Tra De Andrè e Bresson, il nuovo film dei fratelli Dardenne colpisce duro, impietoso ed essenziale.
Una trentenne albanese, Lorna, ha sposato 'per finta' un emarginato
tossicodipendente, Claudy, per ottenere la cittadinanza belga, un
cosiddetto 'matrimonio bianco'.
Claudy in cambio ha ricevuto dei soldi, gli stessi che la ragazza
potrà guadagnare dopo il divorzio accettando un altro finto
matrimonio con un russo.
Organizzatore di questo traffico è Fabio, un tassista
malavitoso, col quale è meglio non scherzare. Ma un divorzio a
pochi mesi dal matrimonio è certo meno credibile della morte per
overdose di un povero tossico che a smettere proprio non ce la fa.
Lorna, all'inizio, è d'accordo. Anche perché il suo sogno
è aprire un bar insieme al suo ragazzo, anche lui connivente col
progetto.
Ma la ragazza cambia, e le cose non andranno così.
I due registi (La promesse, Rosetta, Il Figlio, L'enfant) abbandonano
il pedinamento ossessivo e nervoso dei personaggi e realizzano un film
più carveriano, dove non ci sono scene reiterate per descrivere
i protagonisti ma un'attenzione puntuale al dettaglio (strepitoso
l'inizio alla Pickpoket) e al graduale svelamento della storia.
Attraverso una sceneggiatura più strutturata rispetto ai film
precedenti, il racconto procede sadico coi suoi personaggi, con ellissi
improvvise e sorprendenti, rivelando la trama a singhiozzo, fino a
formare una boule de neige che cresce al crescere della storia e
travolge Lorna, complice di un omicidio, inchiodandola alla scelta tra
l'amore e le dure regole dell'ambiente che ha intorno. Bellissima la
scena – un piano sequenza di quattro minuti e mezzo – in cui Lorna
impedisce a Claudy di cedere alla tentazione di una dose, lasciata alla
bravura della kosovara Arta Dobroshi e di Jérémie Renier
(Bruno de L'enfant, Igor de La Promesse).
I personaggi dei Dardenne godono dell'assenza di giudizio - a parte il
proprio senso di colpa - qualsiasi cosa facciano, sia vendere bambini o
uccidere tossicodipendenti, ed è questo che li fa essere veri e
non smussati in caratteri netti e semplificativi, in buoni e cattivi,
in vittime e carnefici; si sporcano con le condizioni di vita
più avvilenti, con il male, ma restano umani, non gigli, ma
fiori nati dal letame (dai diamanti non nasce niente).
A poco a poco intorno a Lorna scompaiono tutti, da Claudy a Fabio, al
ragazzo con cui progettava l'apertura del bar, e dovrà
riscattarsi da sola, senza quei soldi che hanno impregnato tutto il
film, sola con il suo senso di colpa e la sua follia, che è
reale, contro tutto ciò che è stato finto, e che un
finale spiazzante le regala.
Miglior sceneggiatura a Cannes 2008, coprodotto dalla Vallonia, una
storia d'immigrazione che andrebbe urlata nelle orecchie della nostra
spettacolare società italiana, tutta tesa al fondamentale
problema della sicurezza dai rom, dai romeni, dagli albanesi, dalle
Lorna a cui prendere impronte digitali in qualche cpt.
Antonio Morabito