La chiusura delle convention del Partito Democratico e del Partito
Repubblicano negli USA ci ha consegnato la più simbolica e
insieme la più mediatica delle campagne elettorali presidenziali
americane degli ultimi trent'anni. La candidatura dell'african-american
Barack Obama e quella della signora Palin, donna ma conservatrice e
antiaborista, hanno segnato il massimo livello di assorbimento
simbolico all'interno del discorso dell'élite dominante del
protagonismo femminile e nero apparsi in America con forza rinnovata
nel corso degli anni Sessanta.
Significativamente Obama ha tenuto un discorso sulla razza che vuole
segnare la chiusura della politica razziale negli Stati Uniti; se fino
ad oggi un politico afro-americano veniva visto in prima battuta come
il portavoce della propria comunità, il tentativo del candidato
democratico è quello di cancellare la sua provenienza
comunitaria come tratto caratterizzante per definirlo politicamente. Si
tratta non di una scelta personale, come è ovvio, ma del
prendere letteralmente corpo del desiderio dell'élite nera, le
cui fortune datano ai tempi della battaglia per i diritti civili, di
emancipazione dalla propria origine e di ottenimento della piena
cittadinanza tra gli "americani veri". Non più una classe
dominante interna e rappresentante la comunità nera, ma un pezzo
dell'élite a stelle e strisce senza alcun riferimento
all'origine. In altre parole la neo-borghesia nera è desiderosa
di percorrere fino in fondo la strada assimilante già percorsa
dagli emigrati europei dell'Europa meridionale: italiani, greci, slavi
oggi pienamente interni al grosso della popolazione degli Stati Uniti.
In questo non ci sarebbe nulla di male, che anzi l'ulteriore caduta
delle barriere comunitarie ed etniche che segnano in modo feroce il
paesaggio sociale statunitense non potrebbe che essere un fattore
positivo nelle relazioni umane all'interno degli USA. La realtà
però non rispecchia né i sogni del candidato
presidenziale né i desideri dei politici, professionisti ed
imprenditori neri desiderosi di scrollarsi di dosso ogni riferimento
all'origine comunitaria. La popolazione nera in America continua ad
essere fortemente sfavorita nei termini di accesso ad alti livelli di
studio, di possibilità di ottenere impieghi ben retribuiti e di
accesso al credito; la frazione della comunità nera che
appartiene all'élite americana è minima e proveniente
nella quasi totalità dal mondo della politica (segno, quindi,
che la politica comunitaria è paradossalmente ad oggi il
principale mezzo di ascesa sociale per gli afro-americani); la
popolazione nera continua ad esprimere la parte preponderante della
popolazione carceraria e dei figli monogenitore. Insomma,
all'affermazione di una frazione d'élite della comunità
nera non corrisponde un'analoga ascesa della popolazione afro-americana
nel complesso, anzi. Se nei quartieri dell'alta borghesia l'arrivo di
un appartenete all'èlite nera non crea problemi di alcun tipo, e
infatti non ci sono quartieri ricchi neri, in quelli della classe media
e della working class bianca l'arrivo di vicini afro-americani è
tuttora considerato svilente per il quartiere e per il valore
finanziario delle case. Insomma gli Stati Uniti potrebbero trovarsi con
il paradosso di un Presidente afro-americano che passerà il
tempo a cercare di far dimenticare le proprie origini, mentre gli
appartenenti alla comunità nera continueranno a subire la
sottile discriminazione provocata dall'apartheid di fatto vigente negli
USA.
Questo è forse il campo più significativo all'interno del
quale si esprime il significato della candidatura di Barak Obama. Se,
invece, andiamo a vederne il programma effettivo questo non promette
nulla di buono per quanto riguarda le classi dominate, siano esse di
ceto medio o di working class, del grande paese americano. Al di
là del televisivo "Yes, we can" non c'è molto. Il terreno
del welfare e quello industriale non dovrebbero segnare significative
differenze rispetto al recente passato degli USA. Il tentativo di
allargare la platea dei raggiunti dall'assicurazione sanitaria, se
avverrà, verrà ottenuto tramite un aumento della spesa
pubblica a favore delle assicurazioni private il cui signoreggio sulla
salute americana non viene minimamente messo in questione; sul piano
industriale continuerà la gigantesca dismissione dei vecchi
settori industriali verso la Cina e la politica di dumping merceologico
che ha polverizzato i prezzi delle merci sul mercato americano, ma
anche gli stipendi della working class. La crescita di una nuova
working class legata ai settori più avanzati dello sviluppo
industriale è in corso ma è ancora lontana dal produrre
significativi effetti sulla crescita di una coscienza della propria
forza tra questi lavoratori, mentre il declino dell'insediamento
industriale fordista continua senza fine provocando un rinculo
generalizzato di redditi e diritti dei lavoratori. In questo scenario
l'intervento di un Obama presidente sarebbe fortemente business
friendly, ossia fortemente favorevole al dispiegarsi del vantaggio
delle imprese senza i tentennamenti elettorali protezionisti assunti
qua e la dall'attuale Presidente Bush. In altre parole un'eventuale
presidenza Obama segnerà un'ulteriore fase di smantellamento del
vecchio complesso industriale americano e di affermazione
dell'internazionalizzazione dell'economia americana, come nel corso
della Presidenza Clinton.
Quello che verrebbe a cambiare sarebbe però la composizione del
blocco di classe dominante che sosterrebbe la sua presidenza rispetto a
quella Bush; se in quest'ultima la presenza dominante era quella del
blocco petrolifero, nel caso di una presidenza Obama l'industria delle
energie alternative, quella della genetica e quella nanotecnologica
riceverebbero un forte impulso a rinnovare lo scenario industriale made
in USA.
Sul piano internazionale il candidato vice presidente Biden, figura
poco appariscente ma espressa direttamente dall'apparato democratico, e
soprattutto la probabile futura segretario di Stato signora Clinton,
sono stati molto chiari: la presidenza Bush ha sbagliato invadendo
l'Iraq perché ha adottato un approccio contrario agli interessi
strategici americani per favorire quelli a breve termine del suo blocco
dominante di riferimento. In altre parole ha concentrato gli sforzi sul
controllo del petrolio e non sulla sfida posta al dominio americano da
Russia e Cina, scontentando gli alleati europei, mettendo nell'angolo e
umiliando quelli arabi e, soprattutto, non replicando in alcun modo
alla crescita russa e cinese. L'invasione dell'Afganistan viene invece
rivendicata perché utile a infilare un cuneo tra Russia e Cina
e, soprattutto viene identificato come prossimo scenario di guerra il
Pakistan alleato infido degli USA e amico pericoloso della Cina. Quello
che il trio Obama-Biden-Clinton vogliono evitare è il formarsi
di una sorta di unione asiatica capace di spostare il baricentro del
mondo verso l'attuale Oriente. A questo scopo è probabile che
lavorino a favorire lo scontro all'interno dell'Asia tra le nazioni
emergenti, utilizzando tensioni e rivalità ampiamente esistenti.
Il multilateralismo ampiamente promesso dai candidati democratici alla
Presidenza si rivelerebbe esclusivamente come il ritorno ad una pratica
di coinvolgimento dell'Europa e del Giappone nel processo decisionale
strategico degli USA e nel ritorno ad una politica più
amichevole verso il mondo arabo. La rotta di collisione contro Russia e
Cina (probabilmente utilizzando l'India a tal fine) sarebbe però
il principio fondamentale cui si atterrebbe una possibile
amministrazione democratica. In questo quadro un assaggio di quello che
ci aspetterà lo abbiamo visto in Georgia durante il mese di
Agosto. Le tendenze appena emerse con la fine della Presidenza Bush
risulterebbero però aumentate esponenzialmente dal ritorno dei
democratici sulla tolda di comando.
Sul candidato Repubblicano si può notare come un'accorta
operazione di marketing stia presentando un uomo in sostanziale
continuità con l'ultima amministrazione Bush (quella meno
influenzata dai neo-cons) come una novità. In particolare Mc
Cain è l'uomo scelto per mantenere forte l'impegno
dell'amministrazione americana a fianco dei petrolieri e
conseguentemente contro per il controllo del mondo arabo. La scelta poi
della governatrice Palin alla vice presidenza è una scelta
mediaticamente vincente perché sta permettendo a Mc Cain di
recuperare terreno tra i fondamentalisti cristiani cui piace l'impegno
anti abortista della signora dell'Alaska, e di apparire allo stesso
tempo moderno ed aperto essendo il primo candidato alla Presidenza il
cui vice sia una donna.
A margine è utile riflettere su come la politica femminista in
america ma non solo, a causa delle posizioni assunte dal ceto politico
nato dalle lotte degli anni Sessanta e Settanta in tutto l'occidente,
abbia prodotto il terreno adatto a giocare in modo spettacolare la
presenza delle donne sul terreno della politica a prescindere dalle
posizioni politiche ed ideologiche sostenute.
In sostanza una sfida che dimostra l'estrema capacità della
principale formazione sociale capitalistica del mondo di mutare la
propria composizione interna mantenendo la realtà del dominio,
tramite l'assorbimento delle principali sfide conflittuali depotenziate
e ridotte nel loro significato.
Giacomo Catrame