Gli angolofoni le chiamano “buzz-words” (parole panciute), sono quei
termini - spesso neologismi, che in un certo momento diventano di moda
e che spesso hanno un significato non chiaro o non univocamente
accettato. Di solito vengono usate per impressionare chi ascolta o
legge e rendono alcune affermazioni talmente banali da essere
difficilmente contestabili. Sicuramente il termine “meritocrazia” e
tutti quelli collegati (merito e meritocratico in primo luogo) è
una di queste parole che da tempo imperversa anche sui mezzi di
comunicazione nostrani.
Per portare un piccolo esempio ecco alcuni titoli, nei quali compare la
famigerata parola, comparsi sui quotidiani dall’inizio del mese di
aprile:
“Lotta a sprechi e più meritocrazia: l’appello dei city manager
riciclati” [1]; “Come far vincere il merito” [2]; “La mia provincia
più sicura, pulita e meritocratica” [3]; “Largo al merito e al
genio italiano” [4]; “Al nostro paese serve più meritocrazia e
cultura di impresa” [5]; “Sanità malata, merito e competenza
sono la cura” [6].
Impossibile invece anche solo contare il numero esorbitante di articoli
e di servizi tv nei quali il termine viene utilizzato, più o
meno a sproposito. Una citazione per tutte: “i lavoratori percepiscono
che i vecchi schemi d’azione del sindacato frenano l’innovazione
necessaria per valorizzare meglio il loro lavoro, oppure impediscono di
valorizzarne il merito, appiattendo i trattamenti.” [7]
In generale i contesti nel quale attualmente viene utilizzato il
termine sono essenzialmente due: quando si deve criticare il sistema di
reclutamento del personale docente universitario (che viene assunto non
per merito ma per cooptazione o nepotismo) e quando si devono criticare
i danni di un preteso egualitarismo vigente nel mondo del lavoro che
porterebbe ad un ingiusto livellamento salariale. Quest’anno poi la
muta si è lanciata in una vera e propria crociata contro le idee
del ‘68 che sarebbero state le principali avversarie della
meritocrazia, con alcuni interventi decisamente esilaranti: “La scarsa
valorizzazione del merito è una delle cause principali della
crisi del Paese. È ora di superare la cultura sessantottina del
diciotto politico.” [8]
Probabilmente tutti coloro che oggi sprecano questa parola non sanno
che la sua nascita è relativamente recente, sono infatti passati
esattamente 50 anni da quanto fu usata per la prima volta dal sociologo
inglese Michael Young.
Il termine compare nel saggio “L’avvento della meritocrazia” [9], un
pamphlet socio-politico sulla scia delle distopie di Swift, Orwell e
Huxley. In questo libro, un sociologo del 2034 racconta come nel Regno
Unito si sia affermata una forma di governo chiamata “meritocrazia” e
basata esclusivamente sul Quoziente di Intelligenza (Q.I.) delle
persone. Mischiando citazioni da testi reali e inventati l’autore
descrive le diverse forme di potere che si sono susseguite nei secoli:
dall’aristocrazia, che si basava sul principio di eredità dei
beni e del potere alla plutocrazia, nella quale il governo era nelle
mani dei più ricchi, per arrivare infine all’abolizione di
privilegi del sangue e del denaro a favore di quelli dell’intelligenza.
La maggior parte del testo si sofferma nella minuziosa descrizione del
sistema educativo, alla base del sistema, e degli strumenti
“scientifici”, in pratica dei test per misurare il Q.I., che mettono in
grado di selezionare - fin dall’infanzia la classe dirigente da una
parte e quella dei “tecnici” dall’altra.
Basandosi sull’assioma che gli uomini non sono tutti uguali ne viene
fatto discendere un “precetto morale” che implica, per il benessere
della società, di scegliere i più adatti attraverso dei
sistemi che non siano legati al nepotismo, al denaro o al caso ma
esclusivamente alle reali capacità dei singoli individui.
“Dare a ciascuno una posizione sociale proporzionata alle sue
capacità” è l’obiettivo di questa utopica società
la cui stratificazione sociale si basa sul principio del merito e che
riesce a mantenere la pace sociale attraverso un sistema di salari
uguali per tutti, salvo che le persone collocate in posizioni di
prestigio ricevono in più quelli che oggi chiameremmo “fringe
benefit”, ovvero prestazioni non in denaro che compensano la forzata
uguaglianza salariale. Nonostante tutto però, anche questa
utopia inizia ad avere alcuni problemi non previsti dai fautori della
meritocrazia: da una parte ci sono gruppi di persone, i “populisti”,
che rifiutano di collocarsi nel posto indicato dal loro Q.I. e
dall’altra soprattutto le donne che iniziano a trovare una
contraddizione tra i principi della meritocrazia e il ruolo materno che
viene loro richiesto dalla società. Il saggio termina, con un
piccolo colpo di scena, alla vigilia del grande sciopero di protesta
del maggio 2034.
La prima cosa che vale la pena di osservare è che oggi, nella
maggior parte dei casi, il termine ha assunto una valenza diversa da
quella originale e, sicuramente, la maggior parte [10] di coloro che lo
usano non sanno che chi lo ha inventato intendeva criticare l’utopia di
una società basata sul merito. In secondo luogo qualsiasi
sistema che tenda ad attribuire dei “meriti” necessita di un processo
di valutazione, quello che nel libro di Young viene riservato ai test
psicologici che misurano il Q.I. Peccato che molti dei sostenitori
dell’odierna “meritocrazia” omettano spesso di specificare il modo
attraverso il quale debba essere applicata e le persone destinate ad
applicarla. Oltretutto anche uno strumento come la valutazione
dell’intelligenza attraverso un test si è dimostrato, nel corso
del tempo, talmente inutile [11] che ormai ci vorrebbe un miracolo per
resuscitarlo, almeno nella sua vecchia forma.
Anche se non si tratta certo di un capolavoro, il testo mostra, letto
nell’attuale contesto socio-politico una discreta modernità e
non solo per i suoi riferimenti ad un futuro che per noi è quasi
un presente, ma soprattutto perché il gran parlare che si sta
facendo in questi ultimi anni a favore del ripristino della
“meritocrazia” lo rende tremendamente attuale.
Pepsy
Note
[1] il giornale, 01/04/08.
[2] corriere della sera, 08/04/08.
[3] il tempo, 11/04/08.
[4] il giornale della libertà, 11/04/08.
[5] il giornale, 16/04/08.
[6] il messaggero, 19/04/08.
[7] L’ineffabile P. Ichino a proposito delle dichiarazioni antisindacali di L.C. Montezemolo, la repubblica, 19/04/08.
[8] Intervista a M. Gelmini, il giornale, 01/04/08. La sapiente politica nel 1968 non era ancora nata.
[9] Titolo originale “The rise of meritocracy”, traduzione italiana pubblicata dalle Edizioni di Comunità, Milano 1962.
[10] Fa sicuramente eccezione il docente universitario di un “Collegio
Superiore” (e non poteva essere altrimenti...) che quest’anno
terrà le sue lezioni su “merito e meritocrazia” usando tra i
testi proprio quello di Young.
[11] Molti ricercatori hanno criticato ferocemente l’idea che
l’intelligenza possa essere misurata scientificamente e soprattutto
l’uso che di tale misura si è fatto negli anni per definire
inferiori gruppi sociali poveri, oppressi o svantaggiati.