Umanità Nova, n.31 del 5 ottobre 2008, anno 88

Marco Sommariva. Il venditore dei pianeti


Ed. Tropea, 2008
E' un romanzo di difficile collocazione e di non facile decifrazione. Vediamo il perché.
Innanzitutto la struttura del testo, costruita essenzialmente su dialoghi e frasi secche, da un lato invoglia ad una lettura tutta di un fiato, dall'altro forse preclude le necessarie pause di riflessione in merito ai contenuti, espliciti e impliciti.
Di fatto la storia è apparentemente semplice: il protagonista (l'io narrante), una sorta di Leopold Bloom minore, peregrina in quella sorta di banlieue proletaria e nostrana che è Sestri Ponente, senza scopo preciso, tale non è infatti la ricerca di Pietro, il venditore di pianeti, al quale porre una domanda che non c'è.
Suggerisco allora una serie di possibili itinerari di lettura o di chiavi interpretative: il primo è il "viaggio" in sé, la ricerca che si snoda nell'incontro di una lunga serie di personaggi vivi, ma di primo acchito assai improbabili. Improbabili però non significa impossibili. Chiunque abbia vissuto per un po' di tempo in quelle peculiari "comunità" che sono le osterie (o nei bar di un tempo) sa benissimo che il nocciolo duro della clientela, gli immancabili, le pietre miliari di queste aggregazioni particolari di umanità, assomigliano in maniera impressionante ai vari Gommolo, Barbera, Gino Pattume, Bestia, Antonio il Corto, Carlo Tomaszewski, Vincio lo Zingaro, ecc. che popolano l'Osteria dei soprannomi del romanzo di Sommariva. E qui (ma non solo qui, in qualsiasi tessuto comunitario) i soprannomi giocano un ruolo fondamentale. Se i nomi - come disse un filosofo di cui non ricordo il nome - sono cartellini da appendere alle cose o le persone - sottintendendo l'arbitrarietà della denominazione, i soprannomi sono le persone in senso stretto, intimo e profondo. E lo sono perché prodotto di un processo sociale di attribuzione di identità, che riassume nel soprannome i caratteri tipici e fondanti la persona, nonché la qualità dei suoi rapporti con gli altri.
Il secondo è l'itinerario tra i luoghi dell'azione (o non-azione). Innanzitutto su Sestri bisogna spendere qualche parola. Città a vocazione industriale (per scelta di fine ottocento dell'establishment politico-economico genovese), già sede di una storica e battagliera Camera del Lavoro sindacalista, viene aggregata alla Grande Genova nel 1926. Rimangono però spiccati il senso dell'autonomia, l'eredità delle vecchie tradizioni, le specificità locali e culturali. Dunque, il suo carattere di cittadina-paese è rimasto parzialmente inalterato e i luoghi dell'azione del romanzo sono sia facilmente identificabili per un sestrese, sia caratteristici della peculiarità di Sestri: la stazione ferroviaria, transito del pendolarismo in entrata e in uscita; le vecchie carceri affacciate sulla piazza del mercato (a ciassa di Micoin dove una volta si cucinava all'aperto la mesciua - mi scuso ma il mio genovese scritto, ma ho perso dimestichezza); viale Canepa, con gli alberi che testimoniano un passato importante; via Chiaravagna, stretta e tortuosa, antico accesso a Borzoli, ex-comune confinante ormai integrato a Sestri; via Vigna, costeggiante le vecchie carceri e la piazza dei Micone, dove c'è (o c'era) veramente l'Osteria dei Soprannomi o meglio un vecchio bar popolare. Se posso muovere un benevolo appunto a Marco, è quello di aver dimenticato (a proposito di soprannomi) la vecchia friggitoria soprannominata Mussa de fero (in onore di qualche sconosciuta virtù di una vecchia proprietaria) poche decine di metri più avanti la sua Osteria.
Il terzo infine è l'itinerario nella memoria, implicitamente, ma costantemente giocato tra il passato e il presente. C'è la vecchia Sestri, i personaggi "pubblici" che la popolavano, il sentire comune dei "paesani"; ma c'è anche quella nuova con le sue contraddizioni di quartiere che quartiere non è, di paesone che paese non è più, di periferia che periferia non vuole essere.
Il futuro non è bello e l'incazzatura che trapela dai dialoghi dell'io narrante e degli altri personaggi che popolano il romanzo è contro un mondo che li vuole omologare, se non cancellare, come è già avvenuto per tanti piccoli mondi-paese, come quelli della nostra giovinezza. Speriamo che ciò accada il più tardi possibile.

Guido Barroero


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