Umanità Nova, n.31 del 5 ottobre 2008, anno 88

Strillozzo libertario bolognese: Attilio Diolaiti


Nel novembre 1915 diversi libertari bolognesi, in gran parte giovani, fondano il Gruppo Anarchico Emilio Covelli, attivissimo contro la guerra. Fra questi, Attilio Diolaiti viene ritenuto dalla questura il più influente, a neanche diciannove anni è chiamato alle armi, non si presenta e il 7 settembre 1917 è denunciato al tribunale di guerra come disertore. Viene arrestato dai regi carabinieri a Baricella (frazione S. Giuseppe) - dove è nato il 17 settembre 1898 - e il 10 ottobre condannato a tre anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Savona, torna in libertà nel 1919 e riprende l'attività sovversiva.
Era già stato tra gli organizzatori del congresso anarchico italiano del giugno 1916 e di quello regionale tenuto a Bologna allo scadere dello stesso anno, mantenendosi in corrispondenza con anarchici di un certo rilievo (fra cui Armando Borghi e Pasquale Binazzi). Ora le sue attitudini gli permettono di esser protagonista di importanti incontri decisionali del "biennio rosso": paradigmatico quello Pro Vittime Politiche del 28-29 agosto 1920 al quale partecipano i rappresentanti di tutte le organizzazioni di classe, politiche ed economiche. Il 21 ottobre 1920 è coinvolto nella "retata" del Consiglio Generale dell'USI, episodio storico significativo perché segnala come in quell'autunno il fascismo si stava incuneando all'interno della cornice creata dalla repressione statale. Rilasciato circa due mesi dopo, secondo la questura "professa gli stessi principi anarchici [...] viene oculatamente vigilato".
Con l'ottica odierna è arduo capacitarsi di come un ragazzo poco più che ventenne, commesso in una merceria, potesse costituire una preoccupazione così accentuata per il sistema di potere di allora, eppure... C'è da dire che non era certo isolato, anzi, era proprio l'humus sociale a permettere l'incisività di personaggi come Diolaiti, che dal novembre del 1921 al luglio 1922 risiede a Verona con l'incarico di segretario amministrativo della locale Camera del Lavoro aderente all'USI. Tornato in una Bologna sottomessa al tallone delle camicie nere, non trovando un lavoro (per ovvi motivi) avvia autonomamente un negozietto da merciaio. Dalle fonti di polizia sembra per alcuni anni politicamente inoperoso ma, appena si trasferisce in centro, viene sottoposto ai vincoli dell'ammonizione: nell'agosto 1927 è inviato al confino a Lipari in quanto "anarchico influente che svolge attività antifascista". In realtà, passa per varie carceri e a Lipari arriva solo in ottobre.
Del confino di Diolaiti possiamo trarre qualche notizia dai ricordi dell'anarchico imolese Primo Bassi: "Vietato unirsi, vietato discutere, vietato scrivere, vietato sedere in esercizio pubblico, non dar luogo a sospetti; uno dei sotterfugi era quello di trovarci a pulire dei ceci o delle lenticchie, ognuno confidava al compagno un proposito, una volontà: RESISTERE! […] Attilio Diolaiti lo ricordo per primo, perché sempre primo per coraggio, per volontà, per rettitudine. Piuttosto piccolo di statura, era però simpatico nel gesto, nella correttezza personale e, soprattutto per la fermezza del carattere che avreste detto mite, ma che, nell'intimità dei propositi condivisi, diveniva adamantino. Era il buon Attilio al corrente di tutto il nostro lavorio di sottosuolo, ne era il coordinatore e spesso l'artefice sottile per scaltrezza e risoluzione. Abitava una cameretta a Marina Corta che qualche volta - dopo esserci infilati nell'andito al momento di confusione per lo sbarco del piroscafo di nuovi giunti - si riempiva di compagni. Ragionatore pratico e parsimonioso, si animava presto di propositi decisi che, una volta assunti, divenivano per lui impegni d'onore. Gentile con tutti, non era eccessivamente sorvegliato, ma il regime aveva in lui un avversario formidabile. Liberato dal confino, svolse una missione delicata avvertendoci dell'esito con una cartolina in cui era scritto: Le pelli di coniglio stanno subendo un rialzo notevole."
Tornato a Bologna a fine gennaio 1930 gli viene imposta una carta d'identità particolare: "pericoloso in linea politica", ed è incluso nell'elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze. Nel 1933 viene classificato come possibile attentatore capace di atti terroristici, nel '34 è incarcerato per una settimana come sospetto di attività sindacale anarchica e di rapporti con i fuoriusciti. La polizia annota che convive con Fedora Dardi, è disoccupato, "conserva le sue idee politiche, le quali a suo dire, sono nel suo sangue" e frequenta l'ex sindaco socialista Francesco Zanardi. Nel luglio 1941 viene richiamato alle armi e assegnato alla 112° compagnia minatori e zappatori dislocata a Lubiana. Ottenuta una licenza e tornato per breve tempo a Bologna, si fa altri quattro giorni di carcere "in occasione visita di altissima personalità". Nuovamente a Bologna nell'estate 1943, è incarcerato dal regime badogliano per una decina di giorni avendo promosso alcune manifestazioni. Come rappresentante dei compagni bolognesi partecipa al convegno anarchico clandestino di Firenze del 5 settembre 1943. E' tra gli organizzatori della 7° GAP bolognese, poi si trasferisce a Monterenzio dove costituisce un gruppo partigiano. La base del gruppo pare sia un mulino il cui proprietario, aiutato dalla figlia Edera De Giovanni, aveva distribuito il grano dell'ammasso alla popolazione.
Dopo alcuni atti di sabotaggio, tra i quali i tagli delle linee telegrafiche per interrompere i contatti tra Roma e Berlino, il gruppo riceve l'incarico di presentarsi per un'azione in Piazza Ravegnana (proprio sotto le due torri) la mattina del 25 marzo 1944 davanti a una bancarella di penne stilografiche. E' una trappola, gestita da un infiltrato, tal Remo Naldi. Circondati dalla brigata nera, vengono arrestati sei componenti del gruppo: Edera De Giovanni, Egon Brass, Ettore Zaniboni, Enrico Foscardi, Ferdinando Grillini, Attilio Diolaiti. Dopo varie sevizie, nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile 1944 i sei vengono portati alla Certosa di Bologna e fucilati contro il muro.
Ridiamo la parola ai ricordi di Primo Bassi: "Attilio Diolaiti sarà indubbiamente caduto sereno, da uomo e da anarchico. Due mesi dopo ricevetti un messaggio da una Brigata Garibaldi. Il figlio d'Attilio aveva preso degnamente il posto del padre. E qualche umile, degnamente lo riprenderà ancora." Edera De Giovanni è considerata la prima partigiana caduta nella Resistenza bolognese; ad Attilio Diolaiti è stato riconosciuto il grado di capitano della 1° brigata Irma Bandiera, altra partigiana bolognese caduta, la cui figura è tratteggiata nel libro "Ribelli" da Pino Cacucci. Alla commemorazione pubblica di Diolaiti, tenuta nella sede della Federazione Anarchica Bolognese in Via Lame nell'aprile 1946, aderiscono l'Associazione dei Perseguitati Politici, il Partito Socialista, il Partito Repubblicano e i Libertari, componente del movimento che non si riconosceva nella FAI. Assente non a caso il Partito Comunista, impegnato a egemonizzare la memoria della stagione resistenzialista.

Marabbo


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