Di oscenità, lo sappiamo, si nutrono i media. E quindi di
oscenità dobbiamo subirne ogni giorno. C'è poco da fare!
Giuliano Ferrara e Gianni Alemanno, insieme ad altri, depositano, fra
gli applausi di una piccola folla di eccitati bigotti, la loro
bottiglietta d'acqua, metafora del buio e della violenza morale che
accompagna, inevitabilmente, il gratuito e crudele proposito di
condizionare la sofferenza di una disgraziata famiglia: gli applausi,
perché se non fosse spettacolo, non avrebbe senso spendere tante
energie; il culto dell'immagine, la bottiglia d'acqua, inutile a
portare sollievo ma buona per riempire di contenuti "altri" una storia
che dei suoi contenuti dovrebbe vergognarsi; le foto sui giornali,
perché se non ci fosse ritorno mediatico… ma
chissenefregherebbe di Eluana e del suo dramma!
È sconcertante osservare come la canea dei sedicenti "difensori
della vita" abbia prontamente, e fin troppo prevedibilmente, aggredito
la drammatica vicenda di Eluana Englaro e della sua famiglia, quasi
fosse un nuovo osso da addentare e spolpare in allegria. Sconcertante,
certo, ma altrettanto prevedibile, perché ormai siamo abituati,
e tale abitudine è destinata a confermarsi sempre di più,
a vedere come venga ad esprimersi un ipocrita e distorto afflato
moralistico – moralistico e non etico, vorrei sottolineare
– ogni volta che una questione di coscienza individuale, tanto
più se affiancata da forti valori etici, si affaccia alla
ribalta della cronaca.
Eccola dunque, questa accozzaglia di gerarchi ecclesiastici mistici e
filosofi, di esagitati ciellini in consiglio di guerra permanente, di
pluridivorziati antidivorzisti, di procacciatori di aborti fieramente
antiabortisti, di guerrafondai, sì, ma "contro" la pena di
morte, di rozzi razzisti "amanti" dell'umanità, eccola blaterare
di sacralità della vita, eccola dettare le buone norme
compassionevoli, eccola pontificare con invidiabile sicurezza su come
devono comportarsi …gli altri.
Sensibilissimi alla sofferenza dell'umanità, ma freddi rispetto
alla sofferenza di chi vive il proprio dramma quotidianamente, non si
limitano ad affermare i loro principi, il che sarebbe legittimo e
doveroso, ma pretendono, in nome della diretta consonanza con lo
spirito divino e se occorre con la violenza della legge del più
forte, di imporre le loro decisioni. Come è scritto in una bella
e solidale lettera apparsa sulla «Stampa» mandata da una
donna che vive una situazione simile a quella di Eluana, "chi l'ha
conosciuta e amata non può dunque decidere per lei, mentre
possono farlo persone che, fino a ieri, non sapevano neppure che
esistesse". E, aggiungiamo, noi, che non appena sarà finito il
solito tourbillon delle apparenze, si scorderanno presto anche di quel
nome e di quella storia.
Ma del resto è una vocazione secolare, ancestrale, inestirpabile
come una seconda pelle, questa del prete, tanto del prete in tonaca
quanto del prete in doppiopetto: esigere, se ne ha la forza, o
pretendere, se non può fare diversamente, che le regole sociali
e le norme comportamentali di tutti ubbidiscano, senza il minimo
discernimento ma con la massima ottusità, alla pretesa morale di
qualcuno. Ecco quindi che ciò che sarebbe altrimenti
inconcepibile, tanto sarebbe elementare comprenderne
l'assurdità, diventare la prassi quotidiana, ed ecco, quindi,
esibirsi in modo così melodrammatico, la stupida e feroce
violenza di chi chiede a gran voce che la sofferenza di Eluana, e della
sua famiglia non debba aver fine. Del resto siamo nati per soffrire,
come vuole la loro idea di Dio misericordioso!
MoM