Umanità Nova, n.25 del 13 luglio 2008, anno 88

Afganistan. Tutti al fronte!


Un militare americano che accompagna i giornalisti italiani dalla pista di atterraggio alla base di Farah, sotto un sole cocente, alla domanda da che parte arrivi la minaccia talebana, risponde: "Da nord, da sud...", e poi fa segno con la mano che in realtà i ribelli sono tutt'intorno.
(Reuters, 1° luglio 2008)

Il mese di giugno si è chiuso con un dato eloquente: non solo per il secondo mese consecutivo i soldati Usa e Nato in Afganistan hanno registrato più vittime (45) di quelle contate tra i ben più numerosi reparti che occupano l'Iraq (31), dato che in Afganistan operano circa 80 mila militari mentre in Iraq dovrebbero essere oltre il doppio.
Sempre attenendosi alle cifre ufficiali è stato anche il mese con il record di caduti della Nato in sette anni di guerra in Afganistan; tra i caduti, per la prima volta, anche una soldatessa britannica, la 106ª perdita tra i soli reparti inglesi dall'ottobre 2001.
L'aggravamento del contesto bellico è segnalato dalle stesse autorità statunitensi che registrano un aumento del 40% di attacchi nell'est afgano rispetto al 2007; nel Report Toward Security and Stability in Afganistan, stilato dal Pentagono per il Congresso Usa, viene ammessa con preoccupazione la "capacità di ripresa" della guerriglia, così come la sua potenzialità offensiva.
Soltanto per il ministro della difesa La Russa "il numero complessivo delle attività ostili si è notevolmente ridotto".
Fino a qualche tempo fa, i politici prevedevano sino al 2011 il protrarsi dell'intervento militare Nato-Usa per permettere la ricostruzione e l'addestramento delle forze armate afgane, ma adesso analisti e generali ritengono necessaria tale presenza per 10-15 anni.
Inoltre, nel mese giugno è avvenuto lo spettacolare assalto al carcere-lager di Kandahar con cui la guerriglia ha liberato 886 detenuti, di cui circa metà talebani; mentre presso la base di Bagram è in fase di trasloco il campo di detenzione speciale di Guantanamo.
Ma gli "insorgenti" non sono l'unico problema per le truppe Usa /Nato e per l'esercito governativo afgano; dato che ogni settimana che passa cresce l'avversione popolare nei confronti degli occupanti stranieri e dei loro accoliti.
Tale aperta inimicizia verso le truppe occidentali determina sovente manifestazioni di piazza come quella avvenuta a Khogyani, nella provincia orientale di Nangarhar, dove centinaia di persone hanno protestato contro gli americani dopo che un missile lanciato da un elicottero Apache aveva distrutto una casa uccidendo un bambino e suo padre, prevedibilmente inseriti dai comandi nel numero dei talebani in armi uccisi in combattimento.
Oltre a queste continue stragi di civili sotto i bombardamenti, continuamente spacciate per battaglie vittoriose, come quella del 10 giugno quando sono rimaste uccise 33 persone durante un'incursione aerea contro il villaggio di Ebrahim Kariz, la popolazione non tollera più le violenze compiute perpetrate impunemente dai soldati governativi che operano con le truppe Nato e Usa, tanto che gli stessi comandi militari canadesi hanno di recente ordinato ai propri soldati di ignorare gli stupri commessi dalla soldataglia afgana su donne e bambini. Analoghe violenze sono state denunciate da Amnesty International ad opera di mercenari al servizio degli occupanti.
Le difficoltà sul campo incontrate dai "liberatori" sono ormai ammesse dagli stessi comandi che chiedono ulteriori 10 mila soldati per affrontare quest'estate di sangue, anche in relazione alla situazione ormai di guerra aperta sul confine col Pakistan.
La strategia offensiva dei filotalebani e delle milizie loro alleate, infatti, vede attualmente due fronti principali: quello a sud ed uno ad est, oltre a mantenere una considerevole pressione nella provincia di Kabul, dove peraltro il consenso popolare verso i "liberatori" si è dimezzato in conseguenza sia del loro spadroneggiare sia per lo stato diffuso d miseria.
Vengono segnalati pure spostamenti di gruppi di combattenti jihadisti dall'Iraq, con un crescendo di attentati suicidi estranei alle tradizioni tattiche della resistenza afgana.
Nell'ambito di questo accerchiamento, pure la provincia di Herat e quella della capitale che vedono la presenza militare italiana sono ormai diventate di prima linea e quindi tutte le ultime decisioni del governo italiano e della Nato sono state prese in funzione di questa contingenza.
Tra queste alcune sono ormai state rese note dai ministri Frattini e La Russa.
A partire dal 5 agosto, quando l'Italia cederà ai francesi il comando della regione di Kabul, dei 1300 militari ivi presenti circa 500 uomini verranno spostati alla regione Ovest, tra Farah (dove attualmente si trovano circa 160 uomini comprese le forze speciali della Task Force 45) e Delaram, enclave del Sud inserita nella regione Ovest, col compito di contrastare le infiltrazioni della guerriglia verso il Nord.
Programmato anche l'invio di altri 40 carabinieri per l'addestramento della polizia afgana e ulteriori militi della Guardia di finanza.
Resta comunque indefinito il numero complessivo dei militari italiani attivi in Afganistan: nel sito della Difesa si afferma che è stato autorizzato l'impiego di 2.350 militari, ma i dati ufficiali forniti dalla Nato al febbraio 2008 erano 2.880.
I reparti italiani avranno inoltre un impiego più flessibile, rapido e offensivo, soprattutto per quanto concerne l'operatività dei vari reparti speciali, secondo le regole d'ingaggio Nato. La "revisione" dei caveat permetterà quindi - per quanto viene fatto trapelare - un impiego stabile e illimitato dei soldati italiani e, in 6 ore di tempo, il governo di Roma potrà decidere ulteriori coinvolgimenti richiesti dagli alleati, anche fuori dalle aree affidate al controllo italiano. Resta comunque valida, aldilà degli aspetti tecnici, la definizione offerta da William Langewiesche, autore di un libro intitolato proprio «Regole d'ingaggio», secondo il quale queste non sono altro che "le norme scritte che sanciscono chi si possa e chi non si possa uccidere".
A supporto dei nuovi impegni, è previsto l'aumento del numero degli elicotteri e forse il costoso dislocamento, già annunciato due estati fa, di una sezione di cacciabombardieri Tornado.
Ad onore, ovviamente militaresco, del ministro La Russa, va comunque riconosciuto che ha ammesso quello che l'opposizione alla guerra (compresa questa testata) andava denunciando da tempo: i reparti italiani e, in particolari quelli speciali della Task Force 45 e della Forza di reazione rapida, stanno partecipando ai combattimenti contro la guerriglia da almeno un anno, circostanza tenuta seminascosta dal precedente governo di centrosinistra.
Da parte nostra non abbiamo atteso le parole del ministro, per sapere che i militari italiani non sono in Afganistan "per portare caramelle".

U.F.

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