Una guerra perduta come pure una guerra vittoriosa porta un aumento delle banche e delle industrie.
(M. Weber)
Parlare di guerra e pace significa in primo luogo svelare la
contraddizione che emerge dal confronto tra matematica e prosa. Se
infatti le politiche dei governi devono continuamente ammantarsi di
parole e intenti pacifici, le cifre delle loro economie ne svelano
senza margini di dubbio l'essenza bellicista.
Secondo l'ultimo rapporto divulgato dal Sipri di Stoccolma, l'Istituto
internazionale di ricerca per la pace, dal 1998 al 2007 le spese
militari mondiali sono aumentate del 45%, mentre in valore assoluto
hanno raggiunto i 1.339 miliardi di dollari (851 miliardi di euro),
equivalenti al 2,5% del PIL mondiale.
L'area geografica che ha registrato il maggior rialzo per le spese
belliche è risultata l'Europa dell'Est (162%); ma il dato
più impressionante è quello americano: nel 2007 le spese
per gli armamenti sono state maggiori che quelle sostenute dagli Stati
Uniti per la seconda guerra mondiale.
Altro dato significativo: le spese militari mondiali sono lievitate del
6% nel 2007 e accresciute ben del 45% nell'ultimo decennio.
In particolare, negli ultimi dieci anni, le spese militari in Nord America
sono cresciute del 65%, in Medio Oriente del 62%, in Asia del Sud del
57%, mentre quelle dell'Africa e dell'Asia dell'Est del 51%.
L'Europa dell'Ovest e l'America centrale sono le aree dove le spese
militari risultano cresciute in misura minore, rispettivamente del 6 e
del 14%.
Conseguenza diretta dell'andamento globale, le vendite di armi dei
cento principali fabbricanti mondiali (escludendo la Cina) sono
progredite del 9% nel 2006, raggiungendo i 1.315 miliardi di dollari.
Le società di produzione bellica degli Usa e dell'Europa
occidentale hanno largamente dominato il mercato; realizzando da sole
il 92% delle vendite nel 2006 [1].
Nel 2007 dietro agli Stati Uniti, in cima alla graduatoria dei
fatturati con 547 miliardi di dollari (45%), ci sono la Gran Bretagna
con 59,7 miliardi di $, la Cina, 58,3 mld e la Francia, 53,6 mld.; la
Russia è al settimo posto, dietro a Germania e Giappone.
Nella classifica degli Stati con maggiori spese militari, stilata
dall'Istituto internazionale, l'Italia risulta piazzata all'ottavo
posto, con 33,1 miliardi di dollari (circa 20,9 miliardi di euro); ma
per la spesa militare pro-capite è al settimo posto.
Rispetto al 2006, le spese militari in Italia sono aumentate di 3,2 miliardi di dollari (2,02 miliardi di euro).
Nel 2007 è aumentato anche l'export di armi prodotte
dall'industria italiana: la crescita è stata del 9,4% pari a
2.369 milioni di euro complessivi [2]. Si tratta comunque di dati
ufficiali, ai quali andrebbero aggiunti i traffici d'armi non
dichiarati o mascherati da opportune triangolazioni.
Tale livello "sommerso" è denunciato dall'Archivio Disarmo e
dalla Campagna Banche Armate e riguarda un'ingente esportazioni di armi
dall'Italia all'Afghanistan (circa 101 tonnellate per un valore di
2.050.620 euro relativo a "Armi, munizioni parti ed accessori")
effettuata nel 2007, ma scomparsa dal rapporto annuale della presidenza
del consiglio sulle transazioni per materiale militare [3].
Formalmente una legge dello Stato italiano, la 185/90, vieterebbe la
vendita di armi a paesi in guerra; ma dal momento in cui le guerre sono
contrabbandate come missioni umanitarie o tutt'al più di polizia
internazionale, tutto diventa lecito.
Finmeccanica: produrre per la guerra
Secondo il rapporto del Sipri, l'Italia è al settimo posto per
l'export di armi; mentre l'italiana Finmeccanica risulta collocata al
quinto posto a livello mondiale per profitti legati al settore bellico,
con 1,3 miliardi di dollari.
Il gruppo Finmeccanica -di cui lo stato risulta il principale azionista
con circa il 34%- recita infatti la parte del leone nell'industria
bellica nazionale, radunando ben 7 delle prime 10 aziende italiane
leader del settore. Grazie proprio alle grandi commesse militari, in
gran parte provenienti dagli Stati Uniti (il 38% nel 2007), i profitti
della Finmeccanica stanno crescendo impetuosamente, come confermano i
risultati del primo semestre del 2008, tanto che, dopo l'acquisizione
della totalità di AgustaWestland ed AMS, è diventata la
terza azienda europea per fatturato nel settore della difesa [4].
Inoltre, dopo l'acquisizione per 3,66 miliardi di € della Drs
Technologies (società statunitense specializzata nel settore dei
servizi e dei prodotti elettronici integrati per la difesa) avvenuta
nel maggio scorso, la Finmeccanica si è assicurata ulteriori
margini competitivi sul mercato mondiale della difesa e in modo
particolare negli Usa. Infatti lo stesso Pentagono è uno dei
maggiori committenti della Drs [5].
Secondo le ultime notizie, per finanziare l'acquisizione della Drs
Technologies per metà ottobre è prevista una
ricapitalizzazione di Finmeccanica con un aumento richiesto ai soci di
1,4 miliardi di Euro [6].
La Finmeccanica è una holding le cui partecipazioni sono
suddivise in sei aree di business (aeronautica, spazio, elettronica per
la difesa, elicotteri, sistemi di difesa, energia e trasporti), con una
connotazione militare largamente predominante, peraltro legata a nomi
storici quali Ansaldo, Fincantieri, Breda, Aermacchi, Oto-Melara,
Galileo [7].
Esempi delle più recenti produzioni di queste associate si
trovano al sito della Rete italiana per il disarmo
www.disarmo.org.
Nel 2007 la Mbda Italia ha venduto alle forze armate del Pakistan
missili antiaerei Spada per 442,9 milioni di euro; sempre nello stesso
anno l'Alenia Aeronautica ha vinto una commessa da 500 milioni di euro
per 100 aerei da trasporto C-27J destinati all'esercito Usa; nello
scorso maggio l'AgustaWestland e la Tusas Aerospace Industries hanno
firmato un accordo per la produzione di una cinquantina di elicotteri
d'attacco Mangusta A-129 in Turchia e in luglio l'AgustaWestland ha
firmato un altro contratto di circa 260 milioni di euro per la
fornitura di 18 elicotteri AW139 alle forze armate del Qatar.
Altro importante cliente estero di Finmeccanica è la Libia, come
di recente anticipato dall'amministratore delegato del gruppo, P.F.
Guarguaglini: "In Libia abbiamo già una fabbrica in campo
elicotteristico e abbiamo fatto varie offerte per quanto riguarda il
controllo dei territori. L'Italia con l'Ue finanzierà un
progetto che riguarda il sud della Libia, i confini con il Ciad e il
Sudan. Siamo anche interessati ai controlli di sicurezza dei gasdotti e
al controllo delle coste del nord" [8].
Banche: approfittare della guerra
A fare festa, ovviamente, ci sono anche gli istituti bancari, sui cui
conti si riversano e transitano i pagamenti delle commesse vendute. I
nomi delle banche finanziatrici dell'export sono sempre gli stessi:
Unicredit, Intesa SanPaolo, Deutsche Bank, Bnp-Paribas, Bnl, Banco di
Brescia, Commerzbank, Banca Popolare Italiana, Citibank, Hsbc Bank, Abc
International Bank, Credito Valtellinese, Banca di Roma, Cassa di
Risparmio di Bologna…
Due parole per spiegare sommariamente il meccanismo attraverso cui questi affari portano indotto agli istituti di credito.
Aldilà dei semplici guadagni derivati dall'afflusso dei
pagamenti sui loro conti (le cui autorizzazioni sono rilasciate dal
ministero delle Finanze), vi sono infatti le percentuali relative alle
transazioni, variabili in relazione ai paesi con i quali si commercia:
per il 2006 tali compensi d'intermediazione si aggirarono attorno ai 32
milioni di euro.
In parole povere,ogni volta che una banca deve incassare un pagamento
pretende una percentuale che varia in relazione al rischio dell'affare
da concludere e, soprattutto, alla nazione con la quale s'intrattiene
il rapporto commerciale. Ad esempio, se una transazione con gli Stati
Uniti vale il 2%, una più complessa operazione con uno stato
africano può permettere alla banca d'incassare fino al 10% di
commissione.
Le diverse mobilitazioni contro le "banche armate" appaiono peraltro
non particolarmente incisive, pur se portate avanti ormai da otto anni.
Nel 2007 era stata infatti ottimisticamente segnalata un'inversione di
tendenza etica da parte del gruppo Intesa-SanPaolo, ma proprio questo
gruppo, assieme a Mediobanca, risulta coinvolto nella
ricapitalizzazione di Finmeccanica già annunciato per questo
ottobre.
L'incompatibilità tra capitalismo e umanità è
peraltro sempre più evidente. A fronte degli oltre 163 miliardi
di dollari destinati ogni anno alla violenza armata nel mondo (dato
reso noto da un report della "Geneva Declaration"), l'impennata dei
prezzi alimentari ha fatto crescere il numero dei sottoalimentati del
pianeta, con 75 milioni in più rispetto agli 850 milioni prima
del 2007 (dati Fao). Soltanto nel Corno d'Africa quasi 17 milioni di
persone, tra cui 3 milioni di bambini- hanno urgente bisogno di cibo e
altri aiuti umanitari.
Tragicamente, ad arsenali sempre più pieni continuano a corrispondere granai sempre più vuoti.
Altra Informazione
1 http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=200806091659225225&chkAgenzie=TMFI&sez=news
2 Si veda l'articolo Crescono le esportazioni di armi, Il Sole-24 Ore del 29.03.2008.
3 Si veda l'articolo Forniture belliche sparite dagli elenchi dell'Istat, Il Manifesto del 29.06.2008.
4 Si veda l'articolo Per Finmeccanica profitti in crescita. Confermati i target, Il Sole-24 Ore del 31.07.2008.
5 Si veda l'articolo Finmeccanica alla conquista del Pentagono, la Repubblica del 13.05.2008.
6 Si veda l'articolo Finmeccanica: l'aumento è di 1,4 miliardi, Il Giornale del 17.09.2008.
7 Per l'elenco completo delle aziende associate e relativi stabilimenti
si vedano le dettagliate informazioni fornite da Wikipedia alla voce
Finmeccanica.
8 Si veda l'articolo Finmeccanica guarda alla Libia, Il Sole-24 Ore del 14.09.2008