Il fronte del razzismo è sempre attivo sotto la Mole.
Fortunatamente c'è anche chi resiste, si oppone alle
deportazioni, alla violenza, al silenzio e all'indifferenza che rendono
possibili i peggiori soprusi.
Martedì 17 giugno dal cpt di Torino viene deportato un ragazzo
di cui non sappiamo neppure il nome. Cardiopatico, aveva fatto lo
sciopero della fame per ottenere le cure necessarie, ma si era
guadagnato solo un pestaggio. Il ragazzo resiste, si taglia gli abiti,
resta nudo. Ma non basta: viene portato via, lontano dalla sua vita,
dalla sua compagna, da suo figlio che vivono qui. Storie violente di
una Torino che si smarrisce tra l'urlo razzista e le luci sempre accese
del varietà chiampariniano.
In serata davanti al CPT si svolge un presidio, rumoroso e veloce,
perché chi è dentro senta la solidarietà di chi
è fuori.
Mercoledì 18 altre due deportazioni, altra resistenza da parte
degli immigrati. La notizia filtra: così quando la camionetta
diretta a Malpensa lascia l'ingresso del CPT in via Mazzarello, cinque
antirazzisti sono lì a testimoniare il proprio sostegno. Intanto
decine di telefonate di protesta inchiodano per l'ennesima volta i
telefoni del CPT e quelli delle compagnie aeree.
Nel pomeriggio un gruppo di antirazzisti si ritrova di fronte al civico
n. 65 di via XX settembre, dove risiede Antonino Calvano, colonnello e
responsabile provinciale della Croce Rossa.
A quasi un mese dalla morte di Hassan/Fathi, il tunisino lasciato senza
cure e morto dentro al CPT di Torino, pare calato il silenzio. I
testimoni di quella tragica notte vengono deportati giorno dopo giorno,
per impedire che la loro parola contraddica le menzogne dei
responsabili della Croce Rossa, che sin dal 1999 gestiscono quella
galera per immigrati.
In Argentina da molti anni di fronte alle case dei torturatori ed
assassini della dittatura militare, vengono improvvisati rumorosi
"cacerolazo", battiture di pentole per ricordare a tutti chi sia il
criminale che vive in quella casa.
Anche a Torino questa protesta si sta diffondendo: il due giugno di
fronte all'abitazione del responsabile del CPT, il medico e colonnello
Antonio Baldacci, in via Zandonai 8 a Chieri, si svolse un rumoroso
"cacerolazo".
La scena si è ripetuta di fronte alla casa di Antonino Calvano.
Battitura di pentole, interventi dall'amplificazione e dal megafono,
per raccontare a chi passava storie di questo secolo, che somigliano a
quelle terribili di quello appena trascorso. Storie di uomini che
attraversano il mare e ci muoiono, storie di uomini che una legge
razzista condanna alla schiavitù volontaria del lavoro senza
garanzie, pericoloso e sottopagato, pur di ottenere e conservare il
pezzo di carta senza il quale si apre il territorio dell'incertezza,
della paura, della clandestinità. L'anticamera del cpt, della
deportazione da paesi fuggiti per la fame, le guerre, le persecuzioni.
E nei CPT chi protesta, chi tenta la fuga, viene picchiato, mani e
piedi ammanettati. A tutti quelli che non riescono a farsi passare cibo
da parenti e amici vengono somministrati psicofarmaci negli alimenti
che passa la Croce Rossa. Sedati a forza per impedire che "diano di
matto" rivoltandosi contro la galera e le espulsioni.
Poi capita che una notte qualcuno stia male, molto male e nessuno
ascolti le grida di chi chiede aiuto per un uomo che sta morendo. La
Croce Rossa lo lascia agonizzare per ore senza intervenire.
È capitato ad Hassan lo scorso 23 maggio: nessuno deve
dimenticare le responsabilità della Croce Rossa, le
dichiarazioni razziste dei suoi responsabili.
Antonino Calvano non si è fatto vedere, non ha risposto agli
inviti a dire la sua su quanto è successo il 23 maggio al CPT di
Torino, un lager gestito da un'organizzazione "umanitaria".
Presto si sono radunate le forze del disordine statale, che hanno
intimato ai presenti di andare via, di interrompere l'azione di
denuncia. Alle parole sono presto seguiti i fatti: gli antirazzisti
sono stati circondati da Digos e uomini dell'antisommossa, gli
striscioni staccati e gettati sprezzantemente addosso ai manifestanti,
sotto gli occhi di tanta gente che, forse, si è chiesta
perché la polizia avesse tanta paura delle parole.
Parole dure, dure come la realtà nella quale siamo forzati a
vivere, dove c'è chi grida nella notte, c'è chi muore,
chi viene deportato e chi vorrebbe che calasse il silenzio. Non ci
riusciranno.
Lunedì 23 un gruppo di antirazzisti si è dato
appuntamento davanti alla sede della GTT (Gruppo Torinese Trasporti),
in corso Turati.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le retate e le incursioni
di polizia e vigili urbani su tram e autobus, con il consueto
corollario di insulti e intimidazioni ai danni degli immigrati. La
cronaca di questi episodi è uscita su UN n. 22 in "Inform@zione
- Torino: rastrellamenti in strada, botte al Cpt, proteste alla CRI".
I controllori della GTT sono da molto tempo complici delle espulsioni:
non si limitano a multare chi non ha il biglietto ma, se il viaggiatore
è straniero, chiamano la polizia. Così spesso il viaggio
in tram ha il suo capolinea al CPT.
L'ufficio multe, di fronte al quale si sono aperti striscioni quali
"GTT complice delle espulsioni", "no cpt, aprire le frontiere",
è stato fatto subito chiudere dalla polizia politica che ha
"consigliato" ai responsabili di tirare giù le serrande.
Molta la curiosità tra i passanti, alcuni dei quali si sono
detti solidali ed indignati per gli episodi rimbalzati recentemente in
cronaca che hanno mostrato a tutti una pratica che purtroppo non ha
carattere occasionale ma quotidiano.
Il giorno dopo, il 24 giugno, a Torino in piazza Vittorio ci sono i
tradizionali fuochi di S. Giovanni. All'appuntamento si presentano
numerosi antirazzisti con banchetti informativi, striscioni e volantini.
Una mezz'ora prima dell'inizio dei fuochi, quando la piazza era ormai
gremita, alcuni antirazzisti si sono arrampicati su scale da nove metri
ed hanno issato uno striscione di 21 metri che ha attraversato tutta la
grande piazza Vittorio. Sullo striscione era scritto a caratteri di
scatola "No CPT – No espulsioni – Croce Rossa Assassina".
Per circa mezz'ora lo striscione ha campeggiato sulla piazza, mentre le
forze del disordine statale, digos e agenti dell'antisommossa,
intimavano di toglierlo. Di fronte all'ovvio diniego degli
antirazzisti, dopo lunghi conciliaboli, frenetiche consultazioni
telefoniche hanno provveduto di persona alla rimozione dello
striscione. Le ragioni del blitz poliziesco sono state efficacemente
riassunte da un funzionario che ha dichiarato "o lo togliete voi, o lo
togliamo noi. Qui non ci può stare".
Le parole fanno paura, specie se issate in mezzo ad una piazza dove
sostano decine di migliaia di persone: nessuno deve ricordare che ci
sono i "senza carte", che una legge razzista li chiude in prigione, una
prigione dove il 24 maggio di quest'anno a Torino, un uomo è
stato lasciato morire da un'organizzazione umanitaria, la Croce Rossa.
La lotta sul fronte del razzismo continua domani…
Euf.
Gli anarchici del Germinal di Carrara lo hanno detto e ripetuto per
anni: continuare ad appesantire la struttura del palazzo del Politeama,
come stavano facendo i palazzinari che si sono accaniti sulle storiche
mura di piazza Matteotti, avrebbe finito con il compromettere la
stabilità stessa dell'intera struttura. Ricordiamo che nel
ridotto del teatro e nei locali adiacenti, difesi per lunghi anni dagli
anarchici in lotta contro gli speculatori, ci sono i locali del Gruppo
Germinal FAI e dell'omonimo Archivio storico.
Le varie amministrazioni comunali che si sono succedute alla guida
della città hanno ignorato le molteplici denunce degli anarchici
locali, preferendo nascondere la testa sotto la sabbia e guardandosi
bene dall'intervenire per impedire il peggio.
Il 23 giugno uno dei piloni in muratura che regge il palazzo ha ceduto:
mentre scriviamo forte è il rischio di un crollo disastroso. Gli
abitanti sono stati evacuati in fretta e furia sin dalla serata del 23,
la struttura è stata circondata da transenne e gran parte della
piazza svuotata.
Gli anarchici del Germinal hanno immediatamente piazzato un presidio
fisso sotto il palazzo, per impedire incursioni indesiderate nei loro
locali. L'amministrazione comunale ha promesso un intervento immediato
la mattina del 24 giugno, ma i vigili del fuoco impegnati nella messa
in sicurezza del Politeama si sono dovuti ritirare precipitosamente:
uno di loro, interpellato dai compagni, ha dichiarato che non potevano
intervenire in modo adeguato perché privi di mezzi idonei.
Potrebbe essere il segno che forse il palazzo è ormai
compromesso. Sono i frutti avvelenati di una speculazione edilizia
cominciata all'inizio degli anni '90, quando il palazzo venne sottratto
all'uso pubblico, per essere destinato alla costruzione di appartamenti
di lusso. Solo la tenacia degli anarchici che non accettarono lo
sfratto dalla sede conquistata in armi dai partigiani e, dopo un primo
sgombero, la rioccuparono e difesero, ha impedito che l'intero progetto
andasse in porto. Purtroppo gli sconsiderati lavori fatti per costruire
alcuni appartamenti oggi rischiano seriamente di mandare in polvere
ogni cosa. I quotidiani locali hanno cercato di minimizzare la
gravità dell'accaduto: i giornalisti cui è stata chiesta
ragione di tale scelta hanno detto a chiare lettere che era stato loro
ingiunto di tenere i toni bassi. Evidentemente in troppi, tra politici
e palazzinari, temono che venga loro presentato il conto per un
disastro ampiamente annunciato.
L'VIII congresso dell'IFA, l'internazionale di Federazioni Anarchiche,
che 40 anni fa venne fondata proprio a Carrara, previsto nei locali del
Germinal il 4, 5, 6 luglio è stato in fretta e furia spostato al
cinema-teatro Garibaldi. Nel frattempo i compagni continuano la loro
protesta sotto al Politeama, con un presidio che continua giorno e
notte.
Euf. Fonte: diretta telefonica con i compagni in presidio permanente
Il 19 giugno si è svolto, nella sede dell'Ateneo Libertario
in viale Monza 255, un incontro tra lavoratori impegnati in vari
settori e dalle diverse appartenenze sindacali.
Il titolo della serata era esplicito "Di fronte alle nuove 'frontiere'
del lavoro, lo strumento sindacale è ancora una risposta
adeguata"?
Si è trattato di "un confronto a tutto campo" tra esponenti del sindacalismo di base e del precariato organizzato.
Vi proponiamo di seguito un'ampia sintesi del resoconto inviato in redazione da Enrico.
Nell'introduzione al dibattito è stato delineato il quadro nel
quale oggi si trova il lavoro dipendente i cui cardini sono la
scomparsa della grande fabbrica, il decentramento produttivo, spesso in
aree del pianeta che garantiscano condizioni più favorevoli ai
padroni, esternalizzazione di interi comparti con il consueto contorno
di appalti e subappalti, l'utilizzo del mezzo cooperativo per meglio
sfruttare i lavoratori, il lavoro nero, che non di rado vede
protagonisti immigrati irregolari scelti da caporali e pagati tre euro
l'ora.
A ciò si aggiunge un quadro normativo segnato da leggi che vanno
dal pacchetto Treu alla legge 30, che hanno introdotto forme estreme di
precarietà, con il largo utilizzo di contratti a termine, lavoro
interinale e a progetto.
Il quadro si chiude con le difficoltà crescenti del sindacalismo
si base strangolato dalla quasi impossibilità ad accedere ai
diritti sindacali. La stessa arma dello sciopero è indebolita
dalle ben note leggi che lo regolamentano, riducendone l'efficacia.
Lo strumento sindacale, talora pare indispensabile alla difesa dei lavoratori, talaltra pare un'arma spuntata.
Il dibattito si è caratterizzato per un'oscillazione tra il
desiderio di approfondimento teorico e la spinta a fornire indicazioni
pratiche.
Un rappresentante dell'A.L. Cobas (settore trasporti) ha sostenuto
l'importanza di una ampia partecipazione al processo di unità
del sindacato di base per impedire gli ostacoli che vengono dai
vertici. Gli faceva eco un esponente dell'USI (settore ospedaliero S.
Raffaele) che ha denunciato la difficoltà del proprio contesto
lavorativo, dove sindacati di base hanno firmato accordi con
Cgil-Cisl-Uil.
Il rappresentante dei Cobas ha sostenuto che l'azione sindacale
è più importante della struttura sindacale in quanto
tale. Al contrario l'esponente della CUB ha argomentato che
l'organizzazione sindacale è un importante strumento di difesa
dei diritti dei lavoratori in un periodo in cui le lotte aziendali sono
deboli.
I Collettivi di precari (coordinamento operatori sociali e coll. Chain
Worker) ritengono importante la formazione sindacale che consente ai
lavoratori di divenire punto di riferimento nelle lotte.
Alcuni compagni del coordinamento antirazzista hanno denunciato la
scarsa attenzione del sindacalismo di base alla repressione contro gli
immigrati. In particolare hanno sottolineato il silenzio che ha
accompagnato l'azione di rastrellamento sui tram, dove vigili e
controllori cooperano nella caccia all'irregolare. Senza
solidarietà tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani tutti
sono destinati alla sconfitta.
Un compagno che lavora alla Pirelli ha raccontato che in fabbrica le
assunzioni precarie riguardano soprattutto immigrati, che il legame tra
permesso di soggiorno e contratto di lavoro, rende più
vulnerabili e, quindi, disponibili a sopportare ritmi di lavoro
più pesanti e salari più bassi. Nonostante ciò i
lavoratori italiani sono ben lontani da un'azione di solidarietà
con gli immigrati.
I lavoratori assunti dalle ditte che vincono gli appalti con le
Ferrovie – recenti protagonisti di una rivolta sfociata in occupazione
dei binari con relative denunce – vivono sotto continui ricatti. Lo ha
testimoniato un attivista sindacale che ha descritto una realtà
fatta di lavoratori messi in cassa integrazione mentre chi rimane deve
sottostare a ritmi insostenibili. È facile prevedere che la
condizione di questi lavoratori peggiorerà presto, perché
nei sei mesi dell'Expo sarà vietato scioperare a chi lavora nei
trasporti.
A cura di Hannibal Caro