"Tav, firmato l'accordo con i sindaci. Svolta dopo anni di muro
contro muro. Nel 2009 i primi lavori sulle stazioni". Questo il titolo
de La Stampa del 30 giugno. Con enfasi tutti i principali quotidiani
hanno annunciato la fine dell'anomalia valsusina e l'avvio di una fase
di concertazione destinata alla realizzazione dell'opera.
In realtà niente di nuovo o imprevisto: il percorso finale
dell'Osservatorio tecnico sulla Torino Lyon era fissato sin dal 13
febbraio di quest'anno, quando il governo Prodi, a camere ormai
sciolte, volle ad ogni costo convocare una riunione del Tavolo politico
sul Tav, il cosiddetto Tavolo di Palazzo Chigi, per sancire un percorso
che doveva necessariamente concludersi a giugno con i tracciati. In
quell'occasione venne stabilito che la questione sul tappeto non era se
fare il tav ma come farlo. Entro la fine di giugno l'Osservatorio
avrebbe dovuto concludere i propri lavori. Una data improrogabile
poiché l'UE, che ha stanziato quasi 700 milioni di euro per
l'opera, confermerà il finanziamento solo sulla base di un
tracciato preciso. I sindaci ormai recitano a soggetto ma la farsa non
convince più nessuno. Il Presidente della Comunità
montana bassa Val Susa, Antonio Ferrentino, dopo l'incontro del Tavolo
politico affermò che l'Osservatorio non avrebbe deciso i
tracciati ma si sarebbe limitato a delineare "scenari trasportistici".
Oggi, dopo l'accordo di Prà Catinat, Ferrentino parla di
"suggestioni" e continua a negare che i tracciati siano stati
stabiliti. Spettacolare l'intervista nella quale Ferrentino e Virano,
il presidente dell'Osservatorio tecnico, fianco a fianco, dichiarano
rispettivamente "non c'è accordo sul tunnel di base" e "il
tunnel partirà da Susa".
Sebbene ufficialmente i tracciati non ci siano, viene da domandarsi se
all'UE verranno presentate "suggestioni" o progetti. Ricordiamo che i
soldi stanziati dall'UE sono stati assegnati alla tratta
transfrontaliera della Torino Lyon e non all'intero percorso. In altre
parole i 700 milioni di euro servono per il tunnel di base di 52 km
(oggi indiscrezioni giornalistiche parlano di 57) tra la bassa Val Susa
(Venaus? Chiomonte? Susa?) e S. Jean de Maurienne.
È sin troppo chiaro che in questo gioco delle tre carte intorno
al Tav nel Piemonte occidentale la propaganda gioca un ruolo
fondamentale: la partita, quella vera, quella che va avanti da quasi
tre anni è quella contro i No Tav. Ormai da mesi i giornali
suonano ossessivamente la stessa canzone: la concertazione tra
amministrazioni locali e governo centrale (poco importa che in sella
stia Prodi o Berlusconi) sta dando i frutti sperati, il movimento No
Tav è ormai un movimento residuale, animato da una minoranza di
irriducibili estremisti.
Il 17 giugno i tecnici della Comunità montana Bassa Val Susa
hanno presentato le loro "suggestioni" sul futuro della Val Susa
attraversata dal Tav, chiamando la nuova linea "F.A.R.E." – Ferrovie
Alpine Ragionevoli ed Efficienti. La strategia, in fondo sempre la
stessa da tre anni, consiste nel dilazionare nel tempo scelte e lavori.
La tesi esposta nel documento è quella di procedere per quattro
fasi, in base all'urgenza degli interventi proposti. Le fasi sarebbero
quattro: nodo di Torino – considerato prioritario – collegamento con
Avigliana, linea sino a Susa e poi, per ultimo, il tunnel di base. In
tal modo solo dopo aver terminato i lavori nella prima fase si
potrà passare alla seconda e poi alla terza e alla quarta. In
altre parole cade qualsiasi opposizione all'opera nel suo complesso,
vengono accantonate le ragioni del movimento che la considera inutile,
dannosa, un costo insostenibile per la comunità.
È l'ultimo atto di un lungo percorso di concertazione iniziato
all'indomani della rivolta No Tav che, nel dicembre del 2005,
portò la Val Susa al centro delle cronache e delle
preoccupazioni del governo. Nella lunga scheda nella pagina accanto si
ricostruiscono le fasi salienti di questa vicenda.
Il 4 luglio, in un'assemblea affollatissima a Bussoleno, i No Tav hanno
ribadito con forza il proprio "no" all'opera senza se e senza ma,
annunciando la volontà di scendere in piazza in occasione della
riunione del Tavolo politico sul Tav, il tavolo di Palazzo Chigi,
previsto per il mese di luglio a Roma.
Un segnale importante che tuttavia non cancella l'immobilismo che ha
segnato gli ultimi mesi, un immobilismo pericoloso, che ha portato a
rimandare di mese in mese l'indizione di una grande manifestazione.
L'ultimo grande corteo No Tav, convocato superando non poche
resistenze, si è svolto il 31 marzo del 2007 da Trana ad
Avigliana. Questo 28 giugno, mentre a Prà Catinat veniva sancito
l'accordo sul Tav, solo una componente del movimento, quella che fa
riferimento alla Rete torinese "Saldatura", ha promosso un'iniziativa
di piazza a Torino che ha raccolto qualche centinaio di No Tav anche
dalla Val Susa e dalla Gronda.
Accusati di "impoliticità" i No Tav avevano saputo riconiugare
la politica come partecipazione diretta, capace di decisioni e
rappresentanza autonome rispetto al quadro politico istituzionale. Una
grande ricchezza che si sta lentamente esaurendo. In troppi hanno
dimenticato che il Tav venne fermato sui prati di Venaus dalla rivolta
popolare e non dalla concertazione istituzionale.
In questi anni di "tregua" si è costituito un nuovo partito,
che, facendo proprie le istanze di partecipazione diretta del
movimento, sta provando ad incanalarle nell'alveo istituzionale.
Già da qualche mese sono state annunciate le liste alle elezioni
comunali previste la prossima primavera. Nel programma il tema della
democrazia partecipativa la fa da padrone, riproponendo l'illusione
pericolosa dei "sindaci amici", delle comunità che partecipano
alle scelte delle amministrazioni. Curioso che la "democrazia
partecipata", bandiera sino a pochi mesi or sono di Ferrentino &
C., sia stata fatta propria anche dai commentatori "Si Tav", che la
considerano l'arma vincente usata per rompere le resistenze alla nuova
Torino Lyon.
Sapremo nei prossimi mesi se il movimento saprà riprendere il
proprio cammino o si impantanerà nel triste gioco delle liste e
delle poltrone.
m. m.