Umanità Nova, n.25 del 13 luglio 2008, anno 88

ThyssenKrupp. Il costo della vita


È iniziato a Torino il processo per il rogo della ThyssenKrupp in seguito al quale nel dicembre scorso morirono sette operai. È iniziato il processo, ma senza la costituzione di parte civile dei parenti stretti delle vittime, tutti risarciti con la complessiva somma di circa 13 milioni di euro. La vicenda colpisce da più punti di vista.
I famigliari dei lavoratori morti nell'acciaieria torinese si sono da subito affidati ad alcuni avvocati civilisti e penalisti torinesi, nessuno legato al sindacato. I legali di CGIL-CISL-UIL hanno invece curato la costituzione di parte civile per i sindacati stessi e per alcune decine di colleghi dei defunti. I legali dei famigliari delle vittime hanno trattato direttamente con l'azienda, mentre la procura della repubblica formulava un'imputazione di omicidio volontario a carico del legale rappresentante dell'azienda, un fatto del tutto nuovo in un ordinamento che di solito punisce come omicidio colposo la morte di un lavoratore per violazione delle norme antinfortunistiche. La mediatizzazione del processo si sarebbe esaltata con vedove ed orfani in aula e la difesa dell'azienda ha fatto mettere alla sua cliente mano al portafoglio. Il risarcimento è così sensibilmente più elevato di quelli standard e ha fatto parlare qualcuno di "danno punitivo", quell'istituto tutto americano per cui il danneggiante viene condannato a pagare, oltre il danno in senso stretto una cifra forfettaria che però abbia incidenza sul patrimonio del danneggiante stesso, una cifra che "si senta".
In realtà, la cifra della liquidazione del danno nella vicenda ThyssenKrupp è certamente alta, fondamentalmente per chi la riceve; ma per l'azienda che la deve erogare equivale ad una quota di bilancio per una volta un po' maggiore del solito. Si potrebbe anche ragionare sulla differenza tra costi che l'azienda avrebbe dovuto sostenere per rendere sicuro lo stabilimento di Torino, che tanto aveva deciso di chiudere e smantellare, ed il costo del risarcimento oggi effettuato. Sul piano meramente contabile, la vita dei lavoratori è una "voce di bilancio", ma anche questa non è una novità.
Semmai la morte dei sette operai torinesi su una linea in quasi smantellamento dovrebbe spingere a riflettere sulla debolezza dei lavoratori davanti al padrone o sulla loro, non si sa quanto, rassegnata accettazione di uno stato di fatto che pare immodificabile. La domanda, in altre parole, è: perché i lavoratori ThyssenKrupp tutti, di Torino, di Terni, del resto d'Europa, del resto del mondo, non sono stati in grado di impedire che accadesse quel che è accaduto? Che il padrone sia un criminale che risparmia sulla sicurezza è un punto di partenza, non la conclusione, una scoperta, dopo una strage come questa. Ed i sindacati, le rsu, i territoriali, gli rls? E le "autorità pubbliche" (comune, provincia, regione) che oggi si costituiscono parte civile? E il cardinale che ha recitato le sue omelie funebri? E lo stato, i giudici, la polizia ed i carabinieri? Dove era la Torino "sempre in movimento", la Torino che "non dorme mai", come recitano gli slogan?
Il mega risarcimento a vedove ed orfani è un ottimo paravento per tanti e ne dovremo credo vedere ancora delle belle a dicembre prossimo, nel primo anniversario della strage: film, celebrazioni, ecc. La vita e la morte degli operai spettacolarizzate, trasformate in "evento": per uscire dal cono d'ombra mediatico in cui si sono lasciati relegare i lavoratori subordinati devono bruciare come torce in una "normale" notte di movida subalpina. E qui la festa?

W.B.

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