È iniziato a Torino il processo per il rogo della
ThyssenKrupp in seguito al quale nel dicembre scorso morirono sette
operai. È iniziato il processo, ma senza la costituzione di
parte civile dei parenti stretti delle vittime, tutti risarciti con la
complessiva somma di circa 13 milioni di euro. La vicenda colpisce da
più punti di vista.
I famigliari dei lavoratori morti nell'acciaieria torinese si sono da
subito affidati ad alcuni avvocati civilisti e penalisti torinesi,
nessuno legato al sindacato. I legali di CGIL-CISL-UIL hanno invece
curato la costituzione di parte civile per i sindacati stessi e per
alcune decine di colleghi dei defunti. I legali dei famigliari delle
vittime hanno trattato direttamente con l'azienda, mentre la procura
della repubblica formulava un'imputazione di omicidio volontario a
carico del legale rappresentante dell'azienda, un fatto del tutto nuovo
in un ordinamento che di solito punisce come omicidio colposo la morte
di un lavoratore per violazione delle norme antinfortunistiche. La
mediatizzazione del processo si sarebbe esaltata con vedove ed orfani
in aula e la difesa dell'azienda ha fatto mettere alla sua cliente mano
al portafoglio. Il risarcimento è così sensibilmente
più elevato di quelli standard e ha fatto parlare qualcuno di
"danno punitivo", quell'istituto tutto americano per cui il
danneggiante viene condannato a pagare, oltre il danno in senso stretto
una cifra forfettaria che però abbia incidenza sul patrimonio
del danneggiante stesso, una cifra che "si senta".
In realtà, la cifra della liquidazione del danno nella vicenda
ThyssenKrupp è certamente alta, fondamentalmente per chi la
riceve; ma per l'azienda che la deve erogare equivale ad una quota di
bilancio per una volta un po' maggiore del solito. Si potrebbe anche
ragionare sulla differenza tra costi che l'azienda avrebbe dovuto
sostenere per rendere sicuro lo stabilimento di Torino, che tanto aveva
deciso di chiudere e smantellare, ed il costo del risarcimento oggi
effettuato. Sul piano meramente contabile, la vita dei lavoratori
è una "voce di bilancio", ma anche questa non è una
novità.
Semmai la morte dei sette operai torinesi su una linea in quasi
smantellamento dovrebbe spingere a riflettere sulla debolezza dei
lavoratori davanti al padrone o sulla loro, non si sa quanto,
rassegnata accettazione di uno stato di fatto che pare immodificabile.
La domanda, in altre parole, è: perché i lavoratori
ThyssenKrupp tutti, di Torino, di Terni, del resto d'Europa, del resto
del mondo, non sono stati in grado di impedire che accadesse quel che
è accaduto? Che il padrone sia un criminale che risparmia sulla
sicurezza è un punto di partenza, non la conclusione, una
scoperta, dopo una strage come questa. Ed i sindacati, le rsu, i
territoriali, gli rls? E le "autorità pubbliche" (comune,
provincia, regione) che oggi si costituiscono parte civile? E il
cardinale che ha recitato le sue omelie funebri? E lo stato, i giudici,
la polizia ed i carabinieri? Dove era la Torino "sempre in movimento",
la Torino che "non dorme mai", come recitano gli slogan?
Il mega risarcimento a vedove ed orfani è un ottimo paravento
per tanti e ne dovremo credo vedere ancora delle belle a dicembre
prossimo, nel primo anniversario della strage: film, celebrazioni, ecc.
La vita e la morte degli operai spettacolarizzate, trasformate in
"evento": per uscire dal cono d'ombra mediatico in cui si sono lasciati
relegare i lavoratori subordinati devono bruciare come torce in una
"normale" notte di movida subalpina. E qui la festa?
W.B.