Quest'anno ricorre un triste anniversario nella storia recente del
nostro paese, quello dell'istituzione dei Centri di permanenza
temporanea per immigrati. Era il 1998 quando la legge Turco-Napolitano
entrò in vigore definendo per la prima volta in Italia le
condizioni della detenzione amministrativa per quegli immigrati
cosiddetti "extracomunitari" che facevano irregolarmente ingresso (o
irregolarmente vi risiedevano) in Italia.
I firmatari di quella legge, vecchi esponenti del Partito comunista
prima, democratici di sinistra poi, facevano allora parte di una
maggioranza governativa di centrosinistra che, proprio in quegli anni,
si distinse anche per il coinvolgimento dell'Italia nella guerra in
Kosovo e per tutta una serie di provvedimenti che contribuirono a
ridisegnare la società italiana demolendo, una dopo l'altra, le
certezze e le conquiste di libertà e convivenza civile sulla
scorta di quanto era già stato iniziato dal primo governo
Berlusconi. Da allora, si sono succeduti alla guida del paese due
governi Berlusconi in un'unica legislatura, un altro governo di
centrosinistra con Prodi presidente del consiglio e, infine, il
Berlusconi-parte-quarta in carica.
Sul fronte dell'immigrazione non è praticamente cambiato nulla.
Se possibile, le condizioni si sono ulteriormente aggravate e questi
dieci anni sono testimoni di un arretramento progressivo e sostanziale
per quanto riguarda le politiche pubbliche in materia di immigrazione.
Non solo la Bossi-Fini a peggiorare un quadro normativo già
restrittivo, ma anche una serie di provvedimenti populisti e autoritari
che hanno reso sempre più difficili le condizioni di vita degli
immigrati in Italia.
Perché se da un lato la repressione colpisce chi non ha le carte
in regola, dall'altro lato è risultata evidente la
volontà da parte delle istituzioni di complicare le stesse
procedure per la regolarizzazione degli immigrati: l'esosa (per gli
utenti) convenzione tra Ministero dell'interno e Posteitaliane per il
disbrigo di pratiche che non si sbrigano mai; il famigerato click-day
per inoltrare in via telematica le domande per il permesso di soggiorno
a orari e giorni prestabiliti; l'immarcescibile legame tra permesso di
soggiorno e contratto di lavoro che, se non c'è, ti fa
precipitare da un giorno all'altro nella clandestinità.
In mezzo a tutto questo, dieci anni di naufragi nel Mediterraneo, di
gente morta nelle stive dei camion per oltrepassare la frontiera, di
deportazioni di massa, di storie incredibili tra le mura dei CPT.
Ma sono stati anche dieci anni di lotte, in Italia e non solo. Da
Trapani a Gradisca, tutto il paese ha conosciuto momenti anche alti di
mobilitazione per opporsi alla barbarie razzista che le istituzioni
hanno scatenato contro gli immigrati. Manifestazioni, cortei, presidi,
inchieste. Ma anche arresti, denunce, cariche, intimidazioni,
criminalizzazione. Se tutto questo non è servito a far chiudere
i CPT, è comunque servito a far conoscere all'esterno questa
realtà abominevole dando coraggio agli stessi immigrati che, in
molte occasioni, hanno lottato in prima persona - pagando a volte un
altissimo prezzo come la propria vita - per la libertà: dieci
anni di fughe, rivolte, scontri con le guardie per aprire un varco tra
le sbarre. E poi i coordinamenti antirazzisti, i comitati autogestiti
dagli stessi immigrati, l'autorganizzazione delle lotte per rivendicare
diritti e libertà.
Oggi, come tante volte succede in Italia, i CPT hanno cambiato nome:
sono Centri di identificazione ed espulsione, CIE. Non è
cambiato nulla, perché anche prima assolvevano questa funzione.
Ma è un nome che dà l'idea del mandar via subito,
dell'eliminazione del corpo estraneo. È un acronimo più
cattivo, se vogliamo, ma quanto meno ci pare meno ipocrita di quella
"permanenza temporanea" che il centrosinistra si era inventato
contrabbandando le galere degli immigrati per alberghetti a tre stelle.
È un acronimo che ben si presta all'esigenza propagandistica del
governo di mantenere la barra dritta sulla rotta del terrorismo
psicologico con cui fomentare nella popolazione la paura dello
straniero, capro espiatorio su cui focalizzare frustrazioni e
insuccessi tutti italiani. Se l'emergenza è la sicurezza, e i
colpevoli sono i "clandestini", ecco servito l'esercito per funzioni di
ordine pubblico: soldati per le strade, nei punti sensibili (!) e,
ovviamente, a guardia dei centri per immigrati. Sbarre, poliziotti,
carabinieri, soldati armati: questa è la fauna che si presenta
agli occhi di ogni immigrato vittima della repressione dello stato, a
dieci anni dalla istituzione dei nuovi lager italiani nella Fortezza
Europa.
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