Umanità Nova, n.27 del 7 settembre 2008, anno 88

La finanziaria d'estate 2. Flessibilità senza limiti


Il contratto di lavoro subordinato a termine è la norma, quello a tempo indeterminato, l'eccezione. Questo vorrebbero scrivere nero su bianco, padroni, politici "liberi" e "democratici", studiosi di diritto del lavoro "alla moda". In effetti, una delle più accanite lotte in corso nel nostro paese negli ultimi quindici anni è quella contro il lavoro stabile, remunerato, cui sono correlati una serie di diritti sociali che fanno del soggetto beneficiario una persona più libera. Lo schema della costituzione del 1948 vede nel lavoro retribuito in modo equo e proporzionato lo strumento per garantire ai cittadini "un'esistenza libera e dignitosa": lavoro e cittadinanza sono inscindibilmente legate. Non stupisce, quindi, che la demolizione di una certa idea di cittadinanza sia passata e passi anche attraverso la demolizione di un'idea di lavoro.
Il contratto di lavoro a termine era previsto da una legge del 1962 (la n. 230) che ne restringeva l'utilizzabilità in spazi davvero esigui. Recependo una direttiva dell'Unione Europea, nel 2001, con il D.Lgs. n. 368, la materia è stata radicalmente riformata, lasciando ampio spazio alla stipula di contratti a termine con la più diversa causale, anche stabilita per accordo sindacale, purché realmente sussistente; veniva regolata la successione di contratti a termine, consentendo la rinnovazione degli stessi praticamente senza limiti, nel semplice rispetto di un intervallo di dieci o venti giorni tra un contratto e l'altro. Dalla legge 197/96 era stato introdotto nel nostro ordinamento il contratto di co.co.co. e il D.Lgs. 276/03, attuativo della legge Biagi, ha moltiplicato le figure di contratto di lavoro atipico: il contratto di lavoro a termine è quindi solo una delle fattispecie di lavoro precario, ma è evidente la sua valenza simbolica.
Il governo Prodi intervenne sulla normativa con la legge 247/07 attuativa del cosiddetto protocollo sul welfare, inserendo nell'art. 1 del D.Lgs. n. 368/01 l'affermazione di principio che: "Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato" e stabilendo un tetto di 36 mesi (salvo un'ultima proroga sottoscritta in sede sindacale) alla successiva stipula di contratti a termine prima di poter essere obbligatoriamente stabilizzati con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Si badi che anche l'inserimento del tetto di ben 36 mesi aveva subito forti opposizioni, come se si fosse trattato di un delitto di lesa maestà e non invece, come è stato in realtà, un vuoto "contentino"alla "sinistra radicale di governo".
Con la cosiddetta manovra d'estate 2008, cioè il decreto legge n. 112 del 25.6.08, ormai convertito in legge, l'attuale governo è intervenuto pesantemente (art. 21) sulla materia e avrebbe voluto farlo con ancor più radicalità.
In primo luogo, il ricorso al lavoro a termine è consentito anche per l'ordinaria attività del datore di lavoro, con ciò svuotando l'affermazione che "Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato".
In secondo luogo, i contratti collettivi potranno derogare sia al tetto dei 36 mesi sia al diritto di precedenza che i lavoratori a termine anno nel caso di successive assunzioni a tempo indeterminato da parte dello steso datore di lavoro.
Infine, la previsione di un mero indennizzo in denaro anziché la stabilizzazione, per le cause in corso aventi ad oggetto contratti a termine ove si contesti l'apposizone del termine stesso o la sua proroga.
È evidente che l'obiettivo era cancellare la possibilità di stabilizzazione dei precari in ogni caso e per il futuro, non certo solo per le "cause in corso". Questa disposizione, che il governo ha voluto comunque mantenere anche quando è stato chiaro che non sarebbe passato quello che agli occhi di tutti era una prova tecnica di svuotamento dell'art. 18 dello Statuto lavoratori, è evidentemente anticostituzionale perchè crea assurde disparità tra soggetti nella stessa situazione, sol perchè uno ha già iniziato ad una certa data la vertenza in sede giudiziale ed un altro no. Non resta quindi che attendere una valanga di ricorsi alla Corte Costizionale.
Piuttosto, resta il dato politico del sostanziale consenso di Pdl e Pd sulla ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro e il rafforzarsi del ruolo di "gestori della precarietà" delle "organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale", cioè a CGIL-CISL-UIL, cui viene ancora una volta demandato il compito di svuotare le "rigidità" di una garanzia prevista per tutti, seppur, come quelle del tetto dei 36 mesi e della priorità nelle assunzioni a tempo indeterminato, davvero blande. Ma, è risaputo, alla flessibilità, come al peggio, non c'è limite.

W.B.


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