Un militare americano che
accompagna i giornalisti italiani dalla pista di atterraggio alla base
di Farah, sotto un sole cocente, alla domanda da che parte arrivi la
minaccia talebana, risponde: "Da nord, da sud...", e poi fa segno con
la mano che in realtà i ribelli sono tutt'intorno.
(Reuters, 1° luglio 2008)
Il mese di giugno si è chiuso con un dato eloquente: non solo
per il secondo mese consecutivo i soldati Usa e Nato in Afganistan
hanno registrato più vittime (45) di quelle contate tra i ben
più numerosi reparti che occupano l'Iraq (31), dato che in
Afganistan operano circa 80 mila militari mentre in Iraq dovrebbero
essere oltre il doppio.
Sempre attenendosi alle cifre ufficiali è stato anche il mese
con il record di caduti della Nato in sette anni di guerra in
Afganistan; tra i caduti, per la prima volta, anche una soldatessa
britannica, la 106ª perdita tra i soli reparti inglesi
dall'ottobre 2001.
L'aggravamento del contesto bellico è segnalato dalle stesse
autorità statunitensi che registrano un aumento del 40% di
attacchi nell'est afgano rispetto al 2007; nel Report Toward Security
and Stability in Afganistan, stilato dal Pentagono per il Congresso
Usa, viene ammessa con preoccupazione la "capacità di ripresa"
della guerriglia, così come la sua potenzialità offensiva.
Soltanto per il ministro della difesa La Russa "il numero complessivo
delle attività ostili si è notevolmente ridotto".
Fino a qualche tempo fa, i politici prevedevano sino al 2011 il
protrarsi dell'intervento militare Nato-Usa per permettere la
ricostruzione e l'addestramento delle forze armate afgane, ma adesso
analisti e generali ritengono necessaria tale presenza per 10-15 anni.
Inoltre, nel mese giugno è avvenuto lo spettacolare assalto al
carcere-lager di Kandahar con cui la guerriglia ha liberato 886
detenuti, di cui circa metà talebani; mentre presso la base di
Bagram è in fase di trasloco il campo di detenzione speciale di
Guantanamo.
Ma gli "insorgenti" non sono l'unico problema per le truppe Usa /Nato e
per l'esercito governativo afgano; dato che ogni settimana che passa
cresce l'avversione popolare nei confronti degli occupanti stranieri e
dei loro accoliti.
Tale aperta inimicizia verso le truppe occidentali determina sovente
manifestazioni di piazza come quella avvenuta a Khogyani, nella
provincia orientale di Nangarhar, dove centinaia di persone hanno
protestato contro gli americani dopo che un missile lanciato da un
elicottero Apache aveva distrutto una casa uccidendo un bambino e suo
padre, prevedibilmente inseriti dai comandi nel numero dei talebani in
armi uccisi in combattimento.
Oltre a queste continue stragi di civili sotto i bombardamenti,
continuamente spacciate per battaglie vittoriose, come quella del 10
giugno quando sono rimaste uccise 33 persone durante un'incursione
aerea contro il villaggio di Ebrahim Kariz, la popolazione non tollera
più le violenze compiute perpetrate impunemente dai soldati
governativi che operano con le truppe Nato e Usa, tanto che gli stessi
comandi militari canadesi hanno di recente ordinato ai propri soldati
di ignorare gli stupri commessi dalla soldataglia afgana su donne e
bambini. Analoghe violenze sono state denunciate da Amnesty
International ad opera di mercenari al servizio degli occupanti.
Le difficoltà sul campo incontrate dai "liberatori" sono ormai
ammesse dagli stessi comandi che chiedono ulteriori 10 mila soldati per
affrontare quest'estate di sangue, anche in relazione alla situazione
ormai di guerra aperta sul confine col Pakistan.
La strategia offensiva dei filotalebani e delle milizie loro alleate,
infatti, vede attualmente due fronti principali: quello a sud ed uno ad
est, oltre a mantenere una considerevole pressione nella provincia di
Kabul, dove peraltro il consenso popolare verso i "liberatori" si
è dimezzato in conseguenza sia del loro spadroneggiare sia per
lo stato diffuso d miseria.
Vengono segnalati pure spostamenti di gruppi di combattenti jihadisti
dall'Iraq, con un crescendo di attentati suicidi estranei alle
tradizioni tattiche della resistenza afgana.
Nell'ambito di questo accerchiamento, pure la provincia di Herat e
quella della capitale che vedono la presenza militare italiana sono
ormai diventate di prima linea e quindi tutte le ultime decisioni del
governo italiano e della Nato sono state prese in funzione di questa
contingenza.
Tra queste alcune sono ormai state rese note dai ministri Frattini e La Russa.
A partire dal 5 agosto, quando l'Italia cederà ai francesi il
comando della regione di Kabul, dei 1300 militari ivi presenti circa
500 uomini verranno spostati alla regione Ovest, tra Farah (dove
attualmente si trovano circa 160 uomini comprese le forze speciali
della Task Force 45) e Delaram, enclave del Sud inserita nella regione
Ovest, col compito di contrastare le infiltrazioni della guerriglia
verso il Nord.
Programmato anche l'invio di altri 40 carabinieri per l'addestramento
della polizia afgana e ulteriori militi della Guardia di finanza.
Resta comunque indefinito il numero complessivo dei militari italiani
attivi in Afganistan: nel sito della Difesa si afferma che è
stato autorizzato l'impiego di 2.350 militari, ma i dati ufficiali
forniti dalla Nato al febbraio 2008 erano 2.880.
I reparti italiani avranno inoltre un impiego più flessibile,
rapido e offensivo, soprattutto per quanto concerne
l'operatività dei vari reparti speciali, secondo le regole
d'ingaggio Nato. La "revisione" dei caveat permetterà quindi -
per quanto viene fatto trapelare - un impiego stabile e illimitato dei
soldati italiani e, in 6 ore di tempo, il governo di Roma potrà
decidere ulteriori coinvolgimenti richiesti dagli alleati, anche fuori
dalle aree affidate al controllo italiano. Resta comunque valida,
aldilà degli aspetti tecnici, la definizione offerta da William
Langewiesche, autore di un libro intitolato proprio «Regole
d'ingaggio», secondo il quale queste non sono altro che "le norme
scritte che sanciscono chi si possa e chi non si possa uccidere".
A supporto dei nuovi impegni, è previsto l'aumento del numero
degli elicotteri e forse il costoso dislocamento, già annunciato
due estati fa, di una sezione di cacciabombardieri Tornado.
Ad onore, ovviamente militaresco, del ministro La Russa, va comunque
riconosciuto che ha ammesso quello che l'opposizione alla guerra
(compresa questa testata) andava denunciando da tempo: i reparti
italiani e, in particolari quelli speciali della Task Force 45 e della
Forza di reazione rapida, stanno partecipando ai combattimenti contro
la guerriglia da almeno un anno, circostanza tenuta seminascosta dal
precedente governo di centrosinistra.
Da parte nostra non abbiamo atteso le parole del ministro, per sapere
che i militari italiani non sono in Afganistan "per portare caramelle".
U.F.