Umanità Nova, n.31 del 5 ottobre 2008, anno 88

Soldati di cartamoneta


Una guerra perduta come pure una guerra vittoriosa porta un aumento delle banche e delle industrie.
(M. Weber)

Parlare di guerra e pace significa in primo luogo svelare la contraddizione che emerge dal confronto tra matematica e prosa. Se infatti le politiche dei governi devono continuamente ammantarsi di parole e intenti pacifici, le cifre delle loro economie ne svelano senza margini di dubbio l'essenza bellicista.
Secondo l'ultimo rapporto divulgato dal Sipri di Stoccolma, l'Istituto internazionale di ricerca per la pace, dal 1998 al 2007 le spese militari mondiali sono aumentate del 45%, mentre in valore assoluto hanno raggiunto i 1.339 miliardi di dollari (851 miliardi di euro), equivalenti al 2,5% del PIL mondiale.
L'area geografica che ha registrato il maggior rialzo per le spese belliche è risultata l'Europa dell'Est (162%); ma il dato più impressionante è quello americano: nel 2007 le spese per gli armamenti sono state maggiori che quelle sostenute dagli Stati Uniti per la seconda guerra mondiale.
Altro dato significativo: le spese militari mondiali sono lievitate del 6% nel 2007 e accresciute ben del 45% nell'ultimo decennio.
In particolare, negli ultimi dieci anni, le spese militari in Nord America
sono cresciute del 65%, in Medio Oriente del 62%, in Asia del Sud del 57%, mentre quelle dell'Africa e dell'Asia dell'Est del 51%.
L'Europa dell'Ovest e l'America centrale sono le aree dove le spese militari risultano cresciute in misura minore, rispettivamente del 6 e del 14%.
Conseguenza diretta dell'andamento globale, le vendite di armi dei cento principali fabbricanti mondiali (escludendo la Cina) sono progredite del 9% nel 2006, raggiungendo i 1.315 miliardi di dollari.
Le società di produzione bellica degli Usa e dell'Europa occidentale hanno largamente dominato il mercato; realizzando da sole il 92% delle vendite nel 2006 [1].
Nel 2007 dietro agli Stati Uniti, in cima alla graduatoria dei fatturati con 547 miliardi di dollari (45%), ci sono la Gran Bretagna con 59,7 miliardi di $, la Cina, 58,3 mld e la Francia, 53,6 mld.; la Russia è al settimo posto, dietro a Germania e Giappone.
Nella classifica degli Stati con maggiori spese militari, stilata dall'Istituto internazionale, l'Italia risulta piazzata all'ottavo posto, con 33,1 miliardi di dollari (circa 20,9 miliardi di euro); ma per la spesa militare pro-capite è al settimo posto.
Rispetto al 2006, le spese militari in Italia sono aumentate di 3,2 miliardi di dollari (2,02 miliardi di euro).
Nel 2007 è aumentato anche l'export di armi prodotte dall'industria italiana: la crescita è stata del 9,4% pari a 2.369 milioni di euro complessivi [2]. Si tratta comunque di dati ufficiali, ai quali andrebbero aggiunti i traffici d'armi non dichiarati o mascherati da opportune triangolazioni.
Tale livello "sommerso" è denunciato dall'Archivio Disarmo e dalla Campagna Banche Armate e riguarda un'ingente esportazioni di armi dall'Italia all'Afghanistan (circa 101 tonnellate per un valore di 2.050.620 euro relativo a "Armi, munizioni parti ed accessori") effettuata nel 2007, ma scomparsa dal rapporto annuale della presidenza del consiglio sulle transazioni per materiale militare [3].
Formalmente una legge dello Stato italiano, la 185/90, vieterebbe la vendita di armi a paesi in guerra; ma dal momento in cui le guerre sono contrabbandate come missioni umanitarie o tutt'al più di polizia internazionale, tutto diventa lecito.

Finmeccanica: produrre per la guerra
Secondo il rapporto del Sipri, l'Italia è al settimo posto per l'export di armi; mentre l'italiana Finmeccanica risulta collocata al quinto posto a livello mondiale per profitti legati al settore bellico, con 1,3 miliardi di dollari.
Il gruppo Finmeccanica -di cui lo stato risulta il principale azionista con circa il 34%- recita infatti la parte del leone nell'industria bellica nazionale, radunando ben 7 delle prime 10 aziende italiane leader del settore. Grazie proprio alle grandi commesse militari, in gran parte provenienti dagli Stati Uniti (il 38% nel 2007), i profitti della Finmeccanica stanno crescendo impetuosamente, come confermano i risultati del primo semestre del 2008, tanto che, dopo l'acquisizione della totalità di AgustaWestland ed AMS, è diventata la terza azienda europea per fatturato nel settore della difesa [4]. Inoltre, dopo l'acquisizione per 3,66 miliardi di € della Drs Technologies (società statunitense specializzata nel settore dei servizi e dei prodotti elettronici integrati per la difesa) avvenuta nel maggio scorso, la Finmeccanica si è assicurata ulteriori margini competitivi sul mercato mondiale della difesa e in modo particolare negli Usa. Infatti lo stesso Pentagono è uno dei maggiori committenti della Drs [5].
Secondo le ultime notizie, per finanziare l'acquisizione della Drs Technologies per metà ottobre è prevista una ricapitalizzazione di Finmeccanica con un aumento richiesto ai soci di 1,4 miliardi di Euro [6].
La Finmeccanica è una holding le cui partecipazioni sono suddivise in sei aree di business (aeronautica, spazio, elettronica per la difesa, elicotteri, sistemi di difesa, energia e trasporti), con una connotazione militare largamente predominante, peraltro legata a nomi storici quali Ansaldo, Fincantieri, Breda, Aermacchi, Oto-Melara, Galileo [7].
Esempi delle più recenti produzioni di queste associate si trovano al sito della Rete italiana per il disarmo  www.disarmo.org.
Nel 2007 la Mbda Italia ha venduto alle forze armate del Pakistan missili antiaerei Spada per 442,9 milioni di euro; sempre nello stesso anno l'Alenia Aeronautica ha vinto una commessa da 500 milioni di euro per 100 aerei da trasporto C-27J destinati all'esercito Usa; nello scorso maggio l'AgustaWestland e la Tusas Aerospace Industries hanno firmato un accordo per la produzione di una cinquantina di elicotteri d'attacco Mangusta A-129 in Turchia e in luglio l'AgustaWestland ha firmato un altro contratto di circa 260 milioni di euro per la fornitura di 18 elicotteri AW139 alle forze armate del Qatar.
Altro importante cliente estero di Finmeccanica è la Libia, come di recente anticipato dall'amministratore delegato del gruppo, P.F. Guarguaglini: "In Libia abbiamo già una fabbrica in campo elicotteristico e abbiamo fatto varie offerte per quanto riguarda il controllo dei territori. L'Italia con l'Ue finanzierà un progetto che riguarda il sud della Libia, i confini con il Ciad e il Sudan. Siamo anche interessati ai controlli di sicurezza dei gasdotti e al controllo delle coste del nord" [8].

Banche: approfittare della guerra
A fare festa, ovviamente, ci sono anche gli istituti bancari, sui cui conti si riversano e transitano i pagamenti delle commesse vendute. I nomi delle banche finanziatrici dell'export sono sempre gli stessi: Unicredit, Intesa SanPaolo, Deutsche Bank, Bnp-Paribas, Bnl, Banco di Brescia, Commerzbank, Banca Popolare Italiana, Citibank, Hsbc Bank, Abc International Bank, Credito Valtellinese, Banca di Roma, Cassa di Risparmio di Bologna…
Due parole per spiegare sommariamente il meccanismo attraverso cui questi affari portano indotto agli istituti di credito.
Aldilà dei semplici guadagni derivati dall'afflusso dei pagamenti sui loro conti (le cui autorizzazioni sono rilasciate dal ministero delle Finanze), vi sono infatti le percentuali relative alle transazioni, variabili in relazione ai paesi con i quali si commercia: per il 2006 tali compensi d'intermediazione si aggirarono attorno ai 32 milioni di euro.
In parole povere,ogni volta che una banca deve incassare un pagamento pretende una percentuale che varia in relazione al rischio dell'affare da concludere e, soprattutto, alla nazione con la quale s'intrattiene il rapporto commerciale. Ad esempio, se una transazione con gli Stati Uniti vale il 2%, una più complessa operazione con uno stato africano può permettere alla banca d'incassare fino al 10% di commissione.
Le diverse mobilitazioni contro le "banche armate" appaiono peraltro non particolarmente incisive, pur se portate avanti ormai da otto anni. Nel 2007 era stata infatti ottimisticamente segnalata un'inversione di tendenza etica da parte del gruppo Intesa-SanPaolo, ma proprio questo gruppo, assieme a Mediobanca, risulta coinvolto nella ricapitalizzazione di Finmeccanica già annunciato per questo ottobre.
L'incompatibilità tra capitalismo e umanità è peraltro sempre più evidente. A fronte degli oltre 163 miliardi di dollari destinati ogni anno alla violenza armata nel mondo (dato reso noto da un report della "Geneva Declaration"), l'impennata dei prezzi alimentari ha fatto crescere il numero dei sottoalimentati del pianeta, con 75 milioni in più rispetto agli 850 milioni prima del 2007 (dati Fao). Soltanto nel Corno d'Africa quasi 17 milioni di persone, tra cui 3 milioni di bambini- hanno urgente bisogno di cibo e altri aiuti umanitari.
Tragicamente, ad arsenali sempre più pieni continuano a corrispondere granai sempre più vuoti.

Altra Informazione


1 http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=200806091659225225&chkAgenzie=TMFI&sez=news
2 Si veda l'articolo Crescono le esportazioni di armi, Il Sole-24 Ore del 29.03.2008.
3 Si veda l'articolo Forniture belliche sparite dagli elenchi dell'Istat, Il Manifesto del 29.06.2008.
4 Si veda l'articolo Per Finmeccanica profitti in crescita. Confermati i target, Il Sole-24 Ore del 31.07.2008.
5 Si veda l'articolo Finmeccanica alla conquista del Pentagono, la Repubblica del 13.05.2008.
6 Si veda l'articolo Finmeccanica: l'aumento è di 1,4 miliardi, Il Giornale del 17.09.2008.
7 Per l'elenco completo delle aziende associate e relativi stabilimenti si vedano le dettagliate informazioni fornite da Wikipedia alla voce Finmeccanica.
8 Si veda l'articolo Finmeccanica guarda alla Libia, Il Sole-24 Ore del 14.09.2008





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