La "Guerra d'Agosto" tra Russia e Georgia è uno di quelli
avvenimenti destinati a segnare un momento decisivo di un'epoca, a
prescindere dalla loro importanza effettiva nel momento in cui si
verificano. Una piccola e breve guerra sta, infatti, producendo
conseguenze a cascata nel rapporto tra l'unica potenza globale rimasta
sulla scena e uno dei possibili futuri antagonisti al suo dominio. Le
recenti prese di posizione in sede NATO e UE da parte degli stati
europei, da sempre freddi con Tblisi e desiderosi invece di mantenere
un per lo meno accettabile rapporto con Mosca, sono significative
dell'importanza assunta da questo piccolo episodio bellico sulla scena
del mondo.
I media occidentali hanno svolto in questi giorni di mare, sole e
vacanze il compito di portavoce e di amplificatore della propaganda
georgiana, rivelando nuovamente la precisa volontà delle
élite europee di mantenere la propria posizione di copertura ed
allineamento rispetto alla volontà di Washington.
Se stiamo però alla realtà dei fatti, ci troviamo di
fronte a una guerra nata dalla decisione del Presidente filooccidentale
e nazionalista georgiano Saakashvili di riprendere con la forza le
regioni del paese dichiaratesi indipendenti da Tblisi fin dal 1992.
All'epoca, in pieno caos post-sovietico, la Georgia dichiarò la
sua indipendenza sotto la guida dell'ex Ministro degli Esteri
Shevarnadze. Osseti e Abkhazi, caucasici entrambi ma cristiani
ortodossi i primi e musulmani i secondi, popoli attribuiti alla Georgia
dai capricci geopolitici staliniani (tra l'altro anch'esso georgiano),
decisero di avvalersi anch'essi del principio di autodeterminazione e
dichiararono la loro indipendenza dallo stato appena nato.
Naturalmente i russi approfittarono della situazione e inviarono
immediatamente le loro truppe in missione di "peace-keeping" , subito
dopo che l'esercito della Georgia si era sciolto come neve al sole di
fronte all'avanzata dei ribelli.
Da allora la situazione si era stabilizzata fino alla cacciata di
Shevardnadze e all'ascesa di Saakashvili, faccendiere internazionale
con studi negli Stati Uniti e solide amicizie dalle parti della Casa
Bianca. Questo leader improvvisato ottiene la carica di Presidente con
un programma ipernazionalista nel 2004, nel 2005 occupa l'Adjaria,
altra regione resasi indipendente nel 1992, e intensifica i rapporti
con la NATO e con gli USA. Nel corso dello scorso anno sconfigge
l'opposizione alle urne dopo tre giorni di rivolta di piazza e
l'intervento dei carri armati a seguito delle denunce che lo vedevano
protagonista di precisi fatti di corruzione.
Nello stesso tempo lavora alacremente a rendere la Georgia una pedina
indispensabile al progetto americano di isolamento di una Russia resasi
nuovamente pericolosa per gli affari di Washington dopo gli anni di
Eltsin e degli oligarchi impegnati a depredare il paese con il consenso
della Casa Bianca. L'oleodotto Baku-Ceyan, porto turco sul
Mediterraneo, passa in territorio georgiano e questo consente alle
compagnie petrolifere occidentali di evitare le trattative con Mosca i
cui oleodotti provenienti dal Caspio hanno anche il difetto di passare
dalla Cecenia dove la guerra continuerà ininterrotta tra il 1994
e il 2006, impedendo di fatto ogni concorrenza russa all'oleodotto
azer-georgiano-turco.
In modo non dissimile si comporta in quegli anni anche la dirigenza
ucraina, altro stato post-sovietico spaccato in due tra un'area a
maggioranza russa o filo russa e un'altra notevolmente schierata a
favore dell'occidente. Le vicende seguite alla Rivoluzione arancione,
con il rischio di guerra civile evitato all'ultimo momento, la
spaccatura all'interno del blocco occidentalista tra estremisti e
fautori di un accordo con Mosca, e l'accordo del 2007 tra i questi
ultimi e i filo russi, hanno finora impedito che anche nello stato
più grande dopo la Russia dell'ex impero sovietico si producesse
una simile escalation. L'annuncio, però, dell'armamento
dell'esercito georgiano con armi ucraine, e la massiccia presenza di
mercenari ucraini tra le truppe di Tblisi nel corso della guerra hanno
rivelato come anche a Kiev (in particolare dalle parti della premier
Timoshenko, nemica giurata dei russi anche perché condannata da
tribunali russi per corruzione, concussione e truffa internazionale
relativa al commercio di armi) ci sia chi ha soffiato sull'esplosione
del fuoco caucasico.
Con l'arrivo di questo agosto Saakashvili decide di compiere quello che
in politica si dovrebbe definire un suicidio: attacca un nemico
più forte non avendo alcuna sicurezza che il proprio protettore
alleato americano interverrà a difenderlo. Anzi, dopo il rifiuto
europeo all'entrata del suo paese nella NATO (così come a quello
dell'Ucraina), sa che esiste una parte consistente del blocco
occidentale che non ha alcuna intenzione di sfidare Mosca in nome delle
pensate geopolitiche di Washington. Berlino e Roma fanno affari
importanti con la Russia e ritengono Putin un partner affidabile per lo
sviluppo continentale. Londra e Parigi sono meno interessate
economicamente al rapporto con i russi, anzi la Gran Bretagna è
la patria d'elezione dei Paperoni russi in fuga dalla giustizia locale.
Ma si allineano anch'esse con la Cancelliera Merkel che non vuole a
nessun costo una rottura con i russi.
Nonostante la situazione poco incoraggiante l'esercito georgiano,
armato dagli ucraini, addestrato dagli israeliani e guidato dagli
americani attacca Ossezia ed Abkhazia, avanza poco nella seconda,
mentre entra a Tskhinvali, la capitale della prima e inizia un massacro
epico della popolazione civile locale. A questo punto l'esercito russo
entra in azione e respinge oltre frontiera le truppe della Georgia; con
l'occasione devasta alcune città e villaggi georgiani
oltrefrontiera e lancia alcuni missili vicino all'oleodotto della
discordia tra Baku e Ceyan; non colpisce l'oleodotto ma invia un
preciso avvertimento su quello che potrebbe fare se gli USA
continuassero a spingere sul freno. La disfatta georgiana è
immediata e notevole e i media occidentali non possono fare altro che
lanciare la tesi delle vittime di Tblisi a fronte di un attacco mosso
proprio dagli stessi georgiani.
Il resto è storia diplomatica: i russi inviano le navi vicino ai
porti della Georgia, gli USA inviano aiuti civili e militari, l'Europa
condanna e il mondo si accorge della guerra ininterrotta del Caucaso.
Alcune novità però ci sono: in primis l'Europa fino a
luglio contraria all'ammissione di Georgia ed Ucraina nella Nato cambia
idea, in secondo luogo la Russia incassa invece l'appoggio del gruppo
di Shangai e quindi di Kazakistan, Turkmenistan, Kirghizistan,
Uzbekistan, Tagikistan, Mongolia e Cina, oltre che dell'ineffabile
Amadjnejad. Inoltre la Sira si propone di ospitare basi ed aerei russi
offendo un altro deja vu della guerra fredda che fu. D'altronde se
Israele addestra i georgiani, non si vede perché la Siria non
potrebbe ospitare gli aerei russi. In qualche modo la guerra d'agosto
serve a stabilire i confini dei due campi in costituzione. Per gli USA
la Russia è in fondo un nemico conosciuto con il quale le
relazioni economiche non sono così sviluppate come con la Cina
e, quindi, scontrarsi con Mosca oggi è preferibile che farlo con
Pechino domani. La scelta del nemico, di fronte a due paesi che
mostrano in modo inequivocabile di voler sfuggire all'egemonia di
Washington, e di avere gli strumenti per farlo, è decisiva per
il futuro del domino a stelle e strisce.
In questo senso non penso di poter condividere le opinioni dei molti
che sui giornali e sulle riviste hanno commentato questa guerra nei
termini di una follia avventurista della dirigenza georgiana e di un
ulteriore smacco USA. A mio avviso il risultato negativo dell'offensiva
georgiana era messo abbondantemente nel conto sia a Tblisi che a
Washington, e l'obiettivo vero della guerra era un altro, anzi due. Il
primo più evidente era quello di "rompere con la Russia" e di
creare una situazione con la presenza di due campi all'interno dei
quali classificare i paesi del mondo in amici e nemici; lo ripeto,
Russia e Cina hanno iniziato a comportarsi in questi anni come
competitori di Washington, e gli USA non potevano continuare a far
finta di niente. Dovevano invece costringere uno dei due a scoprirsi e
a dichiararsi in contrasto con gli USA, e per estensione con
l'Occidente. La Cina, con portafogli pieno del debito estero americano
e il paese zeppo di investimenti esteri USA, non era certo il candidato
migliore; la Russia, appena emersa dalla gestione disastrosa del gruppo
Eltsin, e con una ricchezza basata solo sulle risorse energetiche,
andava molto meglio.
Il secondo obiettivo era quello di costringere l'Europa a condividere
in pieno la visione geopolitica di Washington riguardo all'Est del
continente. Se Polonia e paesi baltici non chiedono di meglio,
Germania, Francia ed Italia hanno interessi divergenti che non
consiglierebbero posizioni di quel genere. In particolare gli affari
russi del capitalismo italiano, e in particolare di quello legato a
Berlusconi, sono noti e vanno dal gas (vicenda rigassificatori) alle
forniture tecnologiche sull'estrazione e sugli oleodotti. La guerra
georgiana ha spazzato via le resistenze europee all'opposizione alla
Russia anche se il nostro Ministro degli Esteri continua a cercare la
strada dell'accordo con Mosca (e Berlusconi opportunamente tace) lo
stesso Sarkozy, dietro la faccia feroce nasconde il disagio di chi sa
di dover fare una politica contraria ai propri interessi. Comunque sia,
lo scudo spaziale in Polonia e in Cechia verrà fatto con
l'accordo di tutta la NATO, la Georgia e l'Ucraina entreranno
nell'organizzazione e l'Europa metterà in atto maggiori o minori
sanzioni verso la Russia, congelando in pratica vantaggiosi rapporti
economici. Il tutto porterà non pochi vantaggi a Washington che
vanno dalla conferma della propria leadership sull'occidente alla messa
in riga dei vassalli riluttanti e al rilancio di un confronto tra campi
che gli strateghi americani ritengono più facile da gestire
rispetto alla guerra asimmetrica condotta contro di loro da Al Qaeda e
dai suoi alleati nella finanza araba.
Giacomo Catrame