Umanità Nova, n.23 del 22 giugno 2008, anno 88

Le radici di un male diffuso. Gli orrori della Clinica Santa Rita di Milano


La notizia di questi giorni in merito all'arresto di numerosi medici operanti alla clinica Santa Rita di Milano in realtà si commenta da sola, per certi aspetti. Assistiamo alle solite manifestazioni pietose tipiche di questi casi: chi si chiama fuori, chi dice che non ne sapeva nulla, chi nega, chi si trincera nel silenzio, chi accusa.
I fatti ipotizzati sono gravissimi: interventi chirurgici inutili, o addirittura prevedibilmente dannosi, senza esami adeguati, effettuati per gonfiare i bilanci e per potere riscuotere dal Servizio Sanitario Nazionale gli adeguati compensi. Ovviamente le cartelle cliniche venivano falsificate e aggiustate a dovere. Il tutto con la complicità di una rete di omertà, collusione, collaborazione degna di una cosca mafiosa. Ne viene certamente fuori un quadro, non nuovo, di disgregazione sociale totale, di sistema trasversale che serve unicamente a fare soldi sulle spalle di chiunque sia debole, anche dei malati, di cinismo dilagante, di ideologia della furbizia, e chi più ne ha, più ne metta, con una sfilata di brutture umane di entità sconvolgente.
Credo che su queste ed altre considerazioni che si possono fare in merito, di questi tempi, non vi siano molti dubbi. Vorrei però qui proporre due angolature un po' particolari per quanto riguarda la lettura di questo tragico evento. Non ho la pretesa, premetto, di essere originale, ma credo che in questi casi spesso le osservazioni più incisive possano essere quelle semplici, ma anche un po' al di là di quelle cui ci può portare la ovvia e naturale, per un anarchico, condanna e riprovazione di questi eventi. Andiamo, insomma, se possibile, oltre il "hai visto, che ti aspettavi da un sistema così?".
La prima angolatura è personale. Ho ricollegato il fatto che per ragioni di lavoro mi reco da anni a Milano a un isolato di distanza dalla clinica Santa Rita, e passo due giorni interi lì. Il fracasso delle ambulanze, prima mai sentito, un giorno di qualche anno fa (forse 5 o 6), mi fece chiedere cosa stesse succedendo. La risposta fu che era stata insediata una nuova clinica, e che i proprietari dovevano avere agganci notevoli in Regione, dal momento che, sia pure in aria di dilagante privatizzazione, convenzionata da parte di quest'ultima, la clinica aveva ottenuto convenzione sul pronto soccorso, sui ricoveri e quant'altro in tempi brevissimi. Chi mi parlava inoltre evidenziava come fosse assolutamente fuori luogo la dislocazione di un pronto soccorso in una via stretta e per di più in un quartiere residenziale. Negli anni i commenti, anche da parte della gente del quartiere, sono stati sempre in tal senso. Naturalmente si può anche pensare a un risentimento legato all'arte egoistica della coltivazione del proprio orticello, sport nel quale ultimamente si eccelle parecchio, ma le osservazioni, anche allora, da addetto ai lavori, mi sembrarono pertinenti. Vox populi vox dei? Non mi è mai piaciuto molto questo detto, ma ho imparato che nelle comuni osservazioni della gente c'è sempre quella saggezza del cervello collettivo, cui forse bisognerebbe dare più dignità.
La domanda potrebbe essere questa: come si può addurre a propria difesa, da parte di un medico, la scusa che si agiva su ordine della proprietà, che non si poteva dissentire, e cose così? Siamo nel tipico e infantile meccanismo che porta, col desiderio di trovare delle scuse, di discolparsi, di evitare delle responsabilità a infangarsi ancora peggio. Un medico effettua interventi dannosi per un paziente? Grave. Lo fa perché glielo ha ordinato qualcuno ? Gravissimo, peggio, questa persona è completamente priva di coscienza, di solidità individuale, di radicamento professionale. Gli manca la dignità di ciò che fa. Ma il fatto che questa spiegazione sia addotta come scusa, dimostra qualcosa di ancora peggiore. Questa persona non ha la minima idea dell'esistenza di questi concetti operativi. Lo facevo per soldi, dunque sono giustificato, e non mi sono posto il problema, me lo ordinavano altri. La stessa spiegazione data dai torturatori nazisti. Va notato, e non è certo una scusante, che non esiste in questo paese una formazione in tal senso per chi fa il medico. Il medico in genere, se non per sua buona volontà, non ha strumenti per sapersi districare, trattando i delicati argomenti della salute, della sanità del benessere, e della loro sacrosanta rivendicazione, tra la necessità del guadagnarsi da vivere e la logica stretta del profitto, tra la umana voglia di soddisfare anche bisogni superflui e la dignità umana, tra la dignità della propria professione e il fascino del potere, tra la pratica quotidiana e il desiderio di evadere, tra la tentazione di lasciarsi andare alla meccanica ripetizione di gesti tecnici e il soffermarsi su un dettaglio umano, tra la necessità di comunicare e la voglia di tirare via, tra la stanchezza e il domandarsi, sempre e comunque, che cosa percepisce di noi, delle nostre parole, dei nostri modi chi abbiamo di fronte, tra il tirare il campare il meglio possibile e come sarà il mondo domani, e magari dare il proprio contributo a cambiarlo, e in meglio. So benissimo che questi non sono percorsi riservati ai medici, ma propri di tutti gli esseri umani, ma ho sempre pensato che i medici avessero un dovere in particolare di occuparsene, lavorando quotidianamente a contatto con la sofferenza e la morte, con la guarigione e la gioia di vivere. E non finisco mai di stupirmi di quanto invece siamo poco preparati in tal senso. Di quanto siano sempre altri a parlare di queste cose.
E qui vengo alla seconda angolatura. Se questa e tante altre situazioni simili si sono potute dare, se ne esistono sicuramente tante altre che non conosciamo e che non sempre conosceremo, ebbene vuole dire che esiste un substrato fatto di piccole pratiche quotidiane, di piccoli soprusi, di piccole incongruenze, che fanno da base a questi grattacieli del male agire. Non possono essere questi, che sono grandi fatti, che dunque balzano all'occhio e scandalizzano, colossi di argilla sospesi nel vuoto. Devono per forza poggiare su una massa di omini che ogni giorno perpetrano malefatte talmente piccole da non essere particolarmente determinanti, ma che creano quel sottile terreno di coltura che fa crescere piano piano il mal costume. E quel che è peggio queste pratiche vengono comunemente accettate come inevitabili, o quanto meno come necessarie per avere un servizio. Si crea così un sottobosco di malcostume che piano piano mina le relazioni sociali e le distrugge. Che insegna ai giovani il cinismo e il fatalismo, la rassegnazione, l'impossibilità a cambiare. Che li rende vecchi anzitempo.
L'umanità ha bisogno di morale contro il moralismo, di individui solidi per la collettività, di coscienze mature e fertili per un mondo nuovo e senza guerre, di esseri soddisfatti contro il consumismo di merci e sentimenti, di persone appagate per un mondo acapitalista. E di riflessione sulla via da percorrere. Mai come oggi la pratica anarchica si dimostra come l'unico metodo, l'unica soluzione possibile.

Paolino

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