Umanità Nova, n.32 del 12 ottobre 2008, anno 88

Tornado nella bufera


"Non vinceremo questa guerra. Si tratta di portarla a un livello di ribellione gestibile che non sia una minaccia strategica e possa essere gestita dall'esercito afghano."
(gen. Mark Carleton-Smith, comandante delle forze britanniche in Afghanistan)

Era la notte del 18 gennaio 1991, la prima notte di guerra aerea dell'operazione Desert Storm. Una formazione composta da otto cacciabombardieri Tornado italiani e altri aerei da attacco "alleati" era impegnata in un'incursione contro obiettivi irakeni.
L'operazione si rivelò tecnicamente un disastro e l'unico Tornado che non tornò indietro venne abbattuto da una vetusta batteria antiaerea semovente del tipo Shilka.
I due piloti italiani, Bellini e Cocciolone, dovettero gettarsi col paracadute e furono fatti prigionieri dai militari iracheni che li esibirono pure in video.
Dopo tale precedente, non proprio da iscriversi negli annali delle glorie guerresche, dovette passare un decennio prima di tornare ad ipotizzare un nuovo impiego bellico per i Tornado, stavolta nell'ambito dell'intervento militare italiano in Afghanistan.
Inizialmente tale impiego fu annunciato il 7 novembre 2001 quando l'allora ministro della Difesa Martino, nel presentare la partecipazione delle forze armate italiane all'operazione decisa dagli Stati Uniti "Enduring Freedom" contro il terrorismo internazionale, offrì anche 6-8 aerei Tornado per la ricognizione, oltre a soldati e mezzi anche delle altri armi.
L'intervento italiano doveva svilupparsi in due fasi. Subito, potevano essere mandati nei cieli afgani dai 6 agli 8 aerei Tornado da ricognizione, velivoli preziosi per il rilevamento a terra necessario per le azioni di bombardamento specialmente con difficili condizioni di visibilità.
In un secondo momento sarebbero giunte, secondo le richieste statunitensi, le unità navali  e le truppe speciali di terra.
Non risulta che poi tale ventilato impiego sia stato effettuato; al contrario nell'estate del 2002 gli Stati Uniti richiesero all'Italia un Gruppo Tattico di fanteria, tanto che il 2 ottobre dello stesso anno il parlamento italiano autorizzò la partecipazione alle operazioni di guerra (a partire dal 15 marzo 2003) di un contingente militare battezzato Task Force Nibbio 1 e 2, comprendente un migliaio di soldati, prima alpini della Taurinense e poi parà della Folgore, oltre a vari gruppi di supporto.
Dell'invio di cacciabombardieri, ma in questo caso del tipo Amx, si era quindi parlato nel giugno del 2006, quando alle rinnovate richieste della Nato il governo di centrosinistra aveva dato un'iniziale disponibilità per il dislocamento di 6 velivoli per contribuire alla copertura aerea alla missione Isaf, fino ad allora garantita dall'aviazione norvegese e francese. Mantenendo una antecedente promessa di Berlusconi a Bush, nel decreto di rifinanziamento della missione, Prodi aveva inserito anche tale misura, ma poi venne abbandonata sia in considerazione degli alti costi sia per le opposizioni interne al governo.
Invece dell'invio degli aerei, venne comunque deciso l'aumento del numero delle truppe italiane, inclusi reparti speciali, coll'accondiscendenza di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi.   
Arriviamo quindi al presente: il 23 settembre scorso il consiglio dei ministri, assieme alla proroga delle missioni militari all'estero, ha deciso pure l'invio di 4 Tornado in Afghanistan (costo previsto per 3 mesi: 13 milioni di euro), dopo che era stato ventilato l'impiego di 6 velivoli.
Tornado e piloti appartengono al 6° Stormo di stanza a Ghedi (Bs); ufficialmente hanno compiti di ricognizione, ma tale affermazione appare doppiamente ipocrita: in primo luogo basta consultare la storia e le caratteristiche del Tornado (versione Ids, cioè Interdiction and strike) per rendersi conto che si tratta di una macchina di morte, in grado di sganciare anche bombe termonucleari B-61 a caduta libera; in secondo luogo quelle che il ministro della difesa La Russa ha definito come azioni di osservazione, per i militari rientrano pienamente nella cosiddetta guerra elettronica.
Infatti queste sono a tutti gli effetti missioni combat e preparano l'attacco con bombe a grappolo, incendiarie o ad alto potenziale in dotazione agli aerei statunitensi, i cui effetti sulla popolazione civile sono tragicamente noti.
Tra l'altro, se fosse veritiera la destinazione ricognitiva, perché non usare i "nostri" Predator A, gli specifici aerei teleguidati già stanziati in Afghanistan o i quattro Predator B/Reaper, di cui la commissione difesa della Camera ha approvato l'acquisizione lo scorso febbraio? 
Assai pateticamente, i ministri ombra del Pd Difesa ed Esteri hanno quindi chiesto al governo di sapere "in quale scenario e in quale contesto si colloca l'invio dei Tornado in Afghanistan".
Siamo ormai all'ombra dell'opposizione parlamentare, dato che la risposta è evidente ormai da sette anni: lo stato italiano è in guerra, una guerra sempre più stringente.
Come documentato quotidianamente dal Comando centrale, ogni giorno i cacciabombardieri Usa e Nato effettuano, in media, circa 80 "missioni di appoggio aereo ravvicinato alle truppe Isaf in Afghanistan".
In questi ultimi mesi gli attentati contro i convogli militari Nato sono aumentati del 65% e numerosi sono stati anche gli agguati contro le truppe italiane dislocate nell'area di Kabul e nella regione di Herat, ormai da tempo segnata da una diffusa guerriglia filo talebana ma anche da un'insorgenza popolare alimentata dalle stragi di civili uccisi dai bombardamenti o vittime delle truppe Usa, Nato e governative afgane.
Nessun organo d'informazione, neanche il meno embedded, ancora vuole riferire quella che ormai è un'evidente verità: i presunti eserciti liberatori, italiani compresi, sono ormai circondati in terra nemica, mentre avanza rapidamente un altro spietato inverno afgano.

U.F



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