Umanità Nova, n.25 del 13 luglio 2008, anno 88

Inform@zione


Carrara: non bastano 20 putrelle!

Sullo scorso numero di UN riferimmo del cedimento di una delle colonne portanti del palazzo Politeama, al cui interno sono i locali del gruppo Germinal di Carrara e la sede dell'omonimo archivio storico. Un intervento di emergenza pare aver posto fine al rischio immediato di crollo ma la situazione è ben lungi dall'essere sicura.
Gli anarchici del Germinal FAI hanno annunciato in un comunicato del 27 giugno che la loro protesta per la messa in sicurezza del palazzo va avanti. Riportiamo di seguito il testo del comunicato.
"Nonostante l'ordinanza di cessato allarme riguardo al pericolo di crollo nel palazzo Politeama, gli anarchici del Germinal non ritengono che la struttura possa dichiararsi sicura.
Siamo stati presenti in piazza Matteotti fin dal pomeriggio del lunedì e abbiamo mantenuto il nostro presidio per quattro giorni e tre notti ininterrottamente, siamo stati gli ultimi a lasciare la piazza e abbiamo potuto assistere direttamente a tutte le fasi dell'emergenza.
20 anni di abusi edilizi, 20 anni di speculazioni, 20 anni di condoni non si sanano con 20 putrelle!
Nonostante tutte le nostre denunce e quelle del Comitato di difesa del palazzo Politeama è stata necessaria una mancata strage per riaccendere l'attenzione su un palazzo che è uno dei simboli della città.
Non siamo disposti ad accettare di veder ancora una volta cadere nell'oblio una ferita ancora aperta nel cuore stesso di Carrara.
Continueremo la nostra lotta, la nostra opera di pubblica denuncia e di controinformazione, e la nostra attenzione non calerà mai affinché tutto non venga per l'ennesima volta insabbiato.
La bandiera degli anarchici sventola e sventolerà ancora dal salone del Germinal listata a lutto per ricordare a tutta la cittadinanza e soprattutto a tutti i palazzinari e a tutti i politici che non ci accontenteremo delle solite scuse di sempre.
La nostra sede che dal 1945 è sempre stata aperta alla cittadinanza oltre che per iniziative politiche anche per iniziative sociali e culturali, resterà chiusa al pubblico finché non avremo la certezza della sicurezza dell'intera struttura, e le nostre iniziative si svolgeranno in piazza.
Gruppo anarchico Germinal - FAI Carrara"

Bologna: giornate anticlericali

Come comunicato per mezzo di Umanità Nova (ma con segnalazioni anche di Germinal, A-rivista anarchica, Indymedia Emilia Romagna) si sono svolte dal 20 al 22 giugno le Giornate Anticlericali presso la casa del popolo di Ponticelli di Malalbergo nella provincia di Bologna.
Se dovessimo dare la partecipazione in termini "alberghieri" potremmo parlare di oltre 1000 presenze, in realtà si sono ritrovate circa 300 persone ogni sera (con un certo turn-over) ed una partecipazione diurna di meno di 100 persone. Le compagne ed i compagni presenti, pochini, venivano un po' da tutt'Italia: da Vicenza a Ragusa e da Torino a Lecce, giusto per dare una dimensione.
Quindi una partecipazione al di sotto delle aspettative dopo che, per alcuni anni, mancava un appuntamento di questa natura per il movimento anticlericale a noi più vicino.
Un bilancio agro-dolce: sempre buono il livello del dibattito ma scarsa la capacità di comunicazione sia con il territorio che con il "movimento". Questo dovrà produrre una riflessione circa il contenuto e le forme della propaganda anticlericale e della necessaria lotta contro uno dei pilastri del potere costituito. La diffusione dell'evento, soprattutto a livello locale, non è mancata: manifesti e volantini sono stati diffusi in città e provincia; i principali quotidiani locali hanno dato (già dal giovedì) informazione dell'iniziativa; le radio "di movimento" avevano dato il comunicato della festa; il Resto del Carlino (sezione locale del Quotidiano Nazionale) ha, in modo impareggiabile, criminalizzato la festa ma, come si suol dire, ha fatto ampia propaganda all'evento stesso.
Fra le persone convenute c'è stato un clima festoso e conviviale tanto che, soprattutto chi entrava in contatto per la prima volta con questa realtà, ha avanzato la richiesta di una ripetizione dell'iniziativa.
Per la rivista LiberAmente che ha contribuito con la sua rete redazionale alla costruzione di questo appuntamento, si è trattato di una importante occasione di diffusione.
redb

Bologna: Pride con arresto sul palco

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Con questo "proverbio" un po' sarcastico si può commentare la "disavventura" occorsa ad una compagna di "facciamo breccia" che è stata arrestata sul palco dove si tenevano i comizi finali della manifestazione.
Ovviamente siamo solidali con Graziella Bertozzo e riteniamo che ciò che lei ha subito sia l'ennesimo sopruso esercitato della polizia ma la novità è che gli organizzatori del Pride sono stati parte attiva nel suo arresto e che l'intervento della polizia è stato "chiamato" dal palco.
Riprendiamo una parte del comunicato presente sul sito http://www.facciamobreccia.org/: "Graziella Bertozzo, a differenza delle altre e degli altri attiviste/i di Facciamo Breccia, viene fermata all'ingresso del palco da una volontaria del Comitato Bologna Pride e da questa additata ad un uomo in borghese che non si è qualificato in nessun modo e che solo dopo avremmo appreso che era un funzionario della Digos. Graziella viene spintonata a terra e quindi cerca di rialzarsi (non sapendo che l'uomo che l'aveva fermata era un funzionario di polizia), intervengono allora altri poliziotti in divisa, la ammanettano e la trascinano fuori dalla piazza tenendole una mano sul collo, abbassandole la testa verso terra, la caricano a forza su un cellulare e la portano via a sirene spiegate"
Per altro il motivo della contesa è strettamente legato ad una vicenda "bolognese": la gestione che è stata fatta in questi anni dell'Arcigay e della sede storica del movimento in città (il cassero). Graziella Bertozzo è stata atterrata dalla Digos quando sul palco veniva steso uno striscione che (per quanto indirettamente, riprendiamo ancora dal comunicato [il nostro coordinamento saliva sul palco per aprire uno striscione con la scritta: "28 giugno 1982. Indietro non si torna. Facciamo Breccia" per rivendicare la storia del movimento lesbico, gay e trans che in quella data aveva ottenuto il Cassero di Porta Saragozza, prima sede assegnata da un'istituzione pubblica al movimento, poi restituita nel 2001 alla Curia]) contestava questa politica rivendicando l'occupazione del cassero di porta Saragozza che le logiche pattizzie messe in atto dall'Arcigay hanno riconsegnato alla curia bolognese.
Non sarà quindi un "equivoco" (come recita il comunicato di Facciamo Breccia) ma la conseguenza delle modalità scelte dal movimento LGBT di condurre questa manifestazione.
Già nei giorni precedenti si erano sviluppate polemiche e prese di posizione per il carattere assolutamente "trasversale" della manifestazione che prevedeva la partecipazione dei gay di destra, dei gay della polizia di stato e dei gay della chiesa cattolica. Il movimento LGBT è sempre stato e ciò soprattutto negli ultimi anni, un punto di riferimento non solo per la rivendicazione della diversità ma anche per la lotta che accomuna omo ed etero contro le discriminazioni, la superstizione, i pregiudizi e le strutture di potere. Accogliere nel proprio seno, in nome di una trasversalità della realtà LGBT, organizzazioni espressamente discriminanti e animate da forti pregiudizi era un segnale di opportunismo da una parte e di forte contraddizione e debolezza dall'altra.
Le componenti più radicali di questo movimento hanno dato vita ad un corteo autonomo (Due Torri – Giardini Margherita) sottolineando il dissenso e i contenuti "traditi" (antifascismo, antirazzismo, etc.) ma sono poi confluite nella grande kermesse.
Il fatto "stupefacente" verificatosi in piazza 8 Agosto al termine della manifestazione che ha portato all'arresto di Graziella Bertozzo, è la conseguenza della kermesse blindata voluta dagli organizzatori istituzionali.
Una veloce cronaca della giornata mette in evidenza come il Pride bolognese fosse solo la rappresentazione nazionale di un movimento che è stato comunque capace di esprimersi in tanti Pride "locali" nelle scorse settimane. Circa 40 mila le persone che hanno sfilato in un corteo fortemente caratterizzato dai mega-tir-discoteche e che vedeva qualche spunto di critica sociale e politica in ben più ridotti striscioni o volantini. Nella città, per altro, si segnalavano numerosi gruppi di manifestanti che "non sfilavano" e che hanno dato vita, nella serata e nella notte, a feste "illegali" fuori dai circuiti e dagli ambiti che vogliono "normalizzare" questo movimento. Un po' ovunque uno dei principali bersagli della protesta era il papa ed il vaticano che conducono la più pervicace discriminazione nei confronti della libertà sessuale della persone.
redb

Torino: occupato atrio del museo Egizio

Nel pomeriggio di domenica 29 giugno un gruppo di antirazzisti facenti riferimento all'Assemblea Antirazzista ha occupato l'atrio del museo egizio. All'esterno è stato appeso uno striscione con la scritta "Gli egiziani li volete solo schiavi o morti".
La guardia giurata che sorveglia il museo ha dato in escandescenze spintonando qualche manifestante, i responsabili del centro hanno cercato senza successo di rimuovere lo striscione. Dopo alcune fasi concitate hanno capito la natura simbolica del gesto e si sono tranquillizzati.
Due settimane fa a Settimo Milanese tre operai egiziani sono caduti dall'impalcatura del cantiere dove lavoravano: due di loro sono morti. In provincia di Varese un altro egiziano, Said, è stato ucciso dal padrone per il quale lavorava suo fratello, per aver chiesto tre mesi di stipendio non pagato.
Come loro campano e muoiono tanti "senza carte". Le loro vite e le loro morti pesano come macigni sulla coscienza di ciascuno di noi, che viviamo in un paese dove leggi razziste relegano nel limbo dell'irregolarità migliaia di esseri umani.
Sta a noi metterci in mezzo, fermare questa barbarie quotidiana.
Ai visitatori che entravano al Museo è stato distribuito un volantino che riportiamo sotto.
"Gentili visitatrici, gentili visitatori che state per entrare nel Museo Egizio di Torino, ci permettiamo di interrompere il normale flusso della fila per dirvi due parole. (…)
Molti anni sono passati ormai da quando le mummie che state per vedere arrivarono qui dal lontano Egitto, e non è dato sapere se siano entrate in territorio italiano in modo regolare, o clandestinamente.
Abbiamo il fondato sospetto che siano state trafugate in modo truffaldino, assieme ai tesori di inestimabile valore che sempre qui troverete. Ma in fondo poco importa, perché queste mummie sono arrivate a Torino letteralmente già morte e sepolte da un pezzo.
Capita ovviamente anche al giorno d'oggi che degli stranieri approdino sulle coste italiane, in genere più morti che vivi. E non certo morti per una lunga e ricca vecchiaia, ma affogati durante il naufragio della nave che doveva portarli via dalla loro miseria, come accade di continuo ogni estate, come è accaduto solo qualche giorno fa, con una nave che trasportava decine di disperati provenienti, tra l'altro, proprio dall'Egitto.
Quelli che hanno la fortuna di sopravvivere al viaggio, rischiano poi di incrociare sulla loro strada un poliziotto, e rimanere uccisi durante un "normale controllo di polizia" o di rimanere intrappolati nella tremenda macchina delle espulsioni, per finire in un Cpt in attesa di deportazione. E anche lì rischiano di morire, come è successo un mese fa a Fathi "Hassan" Nejl, morto di polmonite nel lager di corso Brunelleschi, lasciato senza cure dai volontari della Croce Rossa che gestiscono il centro.
Quelli che sulla loro strada hanno la fortuna di trovare un padrone disposto ad assumerli, preferibilmente in nero, rischiano (più degli italiani, le statistiche parlano chiaro) di morire per un incidente sul lavoro. (…)
E quelli che hanno la fortuna di non morire di lavoro, rischiano comunque di morire per mano del padrone in persona, o di suo figlio, come è successo a Said, che era andato ad accompagnare suo fratello a riscuotere due mesi di stipendio arretrato dal padrone di una ditta in quel di Gerenzano, nel produttivo hinterland milanese.
Certo, osserverete ora voi, anche se un morto è un morto e tutti i morti sono uguali, a differenza dei moderni clandestini, i faraoni che state per ammirare avevano dalla loro parte il potere religioso ed economico, e a ben guardare le loro salme ricordano più il cadavere del penultimo papa o quello del penultimo padrone della Fiat. Siamo d'accordo. Infatti anche questi ultimi, come i faraoni di ogni epoca, hanno avuto il privilegio di un addio da parte di lunghe e ordinate file di visitatori.
Ma tutti gli stranieri morti in questi anni rischiano di non avere la stessa fortuna. L'ultimo pericolo che essi ancora corrono è quello di essere presto dimenticati. Questo, di sicuro, dipende anche da noi."
Mort.

Corte Olona: sciopero alla DHL

Nella fu verde "Padania", nella terra sempre meno terra e sempre più cemento in versione Expo 2015, nella terra dove ai bambini è vietato immergere le dita nella cioccolata ma se di etnia Rom allora le si immerge negli inchiostri indelebili delle questure, nella terra dove le macellerie ospedaliere portano nomi di sante, in questo immenso parco giochi degli orrori può ancora succedere che cinque "alieni", cinque lavoratori di nome Harrison Leyanage, Dickson Anthony Silvane, Jayaratne Noel, Wanigatunga (della cooperativa Leonardo), Malko Dritan (coop. Meneghina), e Andrea Del Meglio (coop. Team Logistica resources) decidano di fare un gesto inconsulto, un gesto ai più dimenticato.
Come eroi dei fumetti, i nostri "fantastici 5", insieme con i propri compagni di lavoro, si organizzano e si ribellano contro la propria condizione di sfruttamento e per rivendicare i propri diritti ed interessi.
I paladini dello sfruttamento costituito non stanno certo a guardare e sfoderano subito i soliti loro strumenti repressivi.
Ai nostri "fantastici 5" tocca la sorte di essere spostati di mansione magari passando da carrellista a spazzino di scantinati e insalubri tuguri tanto da guadagnarci una semi paralisi a causa dei solventi utilizzati senza adeguata protezione, oppure di essere licenziati su due piedi dimenticandosi che a casa diversi figli li aspettano per cena…
Per i padroni, anche se i sindacati di Stato loro complici preferiscono chiamarli "datori di lavoro", è intollerabile, è inammissibile che dei lavoratori dagli strani nomi e cognomi, dalla non identificata provenienza, si mettano alla testa di un picchetto, di un volantinaggio, di uno sciopero proprio in casa "loro"…
E se poi i pochi operai padani prendessero coscienza della loro condizione comune?
E se poi si unissero insieme per porre un termine all'ingente somma di profitti che le aziende consorziate alla DHL, ben 21 con oltre 4500 dipendenti, si spartiscono senza minimamente pensare ad una ridistribuzione a chi quella "ricchezza" l'ha prodotta con il proprio sudore e la propria salute?
Ed è proprio quello che è successo alla DHL di Corte Olona. Sciopero!
Fin dalle prime ore dell'alba, con diversi lavoratori, si formano i primi picchetti ai cancelli d'ingresso della DHL.
L'area che ospita questa azienda, tipico scenario da far west in salsa padana, è caratterizzata dal continuo andirivieni di camion inquinanti, da edifici squallidi e anonimi, da fabbriche e fabbrichette luoghi di super produzione e sfruttamento e dove l'immigrazione diventa forza lavoro a basso costo e ad alto tasso di ricattibilità.
Ma oggi lo scenario è ben diverso!
Oggi si sciopera per l'immediato ritiro del licenziamento – arbitrario, illegittimo e vendicativo – nei confronti dell'operaio e delegato sindacale "Slai Cobas" Malko Dritan in forza alla cooperativa Meneghina, e per il ritiro della lettera di contestazione disciplinare contestata al delegato sindacale Andrea Del Meglio assunto nella cooperativa Team Logistica Resources.
Ma lo sciopero trascende la sola rivendicazione di porre termine a questa ingiustizia, a questa vendetta padronale nei confronti dei lavoratori che lottano per i propri diritti e quindi lo sciopero si attua anche per sostanziali aumenti retributivi, per il diritto al servizio mensa sul posto di lavoro e soprattutto per sancire una vera libertà e democrazia sindacale messa a disposizione di tutti i lavoratori nel diritto di libera scelta sulla rappresentanza sindacale.
Lo sciopero è perfettamente riuscito non solo per la determinazione dei lavoratori e lavoratrici interessati ma anche per la reale solidarietà di lotta e di classe dimostrata da chi e accorso in sostegno da Milano (da sottolineare la folta presenza dei compagni e compagne del Coordinamento Antirazzista di Milano a cui noi come F.A.M. partecipiamo attivamente), da Varese e da altre realtà lavorative del sud Lombardia.
Vista la partecipazione e la determinazione dimostratasi nel blocco dei cancelli pressoché totale e dall'insignificante risultato ottenuto dall'allegra brigata costituita da delegati "pompieri" dei sindacati di Stato cgil - cisl e uil, Digos e personaggi simili, la direzione DHL accettava un incontro con la delegazione dei lavoratori in sciopero.
Incontro che serviva a stabilire un calendario di lavoro sulle questioni poste in essere ma soprattutto a condizione preliminare del ritiro immediato dei provvedimenti disciplinari e di licenziamento comminati ai due lavoratori e delegati sindacali.
A termine della giornata di sciopero e di lotta le considerazioni e le analisi sono molteplici e diverse ma sicuramente il primo elemento che emerge nella condivisione della giornata è che le lotte sociali, e soprattutto quelle più prettamente sindacali che si esplicitano sul posto di lavoro, necessitano di più unità possibile.
Una unità che, nel nome unificante della lotta di classe, su obbiettivi chiari e condivisi dalla stragrande maggioranza delle persone coinvolte nella lotta stessa, possa anche trascendere le singole organizzazioni sindacali di base e di classe.
A scuole chiuse oggi, da Corte Olona, in questa bella giornata d'inizio estate, ci giunge una grande lezione.
Paolo Masala

Saronno: dopo Said, a chi toccherà?

Said era un lavoratore egiziano: aveva accompagnato giorni fa il fratello dal suo datore di lavoro per richiedere la paga che non gli era stata data. Il padrone lo ha ucciso. Su questo fatto è sceso il silenzio: qualche minuscolo trafiletto in una pagina interna.
Ma molti non vogliono dimenticare e soprattutto non vogliono accettare come "incidente" un fatto di questa gravità.
Perciò sabato 28 a Saronno, il paese vicino a quello in cui lavorava Said, si è snodato un combattivo corteo.
Circa 1000 persone sono scese in piazza: la comunità egiziana, i sindacati di base, il coordinamento antirazzista, le compagne ed i compagni antirazzisti.
Notevole la presenza di immigrati con striscioni, volantini, cartelli anche in lingua araba.
Il corteo si è snodato per circa tre ore per le strade di Saronno, con numerosissime soste nei punti più frequentati della città.
Un corteo niente affatto silenzioso, che voleva farsi vedere, che voleva risposte, che richiedeva diritti e che era determinato ad ottenerli con la lotta.
La domanda ossessiva ripetuta durante la manifestazione era: perché hanno sparato?
Ma la domanda rimaneva senza risposta perché era chiaro a tutti che la colpa di Said non era solo non essere italiano, ma soprattutto non essere sottomesso ma deciso a mettersi contro il padrone per rivendicare i propri diritti.
La manifestazione è terminata con molti interventi dei lavoratori egiziani. Non è terminata invece la mobilitazione perché tutti i presenti avevano ben chiaro che la manifestazione era solo il punto di partenza di un percorso che vuole abbattere lo sfruttamento e il razzismo. Perché la morte di Said non è stato uno sfortunato incidente, ma la logica conseguenza di un mondo basato sull'ingiustizia e sulla divisione in classi. Perciò non vogliamo che dopo Said tocchi a qualcun altro.
È interessante inoltre notare che alcune compagni/compagne di Saronno e Tradate vicini al coordinamento antirazzista sono stati attivi nella promozione e nella partecipazione alla manifestazione, ma hanno fatto la scelta di non utilizzare striscioni che si riferissero al proprio gruppo politico. Questo modo di operare sta diventando una pratica comune all'interno del coordinamento antirazzista che rifiuta la pratica dell'auto-rappresentanza perché ritiene che la pratica dell'autogestione delle lotte debba essere prioritaria.
Non poteva mancare la perla finale: il quotidiano comunista Il Manifesto, nel dare informazione domenica dava notizia che la GGIL aveva organizzato la manifestazione. La CGIL non ha avuto alcun ruolo se non quello di avere inutilmente tentato di ostacolare la riuscita del corteo e di essere rimasta per un'oretta a "presidiare" la piazza con una dozzina di persone. Dulcis in fundo sono riusciti a eliminare la comunità egiziana, vera protagonista della giornata di lotta.
Anto D'Errico - Commissione Antirazzista FAI

Torino: casa occupata da rumeni

Per tanti, per troppi, il futuro annega ogni giorno nella povertà che pare più dura quando il miraggio dell'Italia delle cartoline dei migranti si frantuma nella quotidianità dello sfruttamento. Così capita che in una domenica di luglio alcune famiglie rumene, baraccate lungo la Stura tra topi, mondezza e fango decidano di prendere l'iniziativa e di strappare con le proprie mani un po' di spazio. Il 6 luglio, in via Pisa 5, è stata occupata una casa. Siamo nel popoloso quartiere Aurora, dove le tracce di quella che è stata una periferia di fabbriche poco a poco scompaiono: restano ancora alcuni scheletri abbandonati all'incuria da anni. Tra i grandi capannoni dell'ex Enel, c'è anche una casa, che è tornata a vivere.
Ci sono bambini ed anziani. Il più piccolo ha 1 anno il più vecchio 81. Stanno pulendo e sistemando le stanze per viverci. Al primo piano, su un balcone, hanno appeso uno striscione con la scritta "Una casa per tutti". Alle porte delle case vicine hanno appeso una lettera nella quale raccontano la loro storia.
"Ci siamo stancati di questa miseria. Siamo un piccolo gruppo di famiglie rumene, famiglie di lavoratori, con tanti bambini che vanno a scuola.
Fino a ieri abbiamo vissuto in condizioni durissime. Abitavamo nelle baracche di via Germagnano: un campo sovraffollato e sporco, senza acqua né elettricità, con i bambini sempre in pericolo in mezzo ai topi e ai serpenti.
Quando c'è stata l'alluvione, solo un mese fa, al campo l'acqua era dappertutto e sono dovuti arrivare i Vigili del Fuoco per toglierla. Ma tolta l'acqua è rimasto il fango dentro alle nostre case e tanti dei nostri figli si sono ammalati.
Ora ci siamo stancati di questa miseria. Da ora in poi vogliamo vivere una vita normale, come tutti voi. È per questo che abbiamo occupato questa casa: sappiamo che è illegale, ma sappiamo anche che è una cosa giusta.
Questa casa è stata abbandonata e vuota per tanto tempo, ma noi la faremo rivivere e la trasformeremo in un posto bello per viverci, per noi e per i nostri bambini."
Euf.

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