Umanità Nova, n.27 del 7 settembre 2008, anno 88

La guerra nel Caucaso e gli USA. Una sconfitta vincente 


La "Guerra d'Agosto" tra Russia e Georgia è uno di quelli avvenimenti destinati a segnare un momento decisivo di un'epoca, a prescindere dalla loro importanza effettiva nel momento in cui si verificano. Una piccola e breve guerra sta, infatti, producendo conseguenze a cascata nel rapporto tra l'unica potenza globale rimasta sulla scena e uno dei possibili futuri antagonisti al suo dominio. Le recenti prese di posizione in sede NATO e UE da parte degli stati europei, da sempre freddi con Tblisi e desiderosi invece di mantenere un per lo meno accettabile rapporto con Mosca, sono significative dell'importanza assunta da questo piccolo episodio bellico sulla scena del mondo.
I media occidentali hanno svolto in questi giorni di mare, sole e vacanze il compito di portavoce e di amplificatore della propaganda georgiana, rivelando nuovamente la precisa volontà delle élite europee di mantenere la propria posizione di copertura ed allineamento rispetto alla volontà di Washington.
Se stiamo però alla realtà dei fatti, ci troviamo di fronte a una guerra nata dalla decisione del Presidente filooccidentale e nazionalista georgiano Saakashvili di riprendere con la forza le regioni del paese dichiaratesi indipendenti da Tblisi fin dal 1992. All'epoca, in pieno caos post-sovietico, la Georgia dichiarò la sua indipendenza sotto la guida dell'ex Ministro degli Esteri Shevarnadze. Osseti e Abkhazi, caucasici entrambi ma cristiani ortodossi i primi e musulmani i secondi, popoli attribuiti alla Georgia dai capricci geopolitici staliniani (tra l'altro anch'esso georgiano), decisero di avvalersi anch'essi del principio di autodeterminazione e dichiararono la loro indipendenza dallo stato appena nato.
Naturalmente i russi approfittarono della situazione e inviarono immediatamente le loro truppe in missione di "peace-keeping" , subito dopo che l'esercito della Georgia si era sciolto come neve al sole di fronte all'avanzata dei ribelli.
Da allora la situazione si era stabilizzata fino alla cacciata di Shevardnadze e all'ascesa di Saakashvili, faccendiere internazionale con studi negli Stati Uniti e solide amicizie dalle parti della Casa Bianca. Questo leader improvvisato ottiene la carica di Presidente con un programma ipernazionalista nel 2004, nel 2005 occupa l'Adjaria, altra regione resasi indipendente nel 1992, e intensifica i rapporti con la NATO e con gli USA. Nel corso dello scorso anno sconfigge l'opposizione alle urne dopo tre giorni di rivolta di piazza e l'intervento dei carri armati a seguito delle denunce che lo vedevano protagonista di precisi fatti di corruzione.
Nello stesso tempo lavora alacremente a rendere la Georgia una pedina indispensabile al progetto americano di isolamento di una Russia resasi nuovamente pericolosa per gli affari di Washington dopo gli anni di Eltsin e degli oligarchi impegnati a depredare il paese con il consenso della Casa Bianca. L'oleodotto Baku-Ceyan, porto turco sul Mediterraneo, passa in territorio georgiano e questo consente alle compagnie petrolifere occidentali di evitare le trattative con Mosca i cui oleodotti provenienti dal Caspio hanno anche il difetto di passare dalla Cecenia dove la guerra continuerà ininterrotta tra il 1994 e il 2006, impedendo di fatto ogni concorrenza russa all'oleodotto azer-georgiano-turco.
In modo non dissimile si comporta in quegli anni anche la dirigenza ucraina, altro stato post-sovietico spaccato in due tra un'area a maggioranza russa o filo russa e un'altra notevolmente schierata a favore dell'occidente. Le vicende seguite alla Rivoluzione arancione, con il rischio di guerra civile evitato all'ultimo momento, la spaccatura all'interno del blocco occidentalista tra estremisti e fautori di un accordo con Mosca, e l'accordo del 2007 tra i questi ultimi e i filo russi, hanno finora impedito che anche nello stato più grande dopo la Russia dell'ex impero sovietico si producesse una simile escalation. L'annuncio, però, dell'armamento dell'esercito georgiano con armi ucraine, e la massiccia presenza di mercenari ucraini tra le truppe di Tblisi nel corso della guerra hanno rivelato come anche a Kiev (in particolare dalle parti della premier Timoshenko, nemica giurata dei russi anche perché condannata da tribunali russi per corruzione, concussione e truffa internazionale relativa al commercio di armi) ci sia chi ha soffiato sull'esplosione del fuoco caucasico.
Con l'arrivo di questo agosto Saakashvili decide di compiere quello che in politica si dovrebbe definire un suicidio: attacca un nemico più forte non avendo alcuna sicurezza che il proprio protettore alleato americano interverrà a difenderlo. Anzi, dopo il rifiuto europeo all'entrata del suo paese nella NATO (così come a quello dell'Ucraina), sa che esiste una parte consistente del blocco occidentale che non ha alcuna intenzione di sfidare Mosca in nome delle pensate geopolitiche di Washington. Berlino e Roma fanno affari importanti con la Russia e ritengono Putin un partner affidabile per lo sviluppo continentale. Londra e Parigi sono meno interessate economicamente al rapporto con i russi, anzi la Gran Bretagna è la patria d'elezione dei Paperoni russi in fuga dalla giustizia locale. Ma si allineano anch'esse con la Cancelliera Merkel che non vuole a nessun costo una rottura con i russi.
Nonostante la situazione poco incoraggiante l'esercito georgiano, armato dagli ucraini, addestrato dagli israeliani e guidato dagli americani attacca Ossezia ed Abkhazia, avanza poco nella seconda, mentre entra a Tskhinvali, la capitale della prima e inizia un massacro epico della popolazione civile locale. A questo punto l'esercito russo entra in azione e respinge oltre frontiera le truppe della Georgia; con l'occasione devasta alcune città e villaggi georgiani oltrefrontiera e lancia alcuni missili vicino all'oleodotto della discordia tra Baku e Ceyan; non colpisce l'oleodotto ma invia un preciso avvertimento su quello che potrebbe fare se gli USA continuassero a spingere sul freno. La disfatta georgiana è immediata e notevole e i media occidentali non possono fare altro che lanciare la tesi delle vittime di Tblisi a fronte di un attacco mosso proprio dagli stessi georgiani.
Il resto è storia diplomatica: i russi inviano le navi vicino ai porti della Georgia, gli USA inviano aiuti civili e militari, l'Europa condanna e il mondo si accorge della guerra ininterrotta del Caucaso. Alcune novità però ci sono: in primis l'Europa fino a luglio contraria all'ammissione di Georgia ed Ucraina nella Nato cambia idea, in secondo luogo la Russia incassa invece l'appoggio del gruppo di Shangai e quindi di Kazakistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Mongolia e Cina, oltre che dell'ineffabile Amadjnejad. Inoltre la Sira si propone di ospitare basi ed aerei russi offendo un altro deja vu della guerra fredda che fu. D'altronde se Israele addestra i georgiani, non si vede perché la Siria non potrebbe ospitare gli aerei russi. In qualche modo la guerra d'agosto serve a stabilire i confini dei due campi in costituzione. Per gli USA la Russia è in fondo un nemico conosciuto con il quale le relazioni economiche non sono così sviluppate come con la Cina e, quindi, scontrarsi con Mosca oggi è preferibile che farlo con Pechino domani. La scelta del nemico, di fronte a due paesi che mostrano in modo inequivocabile di voler sfuggire all'egemonia di Washington, e di avere gli strumenti per farlo, è decisiva per il futuro del domino a stelle e strisce.
In questo senso non penso di poter condividere le opinioni dei molti che sui giornali e sulle riviste hanno commentato questa guerra nei termini di una follia avventurista della dirigenza georgiana e di un ulteriore smacco USA. A mio avviso il risultato negativo dell'offensiva georgiana era messo abbondantemente nel conto sia a Tblisi che a Washington, e l'obiettivo vero della guerra era un altro, anzi due. Il primo più evidente era quello di "rompere con la Russia" e di creare una situazione con la presenza di due campi all'interno dei quali classificare i paesi del mondo in amici e nemici; lo ripeto, Russia e Cina hanno iniziato a comportarsi in questi anni come competitori di Washington, e gli USA non potevano continuare a far finta di niente. Dovevano invece costringere uno dei due a scoprirsi e a dichiararsi in contrasto con gli USA, e per estensione con l'Occidente. La Cina, con portafogli pieno del debito estero americano e il paese zeppo di investimenti esteri USA, non era certo il candidato migliore; la Russia, appena emersa dalla gestione disastrosa del gruppo Eltsin, e con una ricchezza basata solo sulle risorse energetiche, andava molto meglio.
Il secondo obiettivo era quello di costringere l'Europa a condividere in pieno la visione geopolitica di Washington riguardo all'Est del continente. Se Polonia e paesi baltici non chiedono di meglio, Germania, Francia ed Italia hanno interessi divergenti che non consiglierebbero posizioni di quel genere. In particolare gli affari russi del capitalismo italiano, e in particolare di quello legato a Berlusconi, sono noti e vanno dal gas (vicenda rigassificatori) alle forniture tecnologiche sull'estrazione e sugli oleodotti. La guerra georgiana ha spazzato via le resistenze europee all'opposizione alla Russia anche se il nostro Ministro degli Esteri continua a cercare la strada dell'accordo con Mosca (e Berlusconi opportunamente tace) lo stesso Sarkozy, dietro la faccia feroce nasconde il disagio di chi sa di dover fare una politica contraria ai propri interessi. Comunque sia, lo scudo spaziale in Polonia e in Cechia verrà fatto con l'accordo di tutta la NATO, la Georgia e l'Ucraina entreranno nell'organizzazione e l'Europa metterà in atto maggiori o minori sanzioni verso la Russia, congelando in pratica vantaggiosi rapporti economici. Il tutto porterà non pochi vantaggi a Washington che vanno dalla conferma della propria leadership sull'occidente alla messa in riga dei vassalli riluttanti e al rilancio di un confronto tra campi che gli strateghi americani ritengono più facile da gestire rispetto alla guerra asimmetrica condotta contro di loro da Al Qaeda e dai suoi alleati nella finanza araba.

Giacomo Catrame


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