Umanità Nova, n.28 del 14 settembre 2008, anno 88

Il governo taglia i finanziamenti all'editoria. Senza paracadute


L'avvento dei "nuovi media", ieri la tv, oggi internet, ha contribuito ad alimentare lo stato di crisi in cui versa da tempo l'editoria su carta. Un ulteriore colpo al sistema dei media tradizionali è stato dato, agli inizi di agosto, dalla manovra finanziaria approvata a tempo di record prima della chiusura per ferie del Parlamento.
La normativa in vigore fino a oggi prevedeva l'elargizione di finanziamenti pubblici alle imprese editoriali sia in modo diretto (in base alla tiratura ed alle vendite) che indiretto (attraverso contributi per le spese postali, di stampa, ecc...). Mentre il primo tipo di finanziamenti era destinato alle imprese a carattere non di lucro, cooperative, associazioni religiose e organi di partito, del secondo beneficiavano invece indistintamente tutte le imprese editoriali. Con questo sistema sono stati distribuiti, nel corso degli anni, centinaia di milioni di euro di contributi dei quali hanno usufruito - in misura diversa - praticamente tutti i giornali, dai feroci paladini del liberismo ai sostenitori di "altre" economie. Tra i beneficiari anche un discreto numero di finti quotidiani di partito, di bollettini parrocchiali e di improbabili giornali che venivano stampati solo per essere poi inviati al macero o regalati. Questa situazione, ben nota agli addetti ai lavori, è diventato negli ultimi anni di pubblico dominio grazie ad una inchiesta di una nota trasmissione giornalistica della Rai, ma soprattutto grazie alla pubblicità fatta da B. Grillo durante il suo V2Day, durante il quale sono state proiettate su grande schermo le cifre che annualmente lo Stato destina alle varie testate giornalistiche.
Dal prossimo anno le cose dovrebbero cambiare in quanto il provvedimento varato prevede un taglio, decisamente pesante ai contributi diretti (si calcolano 357,5 milioni di euro), mentre mantiene inalterati quelli indiretti. Questo sia al fine di ridurre la spesa dello stato che di fare un po' di pulizia tra i numerosi finanziamenti decisamente scandalosi.
Nei giorni immediatamente precedenti l'approvazione del Decreto sono partite le proteste dei più colpiti dai tagli, in testa "il manifesto" che rischia di perdere circa 4,3 milioni di euri all'anno e quindi di chiudere i battenti. Ma forti sono state anche le proteste dell'editoria cattolica che ha paventato la chiusura di decine di giornali e un conseguente danno per il pluralismo del sistema informativo. Per una settimana si sono susseguite sui quotidiani le prese di posizione, rigorosamente bipartisan, contro questi tagli ed è stato persino costituito un coordinamento tra i Comitati di Redazione che raccoglie un po' tutti, da "Liberazione" al "Secolo d'Italia", per studiare le forme di protesta da adottare. E alla fine di settembre si terrà a Roma una riunione delle imprese cooperative e no profit, per studiare le iniziative da prendere.
Ma si sono lette cose anche più divertenti, come gli articoli pubblicati su quotidiani di centro-destra che attaccavano un settimanale dello stesso schieramento politico accusandolo di predicare bene e di razzolare male in quanto anch'esso destinatario (tramite il suo editore) di una più che sostanziosa parte dei tanto famigerati finanziamenti pubblici.
Da tempo l'editoria su carta è un settore assistito; al pari di altri comparti produttivi ha beneficiato negli anni delle vacche grasse di contributi a pioggia in nome della libertà di informazione, anche se poi è facile verificare come questa è stata applicata nel settore dei media ufficiali, che sono spesso uno fotocopia dell'altro. Anche se una parte di questi fondi sono finiti a giornali che si proclamano "dalla parte del torto", la maggior parte dei finanziamenti è stata comunque destinata ai grossi gruppi editoriali e quindi, in cascata, ai loro azionisti.
Il provvedimento approvato non è che la logica conseguenza della politica liberista di tagli alle spese, che questa volta ha colpito l'industria editoriale, al centro degli interessi dei poteri forti.
In questo modo l'impatto propagandistico del provvedimento è stato quindi amplificato proprio dal settore investito dai tagli, che negli ultimi decenni ha già subito profonde modifiche: precarizzazione del lavoro, esternalizzazioni selvagge, rafforzamento delle posizioni di monopolio. Un ambito nel quale le già rare voci dissidenti sono state progressivamente ridotte al silenzio, strangolate dall'aumento dei costi e dalla concorrenza dei grandi gruppi.
Difficilmente sentiremo la mancanza di testate omologate al sistema di sfruttamento, che in tutta la loro storia non hanno fatto altro che da portavoce all'ideologia dello stato e del capitale. Altrettanto sicuramente, la chiusura di decine di giornali è piuttosto una perdita che un guadagno per tutta la collettività, ma - paradossalmente - potrebbe anche essere una spinta, per coloro che hanno davvero a cuore la libertà di stampa, ad imboccare la scomoda strada dell'informazione completamente al di fuori del sistema dei media di Stato.

Pepsy



home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti