Umanità Nova, n.26 del 27 luglio 2008, anno 88

Sentenza per Bolzaneto, requisitoria per la Diaz. Il sasso e il manganello


 grado per le torture di Bolzaneto e dopo qualche giorno le richieste del PM per il massacro alla scuola Diaz.
Il processo per i fatti di Bolzaneto si era aperto nel 2005 ed ha visto sul banco degli imputati agenti e dirigenti della polizia di stato e penitenziaria, carabinieri e personale sanitario accusati di abuso d'ufficio, violenza privata, falso ideologico e abuso di autorità. Durante le oltre 150 udienze ci sono state da una parte le solite testimonianze degli agenti e dei loro superiori che non ricordavano, non avevano visto o che non c'erano proprio e dall'altra quelle delle vittime che descrivevano le vergognose violenze subite in un clima apertamente fascista e razzista.
Dopo tre anni di processo sono arrivate le richieste di condanne complessive a poco più di 76 anni ed una assoluzione: da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 5 anni, 8 mesi e 5 giorni, condanna chiesta per l'ispettore della polizia penitenziaria responsabile della sicurezza a Bolzaneto. Lunedì 14 luglio, dopo 10 ore di camera di consiglio, i giudici hanno emesso la sentenza condannando 15 imputati e assolvendone 30, diminuendo per tutti le pene chieste dai Pubblici Ministeri, alcuni dei condannati sono anche stati interdetti (temporaneamente) dai pubblici uffici. Questa prima sentenza sarà anche l'ultima in quanto, oltre all'indulto, a gennaio 2009 tutti i reati cadranno in prescrizione. Unica consolazione (se si può usare questo termine) è il fatto che è stato riconosciuto un risarcimento preliminare ad alcune delle vittime che dovrebbe essere pagato, a meno di altri intralci, dal Ministero dell'Interno e da quello della Giustizia, condannati anche al pagamento delle spese processuali.
Le valutazioni date su questa sentenza si sono, ovviamente, sprecate. Da destra è stato affermato che la decisione dei giudici ha smontato un teorema, come se la tortura anche di una sola persona (e non è questo il caso) fosse meno grave di quella di centinaia. In pratica è stata riproposta la vecchia e scontata favoletta delle "mele marce" o dei "casi isolati", espressioni normalmente utilizzate dai fanatici del manganello quando, non potendo negare una eclatante evidenza, cercano ignobilmente di minimizzarla. Da parte della "sinistra" ci sono state invece i soliti lamenti sul fatto che nel Codice Penale non sia previsto il reato di tortura o la trita riproposizione della necessità di una (inutile) Commissione di inchiesta parlamentare.
Qualcuno è arrivato persino ad analizzare il significato del termine "tortura", giungendo alla conclusione che non era comunque possibile applicarlo a quanto subito da coloro che sono transitati per Bolzaneto.
Giovedì 16 luglio è stata la volta del processo per l'assalto alla scuola Diaz. In questo caso gli imputati erano soprattutto funzionari della polizia, accusati di falso ideologico, calunnia e arresto illegale. Il Pubblico Ministero ha chiesto di condannarne 28 e di assolverne 1 con pene che variano da pochi mesi a 5 anni, per un totale di 109 anni di carcere. Chiesta anche l'interdizione temporanea dai pubblici uffici e contestualmente le attenuanti generiche in quanto, secondo l'accusa, gli accusati hanno agito in quel modo perché erano convinti di svolgere il proprio dovere. Tra gli altri è stata chiesta la condanna anche per due funzionari che nel frattempo hanno fatto una bella carriera: oggi uno dirige l'Anticrimine e l'altro è un capo dei Servizi Segreti. La pena più alta è stata chiesta per il vicequestore che portò nella scuola le famigerate molotov, che poi qualcuno finse di trovare in quei locali e qualcun altro fece sparire durante il processo.
Anche in questo caso, come per il processo su Bolzaneto, sono sfilati una serie di smemorati e lo stesso PM ha dovuto ammettere la difficoltà incontrata a portare avanti un processo contro dei poliziotti. Per dirne solo qualcuna, nessuno degli accusati ha avuto il coraggio di riconoscere come propria una delle tante firme apposte ai verbali stilati in quella occasione e non si conosceranno mai tutti i nomi degli agenti che hanno proceduto all'irruzione, che hanno spedito all'ospedale decine di persone, che hanno distrutto un edificio, che hanno raccolto le "prove", orgogliosamente mostrate il giorno dopo su un tavolo a tutti i media per tentare di giustificare l'ingiustificabile.
Quella della Diaz fu definita nel 2001 operazione in "stile cileno" e, più recentemente, "macelleria messicana" (i razzisti si fanno scoprire subito...) mentre, in realtà si trattò di una tipica sceneggiata italiana. Tutto sarebbe partito da una sassaiola invisibile, proseguito con il ferimento di un giubbotto causato da un fantasma, e con la partecipazione straordinaria di due molotov che appaiono e scompaiono a seconda dei bisogni. Nel mezzo il massacro di un centinaio di persone che dormivano pacificamente e che poi, in parte, furono costrette anche a subire gli oltraggi di Bolzaneto.
Ancora una volta, i media hanno riportato le dichiarazioni dei fascisti e dei loro sostenitori che si affannano a precisare che si tratta di un teorema, che queste sono ricostruzioni di parte, che la responsabilità è individuale e che (al massimo) si tratta dei soliti casi isolati, tanto isolati da essere la fotocopia di quelli accaduti a Bolzaneto e, per tre giorni, nelle strade e nelle piazze di Genova. La sentenza per il processo Diaz è attesa entro la fine di questo anno ma già è noto che - anche in questo caso - indulto e prescrizione cancelleranno tutto.
Lasciando da parte queste miserie, resta il fatto che le vicende alla base dei processi di Bolzaneto e della Diaz sono indissolubilmente collegate al comportamento tenuto dalle forze della repressione durante le proteste contro il G8 avvenute nel luglio 2001 a Genova. E non solo perché molti tra i fermati durante gli scontri di piazza e dopo l'irruzione nella scuola Diaz finirono proprio a Bolzaneto, ma anche perché in quei luoghi proseguirono le violenze contro chiunque capitasse tra le mani dei servitori dello stato. In altre parole, in quei giorni a Genova le persone furono picchiate dovunque e comunque: durante gli scontri di piazza, dopo l'arresto e persino mentre dormivano.
E nonostante questo oggi c'è ancora chi ha il coraggio di sostenere che questi comportamenti si possono definire come una devianza che va attribuita ai singoli individui piuttosto che alle forze dell'ordine nel loro complesso. Giocando sul fatto, indiscutibile, che la responsabilità è personale ma sorvolando intenzionalmente sul fatto - altrettanto indiscutibile - che in quel contesto i comportamenti violenti contro i manifestanti sono stata la regola piuttosto che l'eccezione.
Ricordare quello che è stato Genova è comunque un esercizio necessario alla memoria collettiva ma che, in assenza di un movimento che assuma quegli avvenimenti come parte della propria storia, potrebbe lasciare il tempo che trova. Contemporaneamente andrebbero ricordati tutti coloro che al tempo minimizzarono le dichiarazioni fatte dalle vittime della violenza statale: ministri e parlamentari vari tutti intenti a mettere sullo stesso piano le violenze contro persone che non potevano difendersi, culminate con l'omicidio di Carlo Giuliani, con le vetrine rotte o le auto in fiamme. La giustizia ha dimostrato, con le sue sentenze, che le due cose non stanno sullo stesso piano e che, contrariamente a quanto affermato dal PM del processo Diaz, viene considerato maggiormente colpevole chi ha lanciato un sasso di chi ha picchiato una persona indifesa.
Ma la giustizia dei tribunali ci interessa solo fino ad un certo punto e quanto accaduto a Genova non aveva bisogno di una conferma diversa dalle testimonianze dirette delle centinaia di persone offese e violentate durante quei giorni. Nessuna sentenza poteva dargli torto e nessuna sentenza potrà dargli ragione.

Pepsy

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