Gli ultimi avvenimenti
Al tavolo politico sulla Torino – Lyon, tenutosi a Roma il 29 luglio
sotto la presidenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
Gianni Letta, è stato sancito l'inizio della fase due del
processo che deve portare alla costruzione della nuova linea.
Riprendendo da Il Sole 24 Ore del 30 luglio – tutti i giornali,
compresi quelli locali della valle di Susa, hanno tuttavia riportato
più o meno le stesse notizie – nella fase due si avrà una
progettazione unitaria dell'intera tratta Torino – Lyon, secondo le
linee guide concordate dall'Osservatorio Tecnico, insieme agli Enti
Locali, nell'accordo di Pracatinat del 28 giugno. Entro settembre
verranno definiti i progetti per potenziare il trasporto pubblico e per
riequilibrare il traffico di merci a favore della ferrovia; entro
ottobre si avrà l'aggiornamento del dossier per i fondi europei,
nel senso che si cercherà di utilizzare i fondi non più
per il cunicolo geognostico sotto il massiccio di Ambin, ma
direttamente per i tratti della nuova linea tra Chivasso e Avigliana.
Infine, il prossimo ottobre si avrà la gara per assegnare la
progettazione del collegamento che dovrebbe fare il progetto
preliminare entro il 2009.
Così dice Virano, presidente dell'Osservatorio Tecnico, e in un
certo senso possiamo credergli. Perché Virano è un tipico
soggetto politico di nuova generazione, un manipolatore di frasi vuote,
un dispensatore di melassa – blatera di partecipazione democratica, di
costruzione del consenso, di linee guida progettuali concordate con i
tecnici della valle – ma ha guidato con mano ferma la recita verso la
sua conclusione predefinita, quella di costruire la nuova linea. E i
dati contenuti nei Quaderni dell'Osservatorio, letti con distacco,
parlano a suo favore, poiché mostrano la necessità di
intervenire subito con la costruzione della gronda merci a nord ovest
di Torino e di una nuova tratta tra Torino (bivio Pronda) e Avigliana,
onde evitare la congestione a breve, tra qualche anno, della linea
storica. I numeri che giustificano questa visione del problema sono
stati in parte ottenuti con un modello demenziale di previsione
dell'incremento dei flussi di traffico – il modello prevede un
raddoppio dei flussi ogni 25 anni circa, senza tener conto che oramai
la crescita si scontra con i limiti puramente fisici del territorio –
in parte su altri dati gettati sul tavolo dall'Agenzia Mobilità
Metropolitana di Torino, senza uno straccio di analisi a sostegno – si
vuole duplicare in quattro anni il numero dei treni passeggeri dal
bivio Pronda ad Avigliana – oppure dall'Autostrada Ferroviaria Alpina
che prevede di moltiplicare nello stesso periodo per 3,25 i treni che
trasportano camion-cisterna. Poiché sia il trasporto
metropolitano, sia l'autostrada ferroviaria vanno sovvenzionati con il
denaro pubblico – l'autostrada ferroviaria è sovvenzionata per
2/3 – visti i chiari di luna, il tutto sembra una farneticazione. Ma
è una farneticazione controfirmata da Debernardi e Tartaglia,
tecnici della Comunità Montana di bassa valle, e sembra ovvio
che su questo consenso democraticamente raggiunto sarà basata la
decisione di partire a breve con la costruzione della linea di gronda
attorno a Torino, il passaggio sotto corso Marche e il collegamento
fino ad Avigliana. È del tutto evidente che le tratte in
questione sono quelle iniziali di una nuova Torino – Lyon. La
situazione di stallo è stata dunque superata, almeno sulla
carta: si può partire. Se vi saranno problemi dovuti a gruppi di
esagitati NO TAV, verranno trattati come problemi militari, secondo la
più recente dottrina nazionale sull'uso dell'esercito.
Del resto, la possibilità che lo studio della situazione si
concludesse con la decisione di non costruire la nuova linea – con
l'opzione zero, come dicono gli specialisti - era stata
cancellata fin dall'inizio nel dibattito che si è svolto
all'interno dell'Osservatorio, con una scelta implicita ma decisiva.
Perché si giunga alla determinazione di non costruire qualcosa
è necessario infatti che siano presenti nel dibattito almeno uno
dei seguenti criteri:
- l'idea che un territorio non possa essere stravolto e asservito a
esigenze esterne oltre un certo limite, in altre parole che si
riconoscano al territorio e ai suoi abitanti dei diritti;
- l'idea che il saccheggio del denaro pubblico non possa essere portato
fino a programmare spese colossali prive di ritorno economico.
Il primo dei due criteri implica la necessità di un'analisi
dell'impatto dell'opera sul territorio; il secondo porta a una
comparazione tra i costi e i benefici presunti dell'impresa. Né
l'uno, né l'altro tema sono stati neppure sfiorati nei quaderni
dell'Osservatorio. Nel dibattito dell'Osservatorio le esigenze del
trasporto, immaginato in continua espansione secondo una legge
esponenziale, sono state assunte come una priorità assoluta,
rispetto a cui qualsiasi altro diritto o considerazione di
opportunità viene cancellato. L'unica incertezza che rimane
riguarda la determinazione dei tempi in cui sarà inevitabile
costruire; e di questo si è in effetti discusso.
In realtà, il problema dell'impatto e quello dei costi erano
stati affrontati nei confronti del decennio precedente, sia in quelli
tenuti a più riprese all'interno di comitati regionali, sia
nelle varie Commissioni della Conferenza Intergovernativa. L'averli
cancellati costituisce il fondamentale carattere innovativo del metodo
adottato dall'Osservatorio tecnico; non è sorprendente che sia
stato facile trovare un accordo.
Il gioco delle parti
Sebbene l'incontro di Pracatinat, il documento eleborato per
quell'occasione da Virano, e i risultati del tavolo politico siano
stati presentati sui media come un trionfo di concertazione
democratica, le cose non sono andate così bene come
probabilmente speravano i direttori dell'orchestra. Tanto per iniziare,
i sindaci convocati a Roma non hanno firmato il documento politico; i
Consigli Comunali della valle di Susa hanno respinto il documento di
Pracatinat e una parte sia pure minoritaria di essi ha respinto anche
il documento F.A.R.E, che nella intenzione dei tecnici della
Comunità Montana e del suo presidente Ferrentino, dovrebbe
rappresentare la proposta di compromesso della valle per la soluzione
delle esigenze del trasporto. Infine, un gruppo nutrito di
amministratori, 87 ci sembra, aveva già firmato un documento di
critica alla decisione di partecipare ai lavori dell'Osservatorio, che
veniva giudicato uno strumento di propaganda dei promotori dell'opera,
e non uno strumento di approfondimento tecnico.
Alla base di questa diffusa mancanza di consenso vi è, come
fattore a mio parere determinante, la capacità di mobilitazione
di forze politiche non istituzionali, i comitati NO TAV e i loro
alleati dell'area antagonista, che hanno dimostrato con una serie di
iniziative – la raccolta delle 32.000 firme portate a Strasburgo, la
campagna per l'acquisto di massa dei terreni interessati alla
costruzione dell'opera, le mobilitazioni pubbliche di portata crescente
– di aver conservato un solido rapporto con la gente comune.
In termini di confronto pubblico, la vittoria dei Comitati rispetto ai
partiti, anzi al Partito, il PD senza la L, è stata
schiacciante; i tentativi dei soldatini ex d.s. di simulare in valle,
con l'aiuto di qualche truppa trasportata, un movimento Sì TAV
sono affogati nel ridicolo. Il 28 luglio, alla vigilia del Tavolo
Politico del 29, una fiaccolata notturna a cui hanno partecipato tra le
3 e le 5 mila persone, è sfilata attorno al municipio di S.
Antonino. Volevano ricordare al sindaco, nonché presidente della
Comunità Montana, che a Roma avrebbe rappresentato se stesso e
una parte del suo ceto, ma non gli abitanti della valle.
Il documento F.A.R.E.
Il fatto che i sindaci non firmino i documenti di Virano non significa
che, nel loro insieme, siano contrari alla costruzione della nuova
infrastruttura. Salvo qualche eccezione, quelli di loro legati ai
Partiti cederebbero volentieri alle pressioni esterne e alle promesse
di compensazione, se solo sapessero come far dimenticare ai loro
concittadini di essersi fatti eleggere presentando piattaforme tutte
rigorosamente contrarie alla nuova infrastruttura.
Così, i favorevoli alla giravolta si sono dedicati a una
strategia della confusione, che ha la sua mente direttiva, almeno
all'apparenza, nel poliedrico presidente della Comunità Montana
della bassa valle di Susa, Antonio Ferrentino, fino all'altro ieri eroe
della resistenza, secondo la vulgata.
Gli strumenti con cui si accompagna il giro di valzer sono quelli
tradizionali della subcultura stalinista – la nuova fase, il
cambiamento di rapporti di potere tra le forze politiche, il metodo
innovativo di confronto instaurato nell'Osservatorio, come se la
decisione di intraprendere un'opera di gravissimo impatto e di costo
spropositato potesse dipendere da considerazioni di questo tipo – e il
coro che accompagna l'operazione è esteso ben al di fuori della
valle. Partecipano il partito delle Cooperative di costruzione, detto
anche PD, Regione, Provincia, Comune di Torino, Legambiente, e i
giornali tutti, com'era ovvio che accadesse.
Ma a dar parvenza di dignità intellettuale al tutto si è
aggiunta ultimamente una proposta, presentata come allegato ai Quaderni
da Debernardi e Tartaglia, che vorrebbe essere alternativa alle
proposte dei promotori. Il documento si intitola F.A.R.E, acronimo di
Ferrovia Alpina Razionale ed Efficiente, e già nel ridicolo
gioco di parole con cui si presenta rivela l'ambizione di collocarsi
nella nouvelle vague veltrusconiana, quella che prevede di costruire
tutto e subito, ma con il nobile intento di preservare il pianeta. Il
testo è costituito da una lunga introduzione di filosofia del
trasporto e da una breve parte propositiva. Quest'ultima è poca
cosa: propone di costruire la nuova linea per fasi, partendo dal nodo
di Torino, via via che le tratte si andranno saturando. A parte la
piccola furbizia di inserire come fase zero i lavori di ammodernamento
della vecchia linea, già iniziati da anni e di prossima
conclusione, così che l'inizio della costruzione della nuova
appaia come un semplice passo di un processo continuo, la proposta non
contiene alcun elemento di novità. L'articolazione per fasi
è obbligata, ed era già stata presentata numerose volte
dalla Rete Ferroviaria Italiana; i suggerimenti tecnici che dovrebbero
rendere più facile mitigare l'impatto della nuova linea sono,
nella situazione specifica, inapplicabili.
Viene lasciato nel vago che cosa accadrà se e quando le
previsioni di saturazione si riveleranno false; a voce, nelle assemblee
che si sono susseguite in valle di Susa, ad Almese e a Villar
Focchiardo ad es., la triade Ferrentino, Debernardi, Tartaglia, pur
facendo blocco in difesa del documento, non parla con una sola voce. I
primi due evitano l'argomento; Tartaglia sostiene che il documento
fissa una serie di scadenze con verifica; la mancata saturazione, o
anche il mancato trasferimento modale del trasporto merci – dal camion
al treno – dovrà portare secondo lui all'abbandono della
costruzione del tratto di bassa valle e del tunnel di base,
perché inutili. È improbabile che i fautori dell'opera si
preoccupino delle intenzioni di Tartaglia. Il loro problema è
quello di aprire i cantieri nel più breve tempo possibile; da
quel momento in poi, l'arma del ricatto occupazionale e l'argomento
della incompletezza della infrastruttura strategica giocherà a
loro favore nella lotta per l'attribuzione delle risorse. Le varie
tratte non hanno infatti autonomia funzionale, non ostante le cifre
ostentate nel terzo quaderno; qualsiasi ipotesi di equilibrio nella
gestione, ammesso che sia possibile ottenerlo, richiede che la linea
sia costruita per intero.
Veniamo alla prima parte del documento, quella con ambizioni di
discorso sistemico: è la parte più pericolosa per il
movimento NO TAV, perché si tratta di un abile minestrone che
mescola tutto, accenni fortemente critici al progetto generale
dell'alta velocità, e prospettive di riscatto dall'inquinamento
basate sull'oggetto treno come mezzo di trasporto. Il suo punto di
forza è nel richiamare alcuni luoghi comuni della cultura del
popolo di sinistra, al cui interno il mito salvifico del treno è
articolo di fede: slogan come trasferimento modale o cura del ferro
inducono reazioni di consenso e di autoriconoscimento di gruppo che
avrebbero giustificato l'entusiasmo di Pavlov. In questo contesto, il
problema sempre più urgente dell'impatto del trasporto sul
territorio, e dei suoi costi, non viene affrontato nei termini di un
passo indietro del just in time, della ricostituzione di distretti
industriali quasi-autosufficienti con scala geometrica di un paio di
centinaia di Km, oppure della dematerializzazione degli scambi, ma con
la sacralizzazione del mezzo di trasporto più rigido, un mezzo
non autonomo – occorrono due camion invece di uno per trasportare una
merce in treno – adatto solo allo spostamento di merci pesanti su
percorsi di migliaia di Km. È scontato che le valutazioni degli
economisti del settore, quelle attuali di Marco Ponti, di Proud'homme,
di Marletto – quest'ultimo, docente di Economia Applicata, unico
esperto di trasporti presente il 10 luglio a Roma, alla presentazione
del F.A.R.E organizzata da Legambiente, ha immediatamante stroncato il
documento – o quelle di ieri di Zambrini, non concordino con questa
visione miracolistica. Ma nelle religioni dei santini il fare di conto
è visto con sospetto.
Anche perché, come spesso accade, il fumo dei dogmi nasconde un
intreccio corposo di interessi che ruota attorno alle costruzioni
ferroviarie. RFI è la più ricca stazione appaltante del
settore delle costruzioni e rappresenta pertanto un centro di potere
economico e politico di grandissima rilevanza. Nella moltitudine di
persone che mangiano a questa greppia, un ruolo particolare è
occupato dal gruppo dei critici a corrente alternata. Implacabili nel
riconoscere le carenze di una proposta infrastrutturale che sta
crollando per conto proprio, fulminei nel delineare condizioni astratte
che permettano di portare avanti l'impresa senza cambiare
alcunché. È a questi personaggi che si deve nella seconda
metà degli anni 90, nel momento più acuto di crisi del
progetto TAV dovuto a Necci, la straordinaria scemenza di come una
linea passeggeri ad alta velocità potesse essere utilizzata per
il trasporto di merci a bassa velocità, senza cambiare né
i tracciati né una riga del progetto. Il loro ruolo è
quello del gallo che canta sopra il mucchio del letame, e la loro
impronta riecheggia nel documento F.A.R.E., probabilmente per mano di
Debernardi che a questo gruppo appartiene, e ha già scritto
pagine simili. Solo che i fatti si sono già incaricati di
smentire che le nuove linee modifichino la percentuale del trasporto di
merci a favore della ferrovia. Ed allora, preso atto con grande
onestà intellettuale anche di questa situazione nuova, difficile
da nascondere, si gioca al rilancio: il discorso viene reso più
complesso, arricchito di complicazioni amministrative, di
discriminazioni tariffarie a danno dell'autotrasporto, di garanzie
giuridiche da ottenere per il futuro. Tutto da discutere, analizzare,
verificare; intanto, si aprono i cantieri.
Claudio Cancelli