Nel novembre 1915 diversi libertari bolognesi, in gran parte
giovani, fondano il Gruppo Anarchico Emilio Covelli, attivissimo contro
la guerra. Fra questi, Attilio Diolaiti viene ritenuto dalla questura
il più influente, a neanche diciannove anni è chiamato
alle armi, non si presenta e il 7 settembre 1917 è denunciato al
tribunale di guerra come disertore. Viene arrestato dai regi
carabinieri a Baricella (frazione S. Giuseppe) - dove è nato il
17 settembre 1898 - e il 10 ottobre condannato a tre anni di
reclusione. Rinchiuso nel carcere di Savona, torna in libertà
nel 1919 e riprende l'attività sovversiva.
Era già stato tra gli organizzatori del congresso anarchico
italiano del giugno 1916 e di quello regionale tenuto a Bologna allo
scadere dello stesso anno, mantenendosi in corrispondenza con anarchici
di un certo rilievo (fra cui Armando Borghi e Pasquale Binazzi). Ora le
sue attitudini gli permettono di esser protagonista di importanti
incontri decisionali del "biennio rosso": paradigmatico quello Pro
Vittime Politiche del 28-29 agosto 1920 al quale partecipano i
rappresentanti di tutte le organizzazioni di classe, politiche ed
economiche. Il 21 ottobre 1920 è coinvolto nella "retata" del
Consiglio Generale dell'USI, episodio storico significativo
perché segnala come in quell'autunno il fascismo si stava
incuneando all'interno della cornice creata dalla repressione statale.
Rilasciato circa due mesi dopo, secondo la questura "professa gli
stessi principi anarchici [...] viene oculatamente vigilato".
Con l'ottica odierna è arduo capacitarsi di come un ragazzo poco
più che ventenne, commesso in una merceria, potesse costituire
una preoccupazione così accentuata per il sistema di potere di
allora, eppure... C'è da dire che non era certo isolato, anzi,
era proprio l'humus sociale a permettere l'incisività di
personaggi come Diolaiti, che dal novembre del 1921 al luglio 1922
risiede a Verona con l'incarico di segretario amministrativo della
locale Camera del Lavoro aderente all'USI. Tornato in una Bologna
sottomessa al tallone delle camicie nere, non trovando un lavoro (per
ovvi motivi) avvia autonomamente un negozietto da merciaio. Dalle fonti
di polizia sembra per alcuni anni politicamente inoperoso ma, appena si
trasferisce in centro, viene sottoposto ai vincoli dell'ammonizione:
nell'agosto 1927 è inviato al confino a Lipari in quanto
"anarchico influente che svolge attività antifascista". In
realtà, passa per varie carceri e a Lipari arriva solo in
ottobre.
Del confino di Diolaiti possiamo trarre qualche notizia dai ricordi
dell'anarchico imolese Primo Bassi: "Vietato unirsi, vietato discutere,
vietato scrivere, vietato sedere in esercizio pubblico, non dar luogo a
sospetti; uno dei sotterfugi era quello di trovarci a pulire dei ceci o
delle lenticchie, ognuno confidava al compagno un proposito, una
volontà: RESISTERE! […] Attilio Diolaiti lo ricordo per primo,
perché sempre primo per coraggio, per volontà, per
rettitudine. Piuttosto piccolo di statura, era però simpatico
nel gesto, nella correttezza personale e, soprattutto per la fermezza
del carattere che avreste detto mite, ma che, nell'intimità dei
propositi condivisi, diveniva adamantino. Era il buon Attilio al
corrente di tutto il nostro lavorio di sottosuolo, ne era il
coordinatore e spesso l'artefice sottile per scaltrezza e risoluzione.
Abitava una cameretta a Marina Corta che qualche volta - dopo esserci
infilati nell'andito al momento di confusione per lo sbarco del
piroscafo di nuovi giunti - si riempiva di compagni. Ragionatore
pratico e parsimonioso, si animava presto di propositi decisi che, una
volta assunti, divenivano per lui impegni d'onore. Gentile con tutti,
non era eccessivamente sorvegliato, ma il regime aveva in lui un
avversario formidabile. Liberato dal confino, svolse una missione
delicata avvertendoci dell'esito con una cartolina in cui era scritto:
Le pelli di coniglio stanno subendo un rialzo notevole."
Tornato a Bologna a fine gennaio 1930 gli viene imposta una carta
d'identità particolare: "pericoloso in linea politica", ed
è incluso nell'elenco delle persone da arrestare in determinate
circostanze. Nel 1933 viene classificato come possibile attentatore
capace di atti terroristici, nel '34 è incarcerato per una
settimana come sospetto di attività sindacale anarchica e di
rapporti con i fuoriusciti. La polizia annota che convive con Fedora
Dardi, è disoccupato, "conserva le sue idee politiche, le quali
a suo dire, sono nel suo sangue" e frequenta l'ex sindaco socialista
Francesco Zanardi. Nel luglio 1941 viene richiamato alle armi e
assegnato alla 112° compagnia minatori e zappatori dislocata a
Lubiana. Ottenuta una licenza e tornato per breve tempo a Bologna, si
fa altri quattro giorni di carcere "in occasione visita di altissima
personalità". Nuovamente a Bologna nell'estate 1943, è
incarcerato dal regime badogliano per una decina di giorni avendo
promosso alcune manifestazioni. Come rappresentante dei compagni
bolognesi partecipa al convegno anarchico clandestino di Firenze del 5
settembre 1943. E' tra gli organizzatori della 7° GAP bolognese,
poi si trasferisce a Monterenzio dove costituisce un gruppo partigiano.
La base del gruppo pare sia un mulino il cui proprietario, aiutato
dalla figlia Edera De Giovanni, aveva distribuito il grano dell'ammasso
alla popolazione.
Dopo alcuni atti di sabotaggio, tra i quali i tagli delle linee
telegrafiche per interrompere i contatti tra Roma e Berlino, il gruppo
riceve l'incarico di presentarsi per un'azione in Piazza Ravegnana
(proprio sotto le due torri) la mattina del 25 marzo 1944 davanti a una
bancarella di penne stilografiche. E' una trappola, gestita da un
infiltrato, tal Remo Naldi. Circondati dalla brigata nera, vengono
arrestati sei componenti del gruppo: Edera De Giovanni, Egon Brass,
Ettore Zaniboni, Enrico Foscardi, Ferdinando Grillini, Attilio
Diolaiti. Dopo varie sevizie, nella notte tra il 31 marzo e il primo
aprile 1944 i sei vengono portati alla Certosa di Bologna e fucilati
contro il muro.
Ridiamo la parola ai ricordi di Primo Bassi: "Attilio Diolaiti
sarà indubbiamente caduto sereno, da uomo e da anarchico. Due
mesi dopo ricevetti un messaggio da una Brigata Garibaldi. Il figlio
d'Attilio aveva preso degnamente il posto del padre. E qualche umile,
degnamente lo riprenderà ancora." Edera De Giovanni è
considerata la prima partigiana caduta nella Resistenza bolognese; ad
Attilio Diolaiti è stato riconosciuto il grado di capitano della
1° brigata Irma Bandiera, altra partigiana bolognese caduta, la cui
figura è tratteggiata nel libro "Ribelli" da Pino Cacucci. Alla
commemorazione pubblica di Diolaiti, tenuta nella sede della
Federazione Anarchica Bolognese in Via Lame nell'aprile 1946,
aderiscono l'Associazione dei Perseguitati Politici, il Partito
Socialista, il Partito Repubblicano e i Libertari, componente del
movimento che non si riconosceva nella FAI. Assente non a caso il
Partito Comunista, impegnato a egemonizzare la memoria della stagione
resistenzialista.
Marabbo