Umanità Nova, n.23 del 22 giugno 2008, anno 88

La sanità dopo tangentopoli. A caccia di polmoni


Pazienti dimessi prima di essere guariti, cliniche che si palleggiano malati cronici per guadagnarci sopra, pazienti che vengono sottoposti a costosi esami o addirittura ad inutili interventi solo per ottenere i rimborsi dall' ASL.
Il nocciolo della questione coinvolge L'Ente pubblico e quello privato, legati a filo doppio nell'indubbio tentativo di arricchire qualcuno e distruggere definitivamente il diritto alla salute.
In Italia, una delle più importanti conquiste delle lotte degli anni 60-70 è la conquista del Servizio Sanitario Nazionale, concretizzatosi con la legge 833 del 1978, i cui principi cardine sono la garanzia per tutti i cittadini di avere diritto, in tema di salute, alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione.
Ma nel 1992 arriva la riforma sanitaria, in attuazione del trattato di Maastricht per il quale è indispensabile ridurre il debito pubblico per partecipare all'unione economico-monetaria Europea. Il principio su cui si riforma il precedente assetto del SSN è che il bisogno di salute del paese, viene subordinato a criteri economici, determinando il tetto economico entro il quale vanno garantiti i diritti sanitari.
Il "bisogno" viene subordinato alla compatibilità economica e ciò si traduce in :
1. la regionalizzazione della sanità
2. l'aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali (da USL ad ASL)
3. il finanziamento pubblico alle strutture private ed alle assicurazioni
Nascono le Aziende Sanitarie Locali. Al cui vertice viene posto un Direttore Generale con esperienza manageriale maturata in aziende e/o imprese private, non necessariamente in campo sanitario, con ampi poteri e responsabile dell'andamento economico della nuova "impresa". Il manager è assunto dalla Regione (organismo politico) con contratto di natura privata e sceglie i propri collaboratori, con eguale contratto. Questi cominciano il loro ruolo di alleggerimento delle spese degli ospedali pubblici, svuotandoli di personale e risorse, trasformandoli da città-ospedale, con centinaia di dipendenti che gestivano tutto il lavoro interno a strutture non più autosufficienti costrette ad appaltare a ditte esterne ogni tipo di servizio: dalla lavanderia al facchinaggio fino al noleggio di attrezzature sanitarie importanti a costi esorbitanti. Il tutto appoggiato dallo screditamento del servizio pubblico, perpetrato dai mezzi di informazione .
Una volta raggiunto questo scopo il passaggio successivo nasce spontaneo: Primari, Manager del settore e Politici hanno pensato di sfruttare questa situazione a proprio vantaggio. È così che comincia un proliferare selvaggio di strutture private convenzionate, la maggior parte occultamente o meno di proprietà dei soggetti sopra citati. Quale ghiotta occasione per liberarsi definitivamente dagli arcaici strumenti di corruzione in favore di un più pratico e funzionale modus per arricchirsi a discapito delle tasche dei contribuenti e della loro salute. Basta valige di lingotti trascinate per i reparti ai fini di vendere al primario di turno la tua valvola brasiliana, meglio una bella società alla luce del sole o quasi, dove dirottare il denaro pubblico destinato alla nostra salute e poter fare i propri porci comodi. Assicurandosi altresì, con la scomparsa delle figure di corrotto e concusso, maggiore solidarietà e omertà mafiosa.
Come al solito baluardo della moderna economia italiana, la Lombardia parte per prima, seguita da Lazio, Piemonte, Emilia Romagna e Sicilia, che con specifico indirizzo a sostegno della sanità privata determinano un, a dir poco ingente, incremento di ricoveri nelle strutture private. Il tutto conseguenza di una politica di finanziamenti pubblici pari al 12.7% per il servizio pubblico e al 45.6% per quello privato. Soldi che piovono a fiumi direttamente nelle tasche di questi loschi figuri che non si fanno certamente scrupoli ad andare: "a caccia di polmoni" per continuare a mantenere il loro status.

Cristina

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