"Le rivoluzioni sono come i vulcani. Hanno i loro giorni di fiamme ed i loro anni di fumo" (V. Hugo)
Dopo 56 colpi di stato negli ultimi 70 anni, gli eventi della guerra
del gas del 2003 marcarono un prima e un dopo nella politica boliviana:
la città di El Alto, vecchia appendice di La Paz, situata a 4000
metri sull'altipiano andino, si alzò in armi e cacciò il
presidente filoamericano Sanchez de Losada.
Una dimostrazione di forza che intendeva mettere in moto meccanismi di
trasformazione sociale; 68 morti e centinaia di feriti furono un prezzo
alto da pagare per la libertá e la giustizia sociale, per essere
finalmente - come dicono gli alteñi - "Siempre de
pié y nunca de rodillas" (in ginocchio).
Sull'onda di queste mobilitazioni popolari nel dicembre 2005 è
stato eletto presidente Evo Morales, rappresentante indigeno del
sindacato dei cocaleros e fondatore del MAS (Movimento al Socialismo),
maremagnum di movimenti socali, sindacali e contadini indios. Il suo
governo ha portato avanti alcune riforme come la parziale
nazionalizzazione dei giacimenti di gas naturale, la creazione di una
costituente, l'introduzione nel febbraio scorso di 200 bolivianos
mensili (circa 18 euro) per i non abbienti che hanno raggiunto i 60
anni, il riconoscimento della dignità alle 36 diverse etnie che
compongono il paese.
La Bolivia è divisa in tre grandi regioni geografiche;
l'altipiano, le vallate fertili del centro del paese e le ampie pianure
dell'oriente.
Nelle zone andine gran parte della popolazione vive in miseria e con una cronica mancanza di scuole, ospedali e strade.
L'oriente ricco del paese invece, la cosidetta "Media Luna" è il
motore economico della Bolivia: qui gli interessi statunitensi hanno
favorito il consolidamento di un movimento separatista, attraverso
l'agenzia di cooperazione Usaid che da anni investe soldi per
consolidare i prefetti locali e i falangisti della "Union
cruceñista juvenil".
Anche grazie a 120 milioni di dollari statunitensi le classi abbienti
delle regioni più ricche di gas e petrolio hanno indetto e
vinto un referendum pro autonomia; ciononostante nel successivo
referendum nazionale promosso da Evo Morales il 64% di votanti si
è espresso in favore del governo. In questo quadro si sono
scatenate le violenze da parte dei conservatori, tra le quali il
massacro di Pando dell'11 e 12 settembre, quando squadroni della morte
(dietro i quali secondo alcuni giornalisti boliviani sarebbe
anche un neofascista italiano, Marco Marino Diodato) legati a
gruppi civici autonomisti hanno ucciso diciassette contadini indios che
stavano andando a una dimostrazione di sostegno al presidente boliviano.
Da qui la successiva dichiarazione di stato d'assedio da parte del
governo e i timori di guerra civile: decine di migliaia tra contadini,
cocaleros e minatori sono mobilitati affinché la costituzione
non venga modificata come vorrebbero i prefetti, ovvero in senso
autonomista (con Parlamenti propri, potere legislativo e forze di
polizia autonome).
Tra le altre richieste, i prefetti pretendono che il governo devolva
loro i circa 200 milioni di dollari l'anno provenienti dalle tasse
sugli idrocarburi.
Morales ha aperto i negoziati con i prefetti; ma se buona parte dei
movimenti sociali supporta questa scelta, un'altra, che fa riferimento
alla COB (Central Obrera Boliviana) è contraria alla
negoziazione con le forze conservatrici e crede prioritario procedere
con la completa nazionalizzazione delle risorse energetiche e con
l'espropriazione dei latifondi dell'Est e delle pianure in modo da
attuare una vera redistribuzione delle terre e un miglioramento
sostanziale delle condizioni dei lavoratori.
Tirso, Nerio, Antonio