento. Non ho la pretesa, premetto, di
essere originale, ma credo che in questi casi spesso le osservazioni
più incisive possano essere quelle semplici, ma anche un po' al
di là di quelle cui ci può portare la ovvia e naturale,
per un anarchico, condanna e riprovazione di questi eventi. Andiamo,
insomma, se possibile, oltre il "hai visto, che ti aspettavi da un
sistema così?".
La prima angolatura è personale. Ho ricollegato il fatto che per
ragioni di lavoro mi reco da anni a Milano a un isolato di distanza
dalla clinica Santa Rita, e passo due giorni interi lì. Il
fracasso delle ambulanze, prima mai sentito, un giorno di qualche anno
fa (forse 5 o 6), mi fece chiedere cosa stesse succedendo. La risposta
fu che era stata insediata una nuova clinica, e che i proprietari
dovevano avere agganci notevoli in Regione, dal momento che, sia pure
in aria di dilagante privatizzazione, convenzionata da parte di
quest'ultima, la clinica aveva ottenuto convenzione sul pronto
soccorso, sui ricoveri e quant'altro in tempi brevissimi. Chi mi
parlava inoltre evidenziava come fosse assolutamente fuori luogo la
dislocazione di un pronto soccorso in una via stretta e per di
più in un quartiere residenziale. Negli anni i commenti, anche
da parte della gente del quartiere, sono stati sempre in tal senso.
Naturalmente si può anche pensare a un risentimento legato
all'arte egoistica della coltivazione del proprio orticello, sport nel
quale ultimamente si eccelle parecchio, ma le osservazioni, anche
allora, da addetto ai lavori, mi sembrarono pertinenti. Vox populi vox
dei? Non mi è mai piaciuto molto questo detto, ma ho imparato
che nelle comuni osservazioni della gente c'è sempre quella
saggezza del cervello collettivo, cui forse bisognerebbe dare
più dignità.
La domanda potrebbe essere questa: come si può addurre a propria
difesa, da parte di un medico, la scusa che si agiva su ordine della
proprietà, che non si poteva dissentire, e cose così?
Siamo nel tipico e infantile meccanismo che porta, col desiderio di
trovare delle scuse, di discolparsi, di evitare delle
responsabilità a infangarsi ancora peggio. Un medico effettua
interventi dannosi per un paziente? Grave. Lo fa perché glielo
ha ordinato qualcuno ? Gravissimo, peggio, questa persona è
completamente priva di coscienza, di solidità individuale, di
radicamento professionale. Gli manca la dignità di ciò
che fa. Ma il fatto che questa spiegazione sia addotta come scusa,
dimostra qualcosa di ancora peggiore. Questa persona non ha la minima
idea dell'esistenza di questi concetti operativi. Lo facevo per soldi,
dunque sono giustificato, e non mi sono posto il problema, me lo
ordinavano altri. La stessa spiegazione data dai torturatori nazisti.
Va notato, e non è certo una scusante, che non esiste in questo
paese una formazione in tal senso per chi fa il medico. Il medico in
genere, se non per sua buona volontà, non ha strumenti per
sapersi districare, trattando i delicati argomenti della salute, della
sanità del benessere, e della loro sacrosanta rivendicazione,
tra la necessità del guadagnarsi da vivere e la logica stretta
del profitto, tra la umana voglia di soddisfare anche bisogni superflui
e la dignità umana, tra la dignità della propria
professione e il fascino del potere, tra la pratica quotidiana e il
desiderio di evadere, tra la tentazione di lasciarsi andare alla
meccanica ripetizione di gesti tecnici e il soffermarsi su un dettaglio
umano, tra la necessità di comunicare e la voglia di tirare via,
tra la stanchezza e il domandarsi, sempre e comunque, che cosa
percepisce di noi, delle nostre parole, dei nostri modi chi abbiamo di
fronte, tra il tirare il campare il meglio possibile e come sarà
il mondo domani, e magari dare il proprio contributo a cambiarlo, e in
meglio. So benissimo che questi non sono percorsi riservati ai medici,
ma propri di tutti gli esseri umani, ma ho sempre pensato che i medici
avessero un dovere in particolare di occuparsene, lavorando
quotidianamente a contatto con la sofferenza e la morte, con la
guarigione e la gioia di vivere. E non finisco mai di stupirmi di
quanto invece siamo poco preparati in tal senso. Di quanto siano sempre
altri a parlare di queste cose.
E qui vengo alla seconda angolatura. Se questa e tante altre situazioni
simili si sono potute dare, se ne esistono sicuramente tante altre che
non conosciamo e che non sempre conosceremo, ebbene vuole dire che
esiste un substrato fatto di piccole pratiche quotidiane, di piccoli
soprusi, di piccole incongruenze, che fanno da base a questi
grattacieli del male agire. Non possono essere questi, che sono grandi
fatti, che dunque balzano all'occhio e scandalizzano, colossi di
argilla sospesi nel vuoto. Devono per forza poggiare su una massa di
omini che ogni giorno perpetrano malefatte talmente piccole da non
essere particolarmente determinanti, ma che creano quel sottile terreno
di coltura che fa crescere piano piano il mal costume. E quel che
è peggio queste pratiche vengono comunemente accettate come
inevitabili, o quanto meno come necessarie per avere un servizio. Si
crea così un sottobosco di malcostume che piano piano mina le
relazioni sociali e le distrugge. Che insegna ai giovani il cinismo e
il fatalismo, la rassegnazione, l'impossibilità a cambiare. Che
li rende vecchi anzitempo.
L'umanità ha bisogno di morale contro il moralismo, di individui
solidi per la collettività, di coscienze mature e fertili per un
mondo nuovo e senza guerre, di esseri soddisfatti contro il consumismo
di merci e sentimenti, di persone appagate per un mondo acapitalista. E
di riflessione sulla via da percorrere. Mai come oggi la pratica
anarchica si dimostra come l'unico metodo, l'unica soluzione possibile.
Paolino