Umanità Nova, n.28 del 14 settembre 2008, anno 88

I pacifisti e i militari nei cantieri. "Noi si scherzava!"


A voler essere precisi, più che uno scherzo "la nostra era una provocazione". Tale fu, lo scorso 11 agosto, la spiegazione che il sito PeaceReporter" (www.peacereporter.net) forniva ai lettori dopo che, quello stesso giorno, le agenzie di stampa e i media avevano dato notizia di un'intervista, rilasciata a La Sicilia, in cui il ministro La Russa aveva annunciato l'intenzione di "irrobustire il controllo sui cantieri da parte dei carabinieri, con ispezioni a tappeto ma anche a campione" ma, soprattutto, ipotizzava anche l'impiego di soldati nella lotta contro il sempreverde fenomeno delle morti bianche. La spiegazione di PeaceReporter si rendeva necessaria perché con l'"ipotesi soldati" il ministro aderiva idealmente all'appello "Militari per la sicurezza. Sul lavoro" lanciato da PeaceReporter il 5 agosto, sottoscrivibile online inviando una mail con oggetto "militari nei cantieri".
Dalla data di pubblicazione, per un po' di tempo, l'appello era rimasto molto visibile nella pagina principale del sito, sopra allo spazio dedicato alle notizie frequentemente aggiornate. Poi, è stato spostato nella parte inferiore della pagina. Le adesioni risultano essere più di 1.400.
Comunque sia, come si diceva, dopo l'"adesione" di La Russa, PeaceReporter ha strappato il velo di Maya che criptava la verità pacifista dell'appello: "Noi abbiamo lanciato una provocazione, consapevoli della sua pesantezza. Ma era appunto una provocazione. Non vorremmo proprio che il nostro Paese si militarizzasse. E che la linea verde che ci unisce alla Colombia, oggi sottile, diventasse un robusto fascio". Partenza sulla difensiva, chiusura in attacco, con intermezzo perplimente – il Paese militarizzato c'è già, non da oggi né da ieri.
Facciamo un passo indietro. L'appello d'inizio agosto si chiudeva così: "Noi, cittadini italiani stufi di questa "strage bianca", chiediamo a Lei, ministro della Difesa, di spostare le risorse umane ed economiche impiegate per pattugliare le città perché vigilino sui cantieri e sui luoghi di lavoro [in origine, come si vede, non solo di cantieri si parlava]. I numeri degli incidenti sul lavoro, signor Ministro, sono quelli di una guerra. Mandi, per favore, i nostri militari in una vera missione di pace". C'è da chiedersi, in ogni caso, quante delle persone firmatarie non avessero compreso la vera natura provocatoria dell'iniziativa, rimanendo incollate al velo di Maya della soluzione militare come il buon vecchio Linus rimane incollato alla sua coperta ("la coperta di Linus") che, se non erro, Linus stesso definisce "coperta di sicurezza".
Questa geniale provocazione pacifista arrivava nel cuore dell'estate un mese dopo un'altra iniziativa provocatoria, promossa dall'ARCI a Roma, che PeaceReporter aveva pubblicizzato e alla quale aveva aderito entusiasticamente. Si trattava della contestazione alla schedatura dei Rom, a cui i partecipanti si opponevano dietro allo slogan "Schedateci tutti", raccogliendo autonomamente le proprie impronte per consegnarle alle istituzioni. Queste ultime, da parte loro hanno risposto "Ok", votando a metà luglio un emendamento che prevede la presenza delle impronte digitali nelle carte d'identità a partire da gennaio 2010. Il provvedimento accoglie una direttiva europea in materia e non è, naturalmente, una risposta diretta all'iniziativa dell'ARCI.
Alla luce di iniziative così sottili da parte della sinistra della società civile, lanciatasi in un'opposizione dai risvolti collaborazionisti che, tramite una ponderata "strategia della provocazione", aiuta lo sdoganamento di pratiche di controllo poliziesco diffuso, si può trarre conferma del fatto che certa sinistra possiede bussole politiche i cui aghi non sono certo impazziti, ma oscillano tristemente, soffermandosi qua e là, puntando verso ambigui poli magnetici.
Tornando alla questione dei soldati da cui si era partiti – rilevando che se i provocatori dicono "Noi si scherzava", i provocati tendono a rispondere "Noi un po' meno" – La Russa, da parte sua, secondo quanto riportato da RaiNews24 ancora l'11 agosto, affermava: "Siamo studiando il meccanismo, debbo ancora parlare con il Ministro dell'Interno. Penso a Nucleo di Carabinieri, ma anche ai soldati al loro fianco finalizzato a controlli a sorpresa. Ci vuole una presenza forte per invertire questa tendenza, chiamiamola culturale o di abitudine. Per me questo è un problema tanto importante quanto la criminalità".
Avendo chiarito al popolo che, nei cantieri, gli operai hanno la brutta "abitudine" di morire – decisamente un vizio, per "tendenza culturale" proprio (un vizio che fa trendy) o, possiamo osare con Freud, vittime di un maligno istinto di morte – il giorno successivo (notizia ASCA), riguardo alla questione soldati, precisava: "Al momento non è una proposta concreta, ma se fosse utile, e se non ci fossero polemiche, allora potremmo chiamare, per esempio, gli ufficiali del genio militare [...] ne parlerò con Napolitano e con il ministro del Welfare e naturalmente con Berlusconi. Per ora non è una proposta concreta".
Attendiamo dunque con ansia ciò che ci porterà il futuro, tenendo presente che, sempre l'11 agosto, una nota dell'ASCA si chiudeva come segue: "Ed i soldati potrebbero essere impiegati anche nel controllo del 'cantiere dei cantieri', quello del Ponte sullo Stretto. 'Una zona calda - ad avviso del ministro - dove i militari potrebbero essere utili'". Nulla di sorprendente, i militari che presidiano cantieri di "grandi opere strategiche" non sono un prodotto che possa godere del marchio di qualità made in Italy, ma solitamente le loro missioni in siti sensibili, di interesse nazionale come quello appena citato, non hanno la funzione di disabituare gli operai a morire.
Insomma, chi ha orecchie per intendere... intende.

S.L.



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