Umanità Nova, n.28 del 14 settembre 2008, anno 88

La partita Obama/McCain. Il simbolico e il reale


La chiusura delle convention del Partito Democratico e del Partito Repubblicano negli USA ci ha consegnato la più simbolica e insieme la più mediatica delle campagne elettorali presidenziali americane degli ultimi trent'anni. La candidatura dell'african-american Barack Obama e quella della signora Palin, donna ma conservatrice e antiaborista, hanno segnato il massimo livello di assorbimento simbolico all'interno del discorso dell'élite dominante del protagonismo femminile e nero apparsi in America con forza rinnovata nel corso degli anni Sessanta.
Significativamente Obama ha tenuto un discorso sulla razza che vuole segnare la chiusura della politica razziale negli Stati Uniti; se fino ad oggi un politico afro-americano veniva visto in prima battuta come il portavoce della propria comunità, il tentativo del candidato democratico è quello di cancellare la sua provenienza comunitaria come tratto caratterizzante per definirlo politicamente. Si tratta non di una scelta personale, come è ovvio, ma del prendere letteralmente corpo del desiderio dell'élite nera, le cui fortune datano ai tempi della battaglia per i diritti civili, di emancipazione dalla propria origine e di ottenimento della piena cittadinanza tra gli "americani veri". Non più una classe dominante interna e rappresentante la comunità nera, ma un pezzo dell'élite a stelle e strisce senza alcun riferimento all'origine. In altre parole la neo-borghesia nera è desiderosa di percorrere fino in fondo la strada assimilante già percorsa dagli emigrati europei dell'Europa meridionale: italiani, greci, slavi oggi pienamente interni al grosso della popolazione degli Stati Uniti.
In questo non ci sarebbe nulla di male, che anzi l'ulteriore caduta delle barriere comunitarie ed etniche che segnano in modo feroce il paesaggio sociale statunitense non potrebbe che essere un fattore positivo nelle relazioni umane all'interno degli USA. La realtà però non rispecchia né i sogni del candidato presidenziale né i desideri dei politici, professionisti ed imprenditori neri desiderosi di scrollarsi di dosso ogni riferimento all'origine comunitaria. La popolazione nera in America continua ad essere fortemente sfavorita nei termini di accesso ad alti livelli di studio, di possibilità di ottenere impieghi ben retribuiti e di accesso al credito; la frazione della comunità nera che appartiene all'élite americana è minima e proveniente nella quasi totalità dal mondo della politica (segno, quindi, che la politica comunitaria è paradossalmente ad oggi il principale mezzo di ascesa sociale per gli afro-americani); la popolazione nera continua ad esprimere la parte preponderante della popolazione carceraria e dei figli monogenitore. Insomma, all'affermazione di una frazione d'élite della comunità nera non corrisponde un'analoga ascesa della popolazione afro-americana nel complesso, anzi. Se nei quartieri dell'alta borghesia l'arrivo di un appartenete all'èlite nera non crea problemi di alcun tipo, e infatti non ci sono quartieri ricchi neri, in quelli della classe media e della working class bianca l'arrivo di vicini afro-americani è tuttora considerato svilente per il quartiere e per il valore finanziario delle case. Insomma gli Stati Uniti potrebbero trovarsi con il paradosso di un Presidente afro-americano che passerà il tempo a cercare di far dimenticare le proprie origini, mentre gli appartenenti alla comunità nera continueranno a subire la sottile discriminazione provocata dall'apartheid di fatto vigente negli USA.
Questo è forse il campo più significativo all'interno del quale si esprime il significato della candidatura di Barak Obama. Se, invece, andiamo a vederne il programma effettivo questo non promette nulla di buono per quanto riguarda le classi dominate, siano esse di ceto medio o di working class, del grande paese americano. Al di là del televisivo "Yes, we can" non c'è molto. Il terreno del welfare e quello industriale non dovrebbero segnare significative differenze rispetto al recente passato degli USA. Il tentativo di allargare la platea dei raggiunti dall'assicurazione sanitaria, se avverrà, verrà ottenuto tramite un aumento della spesa pubblica a favore delle assicurazioni private il cui signoreggio sulla salute americana non viene minimamente messo in questione; sul piano industriale continuerà la gigantesca dismissione dei vecchi settori industriali verso la Cina e la politica di dumping merceologico che ha polverizzato i prezzi delle merci sul mercato americano, ma anche gli stipendi della working class. La crescita di una nuova working class legata ai settori più avanzati dello sviluppo industriale è in corso ma è ancora lontana dal produrre significativi effetti sulla crescita di una coscienza della propria forza tra questi lavoratori, mentre il declino dell'insediamento industriale fordista continua senza fine provocando un rinculo generalizzato di redditi e diritti dei lavoratori. In questo scenario l'intervento di un Obama presidente sarebbe fortemente business friendly, ossia fortemente favorevole al dispiegarsi del vantaggio delle imprese senza i tentennamenti elettorali protezionisti assunti qua e la dall'attuale Presidente Bush. In altre parole un'eventuale presidenza Obama segnerà un'ulteriore fase di smantellamento del vecchio complesso industriale americano e di affermazione dell'internazionalizzazione dell'economia americana, come nel corso della Presidenza Clinton.
Quello che verrebbe a cambiare sarebbe però la composizione del blocco di classe dominante che sosterrebbe la sua presidenza rispetto a quella Bush; se in quest'ultima la presenza dominante era quella del blocco petrolifero, nel caso di una presidenza Obama l'industria delle energie alternative, quella della genetica e quella nanotecnologica riceverebbero un forte impulso a rinnovare lo scenario industriale made in USA.
Sul piano internazionale il candidato vice presidente Biden, figura poco appariscente ma espressa direttamente dall'apparato democratico, e soprattutto la probabile futura segretario di Stato signora Clinton, sono stati molto chiari: la presidenza Bush ha sbagliato invadendo l'Iraq perché ha adottato un approccio contrario agli interessi strategici americani per favorire quelli a breve termine del suo blocco dominante di riferimento. In altre parole ha concentrato gli sforzi sul controllo del petrolio e non sulla sfida posta al dominio americano da Russia e Cina, scontentando gli alleati europei, mettendo nell'angolo e umiliando quelli arabi e, soprattutto, non replicando in alcun modo alla crescita russa e cinese. L'invasione dell'Afganistan viene invece rivendicata perché utile a infilare un cuneo tra Russia e Cina e, soprattutto viene identificato come prossimo scenario di guerra il Pakistan alleato infido degli USA e amico pericoloso della Cina. Quello che il trio Obama-Biden-Clinton vogliono evitare è il formarsi di una sorta di unione asiatica capace di spostare il baricentro del mondo verso l'attuale Oriente. A questo scopo è probabile che lavorino a favorire lo scontro all'interno dell'Asia tra le nazioni emergenti, utilizzando tensioni e rivalità ampiamente esistenti. Il multilateralismo ampiamente promesso dai candidati democratici alla Presidenza si rivelerebbe esclusivamente come il ritorno ad una pratica di coinvolgimento dell'Europa e del Giappone nel processo decisionale strategico degli USA e nel ritorno ad una politica più amichevole verso il mondo arabo. La rotta di collisione contro Russia e Cina (probabilmente utilizzando l'India a tal fine) sarebbe però il principio fondamentale cui si atterrebbe una possibile amministrazione democratica. In questo quadro un assaggio di quello che ci aspetterà lo abbiamo visto in Georgia durante il mese di Agosto. Le tendenze appena emerse con la fine della Presidenza Bush risulterebbero però aumentate esponenzialmente dal ritorno dei democratici sulla tolda di comando.
Sul candidato Repubblicano si può notare come un'accorta operazione di marketing stia presentando un uomo in sostanziale continuità con l'ultima amministrazione Bush (quella meno influenzata dai neo-cons) come una novità. In particolare Mc Cain è l'uomo scelto per mantenere forte l'impegno dell'amministrazione americana a fianco dei petrolieri e conseguentemente contro per il controllo del mondo arabo. La scelta poi della governatrice Palin alla vice presidenza è una scelta mediaticamente vincente perché sta permettendo a Mc Cain di recuperare terreno tra i fondamentalisti cristiani cui piace l'impegno anti abortista della signora dell'Alaska, e di apparire allo stesso tempo moderno ed aperto essendo il primo candidato alla Presidenza il cui vice sia una donna.
A margine è utile riflettere su come la politica femminista in america ma non solo, a causa delle posizioni assunte dal ceto politico nato dalle lotte degli anni Sessanta e Settanta in tutto l'occidente, abbia prodotto il terreno adatto a giocare in modo spettacolare la presenza delle donne sul terreno della politica a prescindere dalle posizioni politiche ed ideologiche sostenute.
In sostanza una sfida che dimostra l'estrema capacità della principale formazione sociale capitalistica del mondo di mutare la propria composizione interna mantenendo la realtà del dominio, tramite l'assorbimento delle principali sfide conflittuali depotenziate e ridotte nel loro significato.

Giacomo Catrame



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