Il contratto di lavoro subordinato a termine è la norma,
quello a tempo indeterminato, l'eccezione. Questo vorrebbero scrivere
nero su bianco, padroni, politici "liberi" e "democratici", studiosi di
diritto del lavoro "alla moda". In effetti, una delle più
accanite lotte in corso nel nostro paese negli ultimi quindici anni
è quella contro il lavoro stabile, remunerato, cui sono
correlati una serie di diritti sociali che fanno del soggetto
beneficiario una persona più libera. Lo schema della
costituzione del 1948 vede nel lavoro retribuito in modo equo e
proporzionato lo strumento per garantire ai cittadini "un'esistenza
libera e dignitosa": lavoro e cittadinanza sono inscindibilmente
legate. Non stupisce, quindi, che la demolizione di una certa idea di
cittadinanza sia passata e passi anche attraverso la demolizione di
un'idea di lavoro.
Il contratto di lavoro a termine era previsto da una legge del 1962 (la
n. 230) che ne restringeva l'utilizzabilità in spazi davvero
esigui. Recependo una direttiva dell'Unione Europea, nel 2001, con il
D.Lgs. n. 368, la materia è stata radicalmente riformata,
lasciando ampio spazio alla stipula di contratti a termine con la
più diversa causale, anche stabilita per accordo sindacale,
purché realmente sussistente; veniva regolata la successione di
contratti a termine, consentendo la rinnovazione degli stessi
praticamente senza limiti, nel semplice rispetto di un intervallo di
dieci o venti giorni tra un contratto e l'altro. Dalla legge 197/96 era
stato introdotto nel nostro ordinamento il contratto di co.co.co. e il
D.Lgs. 276/03, attuativo della legge Biagi, ha moltiplicato le figure
di contratto di lavoro atipico: il contratto di lavoro a termine
è quindi solo una delle fattispecie di lavoro precario, ma
è evidente la sua valenza simbolica.
Il governo Prodi intervenne sulla normativa con la legge 247/07
attuativa del cosiddetto protocollo sul welfare, inserendo nell'art. 1
del D.Lgs. n. 368/01 l'affermazione di principio che: "Il contratto di
lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato"
e stabilendo un tetto di 36 mesi (salvo un'ultima proroga sottoscritta
in sede sindacale) alla successiva stipula di contratti a termine prima
di poter essere obbligatoriamente stabilizzati con contratto di lavoro
a tempo indeterminato. Si badi che anche l'inserimento del tetto di ben
36 mesi aveva subito forti opposizioni, come se si fosse trattato di un
delitto di lesa maestà e non invece, come è stato in
realtà, un vuoto "contentino"alla "sinistra radicale di governo".
Con la cosiddetta manovra d'estate 2008, cioè il decreto legge
n. 112 del 25.6.08, ormai convertito in legge, l'attuale governo
è intervenuto pesantemente (art. 21) sulla materia e avrebbe
voluto farlo con ancor più radicalità.
In primo luogo, il ricorso al lavoro a termine è consentito
anche per l'ordinaria attività del datore di lavoro, con
ciò svuotando l'affermazione che "Il contratto di lavoro
subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato".
In secondo luogo, i contratti collettivi potranno derogare sia al tetto
dei 36 mesi sia al diritto di precedenza che i lavoratori a termine
anno nel caso di successive assunzioni a tempo indeterminato da parte
dello steso datore di lavoro.
Infine, la previsione di un mero indennizzo in denaro anziché la
stabilizzazione, per le cause in corso aventi ad oggetto contratti a
termine ove si contesti l'apposizone del termine stesso o la sua
proroga.
È evidente che l'obiettivo era cancellare la possibilità
di stabilizzazione dei precari in ogni caso e per il futuro, non certo
solo per le "cause in corso". Questa disposizione, che il governo ha
voluto comunque mantenere anche quando è stato chiaro che non
sarebbe passato quello che agli occhi di tutti era una prova tecnica di
svuotamento dell'art. 18 dello Statuto lavoratori, è
evidentemente anticostituzionale perchè crea assurde
disparità tra soggetti nella stessa situazione, sol
perchè uno ha già iniziato ad una certa data la vertenza
in sede giudiziale ed un altro no. Non resta quindi che attendere una
valanga di ricorsi alla Corte Costizionale.
Piuttosto, resta il dato politico del sostanziale consenso di Pdl e Pd
sulla ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro e il
rafforzarsi del ruolo di "gestori della precarietà" delle
"organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale", cioè a CGIL-CISL-UIL, cui viene ancora una
volta demandato il compito di svuotare le "rigidità" di una
garanzia prevista per tutti, seppur, come quelle del tetto dei 36 mesi
e della priorità nelle assunzioni a tempo indeterminato, davvero
blande. Ma, è risaputo, alla flessibilità, come al
peggio, non c'è limite.
W.B.