Umanità Nova, n.25 del 13 luglio 2008, anno 88

L'impronta del fascismo. Le schedature etniche di Maroni


Durante il precedente governo Berlusconi i soliti noti avevano già proposto di schedare tutti gli immigrati, sollevando obiezioni, critiche e proteste che avevano fatto accantonare tale intenzione; ma adesso i soggetti sono gli abitanti dei "campi nomadi" e c'è il rischio concreto e drammatico che la misura poliziesca inserita nel Pacchetto Sicurezza ed annunciata dal ministro dell'Interno, il leghista Maroni, non trovi altrettanta opposizione.
Da registrarsi l'immediata complicità di varie amministrazioni, dall'intollerante Moratti sindaca di Milano sino all'illuminato sindaco di Venezia, Cacciari, che si è detto d'accordo con Maroni
L'anticipazione si era già vista lo scorso 6 giugno, con l'irruzione all'alba e le prove tecniche di schedatura compiute da 50 poliziotti su 35 rom harvati, scampati ai fascisti croati, residenti nel campo nomadi di Milano-Rogoredo e regolarmente iscritti nelle liste anagrafiche.
Quello che con un improbabile eufemismo viene definito un "censimento" prevede persino le foto segnaletiche e il prelievo delle impronte digitali ai bambini, con il pretesto indecente di volerli tutelare.
Poco importa che dei circa 160 mila rom e sinti presenti in Italia, almeno 70 mila siano cittadini italiani a tutti gli effetti e che molti altri risultino rifugiati di guerra.
Alla fine di giugno, erano almeno 300 i nomadi già "censiti" nei quattro campi di Milano; mentre a Napoli sono stati avviati i rilevamenti dattiloscopici pure sui minori di 14 anni.
Ancora una volta s'inizia dagli ultimi, dagli invisibili, dagli indesiderati per antonomasia per iniziare ad attuare politiche repressive destinate ad essere progressivamente estese a tutti, comprese le persone convinte di non aver niente da temere perchè "italiani normali e perbene".
A rafforzare l'accerchiamento ostile contro di loro, il 30 giugno sono state diffuse due notizie, entrambe provenienti da Verona: la Cassazione ha annullato la sentenza nei confronti del sindaco Tosi che aveva equiparato ladri e nomadi, rinviandolo comunque ad un ulteriore processo presso una diversa sezione della corte d'appello "per propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale". Proprio nelle stesse ore i compiacenti organi di stampa enfatizzavano l'arresto di otto nomadi croati incriminati per sfruttamento e minacce contro i figli per costringerli a rubare, provvedimento che lo stesso Gip di Verona, Giorgio Piziali, ha rigettato ritenendolo "piegato ad altri fini".
Ancora una volta, gli "zingari" risultano così essere le vittime designate per sperimentare le logiche discriminanti di stato, attraverso una sistematica criminalizzazione.
La loro - ma anche nostra - storia è segnata di simili precedenti. Da secoli ormai.
Nel 1499, i gitani furono banditi dalla cattolica monarchia di Spagna e tale esempio fu imitato dagli altri Stati dell'Europa occidentale che giunsero ad assicurare l'impunità a chi uccideva uno zingaro, come stabiliva la Dieta dell'Impero tenuta ad Augusta nell'anno 1500, o persino a premiarne gli assassini, come nella Repubblica di Venezia.
Risale invece al 1663 un editto milanese che, oltre a prevedere la forca per ogni nomade che fosse entrato nel territorio del Ducato, stabiliva: "Ogni cittadino è libero di ammazzare gli zingari impune e di levar loro ogni sorta di robbe, di bestiame e denari che gli trovasse".
A tale persecuzione statale si affiancò la condanna delle Chiese cristiane ritenendoli propagatori di superstizioni e sospetti seguaci islamici, tanto da far nascere la credenza popolare che voleva zingari i fabbri che avevano forgiato i chiodi con cui era stato crocifisso Cristo.
L'apice raggiunto con lo sterminio programmato dal nazismo fu, comunque, possibile anche a misure antecedenti l'avvento di Hitler al potere. Fin dal 1899 era stato istituito a Monaco di Baviera un apposito ufficio (Zigeunerpolizeistelle) con compiti di controllo e schedatura, la cui competenza fu estesa nel 1926, durante la Repubblica di Weimar, a tutto il territorio nazionale. Tale ufficio, nel 1938, venne quindi assunto e trasferito a Berlino presso la polizia criminale del Reich alle dirette dipendenze di Himmler.
Le prime deportazioni degli zingari, che certo non potevano essere considerati non-ariani, ebbero luogo già nel 1936 nel "campo di lavoro" di Dachau, destinato agli Asociali, la categoria in cui erano inclusi, oltre ai nomadi, altri cittadini tedeschi (renitenti al lavoro, lesbiche, sovversivi, alcolizzati, senza dimora, etc).
Per questo, sembra che nei lager, inizialmente, rom e sinti siano stati contrassegnati col Triangolo Nero degli Asociali e poi col Triangolo Marrone previsto per gli zingari.
Il 1° luglio giunse un primo trasporto di 170 zingari, seguito da altri tre. Nello stesso anno per "ripulire" Berlino in occasione delle Olimpiadi i sinti della zona furono rinchiusi nel campo di Marzahn, da cui uscirono solo per essere deportati ad Auschwitz. Nel 1937 aumentò il numero dei deportati nei lager di Sachsenhausen, Sachsenburg, Lichtenberg, Dachau e, dopo l'annessione dell'Austria, a Mauthausen.
Il 27 settembre 1939 fu decisa dal capo delle SS, Heydrich, la "soluzione finale" per ebrei e zingari: la detenzione in campi di concentramento non doveva essere che la premessa della loro eliminazione.
Il Liquidierungsbefehl (ordine di liquidazione) del maggio 1941 dispose "l'uccisione di tutti gli indesiderabili dal punto di vista razziale e politico in quanto pericolosi per la sicurezza", indicando quattro categorie principali: funzionari comunisti, asiatici inferiori, ebrei e zingari. Infine lo Auschwitzerlass (decreto di Auschwitz) del 16 dicembre 1942 dispose l'internamento di tutti gli zingari anche dai territori occupati.
L'entità della distruzione etnica è indicata, approssimativamente, in circa mezzo milione di vittime: il barò porrajmos (in lingua romanes: grande genocidio).
Misure analoghe di prigionia ed annientamento furono attuate anche negli altri paesi sotto regime od occupazione nazifascista: in particolare in Austria, Polonia, Croazia, Ucraina, Lettonia, Slovacchia, Romania, Francia, Belgio.
In Italia, tardivamente e blandamente rispetto agli altri stati fascisti, furono introdotte delle misure speciali di polizia contro gli zingari a cominciare dal 1938 che successivamente sfociarono in una direttiva esplicita per "l'internamento degli zingari italiani" previsto, durante la guerra, dalla Circolare Bocchini dell'aprile 1941.
Nel secolo appena iniziato, invece, lo stato italiano sta vincendo il primato europeo della persecuzione antigitana e il prefetto di Milano, Lombardi, ha candidamente ammesso di non far altro che applicare il Testo Unico di Legge di Pubblica Sicurezza anch'esso risalente al 1941, anno XIX dell'era fascista.
Senza troppo rumore e quasi senza vergogna.

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