Umanità Nova, n.28 del 14 settembre 2008, anno 88

Guerra, golpe, sedia elettrica. Yes, we can


Anche in Italia si cominciano a vedere in giro t-shirt con il faccione di Obama for president e la scritta Yes, we can, per di più su sfondo rosso.
Circostanza davvero immotivata, scoprendo che ad esibire tale icona sono persone e personaggi pubblici che si collocano a sinistra e si dichiarano pacifisti.
L'equivoco, grazie anche all'immagine che il Partito Democratico italiano ha veicolato e utilizzato del candidato democratico alla Casa Bianca, appare come tanti altri basato su una concezione della politica fondata sul non-sense.
Basta leggere, quanto la stessa stampa statunitense riporta. Sul New York Times, proprio alla vigilia di un suo tour tra le truppe Usa all'estero, Obama ha esplicitato la sua politica internazionale: "Via le truppe americane dall'Iraq entro l'estate del 2010, con 10 mila militari da dispiegare, appena possibile, in Afganistan, che si sta confermando il vero fronte della guerra contro il terrore (...) da Presidente, intendo avviare una nuova strategia, fornendo sin dall'inizio almeno due brigate da combattimento supplementari per appoggiare il nostro sforzo in Afganistan (...) abbiamo bisogno di più truppe, di più elicotteri, di una migliore intelligence di una maggiore assistenza non militare per compiere la nostra missione".
Per quanto riguarda l'Iran ha più volte sostenuto che lo considera un nemico dell'America e che il suo programma nucleare è "un problema per l'umanità".
Non meno univoche le sue posizioni sul Medio Oriente. Provocando le immaginabili reazioni palestinesi, in occasione di una conferenza stampa con il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, tenutasi a luglio a Sderot, nel sud di Israele, ha dichiarato "Continuo a dire che Gerusalemme sarà la capitale di Israele", nonostante che neanche un governo appoggi l'annessione sionista di tutta Gerusalemme, nemmeno quello di Bush allineato, almeno formalmente, alla risoluzione Onu che definisce Gerusalemme come città internazionale. 
Un'altra affermazione, largamente ignorata, è stata fatta da Obama a Miami lo scorso 23 maggio. Parlando alla comunità anticomunista degli espatriati cubani, il candidato democratico ha assicurato che manterrà contro Cuba l'embargo che dura da 47 anni, nonostante sia stato dichiarato illegale dall'Onu.
Obama ha anche sostenuto che gli Stati Uniti hanno "perso l'America Latina", definendo i governi legittimi di Venezuela, Bolivia e Nicaragua come dei "vuoti" da riempire, ed ha appoggiato la cosiddetta "Iniziativa Merida" che Amnesty International e altri hanno condannato come il tentativo di portare la "soluzione colombiana" in Messico.
Anche sulla pena di morte, osteggiata dai settori liberal statunitensi, Obama non appare incline ad ulteriori moratorie e, davanti ai microfoni della Cnn, si è dichiarato favorevole alla condanna capitale nei confronti di Bin Laden. Ha altresì precisato che "non sono un tifoso della pena capitale che dovrebbe essere limitata ai crimini più orrendi", infatti pochi giorni prima Obama aveva criticato una decisione della Corte Suprema che aveva bocciato la possibilità di mettere a morte criminali responsabili di gravi crimini senza omicidio, come lo stupro di bambini.
Molti politici e osservatori continuano ad accettare l'accostamento propagandistico Obama-Kennedy, ma senza coglierne la vera essenza. Anche J.F.Kennedy è stato infatti trasformato, immeritatamente, in un mito progressista; basti pensare che, tra l'altro, durante la sua presidenza iniziò l'intervento militare Usa in Vietnam, venne autorizzato lo sbarco degli anticastristi alla Baia dei Porci a Cuba e la Cia collaborò con la polizia sudafricana nell'arresto di Nelson Mandela, poi detenuto quasi 28 anni.
Un precedente che dovrebbe far riflettere su come, anche negli Stati Uniti, non possono esistere poteri buoni e tanto meno governi amici.

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