19 settembre. Al tribunale di Torino si è svolta l'ultima
udienza del processo contro dodici compagni accusati di occupazione,
deturpamento, e rottura di sigilli giudiziari.
Il processo si è concluso con sei condanne e sei assoluzioni. Le
condanne sono pesanti: quattro compagni hanno preso otto mesi, mentre
ad altri due sono stati comminati rispettivamente 10 e 12 mesi.
Vale la pena di ricordare i fatti.
Nella notte tra il 10 e l'11 giugno 2005 una squadraccia fascista si
introduce nel Barocchio Squat e aggredisce gli occupanti. Il bilancio
è pesante: le lame dei fascisti colpiscono due compagni, uno dei
quali viene operato d'urgenza.
Il 18 giugno un corteo di protesta viene caricato dalla polizia, che
vuole impedirgli di arrivare in centro: due compagni, tra cui uno della
FAI torinese, vengono arrestati. Il 2 luglio un corteo sfila per il
centro della città per rispondere alla violenza fascista ed alla
repressione poliziesca.
Il 20 luglio vengono emessi 8 mandati di arresto nei confronti di
compagni che avevano preso parte alla manifestazione antifascista del
18 giugno. L'accusa è di quelle da tempo di guerra: devastazione
e saccheggio, roba che costa da 8 a 15 anni di reclusione. Lo stesso
giorno Fenix, laboratorio astronomico contro la repressione, viene
perquisito, sgomberato e posto sotto sequestro giudiziario.
Nella primavera del 2006, davanti alla casetta che aveva ospitato il
Fenix, ai giardini ir-reali, vengono organizzate per il 25 aprile e per
il Primo Maggio due feste. In entrambe le occasioni per un giorno Fenix
magicamente riapre.
Il 10 dicembre del 2007 si conclude il processo contro gli antifascisti
del 18 giugno: cade l'accusa di devastazione e saccheggio ma vengono
comunque condannati a pene tra i 9 e i 18 mesi per resistenza.
Nel frattempo la casetta di Fenix è stata assegnata al CTS,
un'associazione che si occupa di turismo studentesco, legata mani e
piedi alla sinistra governativa in città.
Nella primavera Fenix risorge in via Bologna, in una caserma dei vigili
abbandonata, già occupata dagli anarchici torinesi nel lontano
'77. Dura poco: nell'agosto del 2007 arriva lo sgombero.
Il processo contro 12 occupanti accusati della momentanea riapertura di
Fenix il Primo Maggio del 2005 si è concluso con la sentenza del
19 settembre.
Ma, come scrivono i compagni di Torino Squatter in un loro comunicato,
la storia di Fenix non finisce qui. Continua in strada e nelle
autoproduzioni.
R. Em.
Durante l'estate il sindaco Chiamparino, appena acquisiti i
superpoteri da Maroni, ha emesso un'ordinanza che vieta di bere
alcolici e di mangiare in strada in alcune vie di S. Salvario. Si
tratta dell'ennesimo tentativo di disciplinare con multe e manganelli
un quartiere multietnico, da mesi sottoposto a retate di polizia, da
sempre nel mirino di chi lo vorrebbe laboratorio delle strategie
repressive contro gli immigrati che ci vivono e ci lavorano.
Chi può permettersi di sedere nei dehor dei bar si è
goduto il fresco delle serate, per gli altri, per quelli delle moretti
a un euro bevute su uno scalino in strada, ecco pronte le pattuglie.
In nome della "sicurezza" un altro pezzetto di libertà che se ne
va. La libertà di chi non ha soldi e luoghi di socialità
e sceglie la gratuità della strada.
Non tutti però sono disposti a piegare la testa.
Il 16 settembre l'angolo tra via Berthollet e via Goito, nel cuore del
quadrilatero dei divieti, è stato teatro di un gran bivacco di
protesta proposto dall'Assemblea Antirazzista di Torino.
Intorno alle 17 a S. Salvario c'erano tanti poliziotti della digos ed
alcune camionette dell'antisommossa. Poi, poco a poco, sono arrivati
antirazzisti armati di cibi e bevande, che hanno aperto tavoli, messo
su musica, distribuito volantini ai tanti passanti curiosi di capire
cosa stesse succedendo. Su uno striscione viene scritto "Per un
quartiere solidale, bivacco generale". Gli abitanti di una casa si
offrono di legare al loro balcone la stoffa, che viene tesa di traverso
alla via. Più tardi alcuni immigrati ne scriveranno un altro in
francese e arabo.
Nel giro di un'ora la strada è piena di gente che mangia, beve,
balla. Un gruppo di ragazzi ha portato una tovaglia a quadretti bianchi
e rossi: la stende in mezzo alla strada e si siede con vino e pane a
fare pic nic; altri subito li imitano. Spunta un pallone ed è
subito partita: adulti, ragazzi e bambini cominciano a giocare in mezzo
alla strada: le macchine deviano nelle vie laterali perché ormai
la festa ha invaso la strada. Alla fine arriva anche un tavolo da
calcetto.
Intorno alle 20 da un balcone parte una secchiata d'acqua che investe
un bel gruppo di persone: dopo un primo momento di sbigottimento parte
un grande applauso e i cori che chiedono un'altra doccia. Questa volta
niente polizia, niente manganelli, niente divieti ma una buona
secchiata d'acqua per risolvere un contrasto.
Intorno alle 21 il bivacco si scioglie. Per una sera, in barba alle
proibizioni, circa duecento persone si sono riprese la strada,
sottraendo lo spazio pubblico all'ossessione del controllo, all'obbligo
di trasformare le relazioni in merce.
R. Em.
19 settembre. Il processo a carico di Fabio, un antirazzista
torinese accusato di resistenza e lesioni, si è concluso con
l'assoluzione.
Ricordiamo i fatti. Il 15 luglio di quest'anno vennero sgomberate
alcune famiglie rumene che il 6 luglio avevano occupato una casa
abbandonata in via Pisa. Fabio era tra i compagni subito accorsi: venne
pestato e arrestato per aver provato a chiedere di entrare nella casa
sgomberata per prendere le poche cose degli immigrati.
I poliziotti presenti testimoniarono di essere stati aggrediti: quattro
di loro dichiararono di aver subito lesioni. Il solito "pacchetto" ben
confezionato. Peccato che questa volta si siano dimenticati di
chiuderlo bene. Un video, realizzato dalla scientifica, mostra lo
sgombero degli occupanti di via Pisa, sin dall'irruzione a mano armata
nella casa dove dormivano le famiglie rumene. Nel video la reale
dinamica dell'arresto emerge in modo inequivocabile, capovolgendo la
versione della polizia.
Al pubblico ministero non è rimasto che chiedere lui stesso l'assoluzione.
A Fabio è andata bene. Meno bene agli occupanti di via Pisa –
alcuni di loro si sono recati in tribunale per assistere al processo –
tornati a vivere nella baraccopoli di via Germagnano, tra topi e fango,
senza luce né servizi.
R. Em.
È di questi giorni la notizia che Ilda Curti, assessore
comunale con delega all'integrazione degli immigrati, ha sporto
denuncia contro quattro antirazzisti, che avevano partecipato ad una
contestazione lo scorso 17 luglio.
L'accusa è pesante: violenza privata in concorso: i quattro
antirazzisti - tra loro una compagna della FAI torinese - rischiano
sino a quattro anni di reclusione per aver aperto uno striscione,
volantinato e fatto un po' di speakeraggio.
Ricordiamo i fatti.
Erano passati due giorni dallo sgombero della casa di via Pisa. In
piazza D'Armi, nell'ambito del Festival ARCIpelago, coorganizzato da
ARCI e Circoscrizione 2, era in programma "Paure metropolitane", un
incontro/dibattito con una sfilza di politici e professori
universitari, tra cui l'assessore Curti. Curti è ben nota a
Torino perché chiese di sgomberare l'Asilo Squat per far posto
ad un'associazione di rumeni amici suoi.
Le famiglie di via Pisa lei le conosceva bene: erano tra le tante che
lei e i suoi colleghi blandiscono con l'illusoria promessa di una casa
popolare.
Un gruppo di compagni hanno aperto uno striscione con la scritta "casa
per tutti": dal megafono hanno raccontato ai presenti la paura, quella
vera, quella che stringe le vite di chi deve lottare ogni giorno per
quello successivo.
Curti non tollera la contestazione e, mentre i suoi colleghi di tavolo
se la svignano senza farsi notare, da in escandescenze, inveisce e
addirittura comincia a mulinare le mani, cercando di aggredire i
compagni che reggevano lo striscione.
Come nella migliore tradizione del vecchio PCI, si schiera il servizio
d'ordine che si interpone tra lo striscione e Curti. Volano insulti e
minacce ma gli antirazzisti non cadono nella provocazione. I presenti,
incuriositi, assistono e ascoltano i racconti dei compagni.
Curti, nonostante gli antirazzisti si fossero allontanati, dirigendosi
verso la balera ed il ristorante per parlare con la gente, alla fine se
ne va ed il dibattito viene annullato.
I politici che governano Torino paiono sull'orlo di una crisi di nervi:
le loro reazioni sono sempre più sguaiate e scomposte.
Vorrebbero sottrarsi alle loro responsabilità, vorrebbero che le
varie decine di famiglie che vivono in baracche senza luce, acqua,
riscaldamento se ne restassero buone, buone lungo i fiumi, senza alzare
la testa, senza pretendere di abbandonare i margini della città,
là dove nessuno li vede. Un problema nascosto non è un
problema. Ilda Curti, come due giorni prima Chiamparino di fronte ai
bambini gettati in strada dalla polizia, ha gridato "e io che
c'entro?". Grida e scappa di fronte alla verità. Poi corre dalla
polizia e chiede la galera per chi osa ricordare che, oltre lo
spettacolo e i lustrini di Chiampa City, ci sono le baracche ed i
poveri che le abitano.
R. Em.
Torna a farsi sentire la voce dell'anarchia nel reggino. Grazie
all'impegno instancabile di Pino Vermiglio, animatore del circolo
USICONS di Villa San Giovanni, il 31 agosto 2008 si è
tenuta in quest'ultima località una manifestazione intrigante e
sorprendente, dal titolo "Arte, artisti e autori libertari".
Si è trattato di una rassegna non conformista di arti (dalla
pittura alla scultura, dalla fotografia alla culinaria) e di artisti
vari, prefigurazione in parte di un mondo fondato sulla sperimentazione
di nuovi rapporti sociali, dal basso, e sulla libera espressione del
pensiero e delle capacità creative di ogni singolo individuo.
La manifestazione è stata pure un'importante occasione di
incontro e di diffusione delle tematiche anarchiche e libertarie.
La mostra principale, omaggio a tre forti personalità anarchiche
calabresi (gli artisti Angelo Casile e Angiolino Rinato, in arte Rian,
e l'ingegnere poeta Bruno Misefari, al quale i primi due avevano
intitolato il gruppo giovanile anarchico costituitosi a Reggio Calabria
nella metà degli anni '60), è stata allestita sulle
gradinate
dell'anfiteatro di Piazza Valsesia. Essa ha raccolto una trentina di
pitture o di sculture realizzate da Casile e da Rian, accanto a
quelle di quattro loro giovani ammiratori (Rolando Iaria, Davide
Ricchetti, Valentina Chillé, Maria Luisa Sergi) e di Tito
Solendo, che militò nel gruppo di Reggio Calabria insieme a
Casile (morto in uno "strano" incidente il 27 settembre 1970) e a Rian
(deceduto il 9 maggio di quest'anno).
A Solengo si deve anche l'efficace striscione artistico che campeggiava sull'anfiteatro e sulla piazza.
Tutto intorno all'anfiteatro, una dozzina di cartelloni illustravano il
percorso artistico e militante di altrettanti artisti libertari: Bruno
Misefari e Horst Fantazzini, Libereso Guglielmi e l'"anarcogastronomo"
Luigi Veronelli, i cantautori Piero Ciampi, Leo Ferré e Fabrizio
De André, i fotografi Franco Valenti, Salvatore Garzillo e
Michele Brancati, ed ancora Salvatore Carvaio, Alessandro Mazzà,
Sollecitazioni artistiche e riflessioni politiche si sono mescolate
anche nei vari momenti in cui, lungo tutta la giornata, si è
articolata la manifestazione, e presso gli stand che chiudevano la
scenografia, offrendo libri di vari editori (soprattutto attinenti al
tema) e panini di grano integrale con companatico locale.
La manifestazione è culminata, in serata, nel concerto di
Unduo (Davide di Rosolini e Costanza Paternò), apprezzata coppia
di cantautori emergenti siciliani; in un recital di poesie di Shelley,
Kavafis, Misefari (lette da Pino Vermiglio) e Brecht (notevole la
performance oratoria dell'anarchico milanese Santo Catanuto); e, a
conclusione, nella "Stroncatura Libertaria", piatto originalissimo,
elaborato e preparato da Pino e Graziella Vermiglio, con ingredienti
tipici calabresi (pasta fatta in casa al nero di seppia con cipolle di
Tropea, ecc.)
Nonostante lo scarso numero di presenze rispetto alle aspettative, la
manifestazione può dirsi riuscita sia per l'interesse suscitato
in città sia perché le spese affrontate sono state
interamente recuperate.
Auguriamoci che iniziative del genere, e dello stesso livello, possano
ripetersi più spesso, e con sempre maggiore partecipazione (e
protagonismo) dei nostri giovani, scuotendoli da un letargo che non fa
certo onore alle tradizioni storiche e culturali della terra di
Calabria.
Natale Musarra
Pino Vermiglio
Sabato 20 settembre finalmente il corteo in risposta al violento sgombero di Libera questa estate.
La storia è nota: lo spazio sociale anarchico che sorgeva nelle
campagne di Marzaglia era stato letteralmente raso al suolo per ordine
del comune. Le compagne e i compagni di Modena hanno resistito in
strada, dentro il casolare e sul tetto in maniera non violenta e hanno
dovuto ancora una volta subire le manganellate. Evidentemente in
democrazia funziona così: se sorge un problema, la soluzione
è sempre la repressione. E proprio per il 18, 19 e 20 settembre
i compagni e le compagne di Libera hanno dato la prima risposta: una
tre giorni sulla filosofia del manganello. E' evidente infatti che il
comune, nonostante si sia fregiato di ospitare in quegli stessi giorni
il festival della filosofia, l'unica filosofia che conosce è
quella della arroganza e della violenza: in una parola, del manganello.
La tre giorni ha visto diversi momenti, tra i quali una iniziativa
sulla persecuzioni contro i rom, un presidio davanti alla sede del PD,
una conferenza domenicale sulla storia del manganello e, appunto, il
corteo di sabato. Nella serata di venerdi il comune aveva negato
la sala Tenda dove si doveva concludere la manifestazione: un segno
ulteriore di come, dal giorno dello sgombero, la pressione della
polizia si sia fatta sempre più forte. Il corteo, nonostante il
grosso schieramento di polizia e blindati, quasi a difendere
un'inesistente "zona rossa", ha attraversato la città: prima per
le vie del centro, poi in un'area dimessa della periferia su cui il
comune sta organizzando l'ennesima speculazione edilizia. I fiati
sprecati di Firenze hanno accompagnato con la musica gli slogan e
l'invito, ripetuto più volte, ai cittadini di Modena di scendere
in piazza contro un'amministrazione infame. Circa mille persone, tra i
quali tanti giovani, hanno comunicato alla città di non essere
disponibili a piegare la testa e di volere continuare a sognare e
praticare quotidianamente gioia e rivoluzione.
Solidale
Corteo spontaneo nel centro di Milano
Centinaia di ragazzi,amici di Abba decidono di trovarsi nel loro luogo
di ritrovo "il muretto "una piazzetta tra corso Europa e Corso Vittorio
Emanuele. Nei giorni precedenti vengono presi contatti con i compagni
del Comitato Antirazzista milanese il quale decide di dare il maggior
appoggio possibile. Il comitato fornisce gli strumenti tecnici
(impianto voci, volantini..) per amplificare la loro voce.
Alle 14 l'impianto voci è in piazza S.Babila: un centinaio di
ragazzi con lo striscione "Il Razzismo ha ancora ucciso - Abba Vive" si
organizza e decide di andare incontro alla manifestazione per
prenderne la testa. Nel frattempo altri ragazzi delle varie
comunità immigrate arrivano in S.Babila aspettando il corteo.
Quando il corteo arriva nei pressi di S Babila i ragazzi"del
muretto" che nel frattempo sono diventati alcune centinaia,
si staccano e improvvisano un'assemblea con i microfoni e gli
amplificatori del comitato antirazzista. Decidono di andare in
piazza Duomo e dopo in via Zuretti luogo dove è stato ucciso
Abba.
Riescono a deviare il corteo che in origine doveva passare da
corso Europa,invece passa da Vittorio Emanuele, in pieno centro dello
"shopping" milanese.
I ragazzi sono veramente "incazzati" e decisi a non farsi
strumentalizzare da nessuno. Di corsa arrivano in piazza Duomo. Dopo
qualche momento di tensione, sempre di corsa, si avviano verso la
stazione Centrale alla volta di via Zuretti. A loro si aggiungono
decine e decine di persone. È difficile stargli dietro. Si
aggiungono anche alcuni centri sociali.
Si alternano voci di scontri con la polizia, ma è tutto inventato. Il corteo diventa di oltre 500 persone.
Erano anni che non si vedeva un corteo spontaneo,antirazzista e con la chiara volontà di non farsi strumento di nessuno.
Intorno alle 17.30 la via dove è avvenuto il linciaggio
razzista è piena di persone di tutti i colori che
danno vita ad un presidio spontaneo. Però è anche piena
di polizia e forze del disordine in completo assetto di guerra. Viene
impedito di andare davanti al Bar Shining dei due razzisti assassini
per "restituire la presunta scatoletta di biscotti" per la
quale Abba sarebbe stato ucciso.
Una considerazione: i compagni del comitato hanno svolto un ruolo
importante anche per la crescita del comitato stesso che lavora per
l'autorganizzazione. Hanno messo a disposizione degli amici di Abba
quello che potevano: strumenti tecnici, volantini e solidarietà
attiva in quello che loro facevano.
Emblematica è la considerazione che fa la Stampa,
quotidiano torinese, sugli amici di Abba: " Un gruppetto di poche
centinaia di ragazzi, sfuggito al controllo degli organizzatori e di
qualsiasi associazione o sigla".
Provate a indovinare chi sono i controllori?
Anto