Due recenti fatti di cronaca, ancora una volta avvenuti in
quell'Italia settentrionale che lavora, prega, produce e vota padano,
dimostrano in maniera inequivocabile quanto e come il razzismo
può essere legato alle contraddizioni di classe, causando un
abisso in cui la discriminazione si somma alla sfruttamento.
Il primo fatto avviene la sera dello scorso 6 giugno, in provincia di
Verona, la stessa di cui sono originari gli assassini neonazisti di
Nicola Tommasoli.
Tancredi Valerio Volpe e Cristina Nervo, una coppia di trentenni
residenti a Vigasio, titolari di una ditta che si occupa di rifiuti
danno appuntamento ad un loro dipendente, il rumeno Adrian Cosmin di 28
anni, che lavora come camionista. Quindi gli offrono un caffé,
narcotizzandolo, lo caricano sulla sua auto e gli danno fuoco, tentando
di simulare un incidente.
Un operaio diretto al lavoro, vede la vettura in fiamme e allerta i vigili del fuoco, ma ormai Adrian è morto.
Gli assassini, maldestri quanto inumani, vengono presto scoperti nel
giro di pochi giorni. Il movente dell'omicidio premeditato da un anno
è raggelante: volevano riscuotere i circa 900 mila euro di
assicurazione relativa alla polizza sulla vita che aveva fatto
sottoscrivere, col ricatto ed il raggiro, ad Adrian a favore della
convivente del suo padrone.
Passano pochi giorni e il 17 giugno, a Gerenzano in provincia di Varese
– dove la Lega Nord è egemone da anni – Antonio Fieramente,
figlio diciannovenne del titolare della ditta Katon, uccide a colpi di
pistola il muratore egiziano Sai el Basset di 29 anni che stava
reclamando perché gli era stato tagliato il salario dovuto.
Qualcosa del genere era accaduto, sempre in provincia di Varese, a Jon
Cazacu il lavoratore rumeno colpevole di aver chiesto di essere messo
in regola. La risposta del datore di lavoro fu cospargerlo di benzina,
dargli fuoco e lasciarlo morire carbonizzato; si era nel 2000.
All'assassino di Jon giunse la solidarietà della Lega Nord, che
organizzò fiaccolate e gli fornì copertura politica e
assistenza legale, tanto che sarà fuori dal carcere il prossimo
anno, dopo una prima condanna a trent'anni.
Assolti invece in Corte d'assise il padrone di una fabbrichetta di
rubinetti da bagno, Domenico Rettura, e due suoi dipendenti (Fedele
Rocco e Massimiliano Surace), per il presunto assassinio di Mohamed
Sow, operaio senegalese di 28 anni, misteriosamente scomparso dopo una
discussione durante cui aveva protestato per dei soldi mancanti in
busta paga. Era il 2001, le indagini portarono a indizi molto pesanti,
tra cui una falsa lettera di licenziamento firmata dal giovane
senegalese proprio il giorno della scomparsa e tracce del suo sangue
nella fabbrica.
In tempi in cui si parla della grave mortalità sul lavoro,
dovremmo cominciare ad inserire questa ulteriore variabile nel rischio
che un operaio immigrato corre in Italia: l'essere direttamente
assassinato dal padrone.
Anti