Con questo intervento cercherò di mostrare come la
rispettabilità sia funzionale all'imporsi di un modello
autoritario di società, e lo farò a partire
dall'illuminante lavoro di George L. Mosse, Sessualità e
nazionalismo, sul rapporto tra morale borghese e nazionalismo. L'autore
analizza il ruolo che il nazionalismo, dunque un processo di tipo
identitario, ebbe nella propaganda della rispettabilità
imponendo un modello unico – quello della classe media – e dei precisi
ruoli di genere a tutte le classi sociali. E scrive: "La distinzione
tra normale e anormale sta alla base della moderna
rispettabilità; è il meccanismo che rafforza il controllo
e fornisce sicurezza"(i).
A proposito del primo dopoguerra Mosse osserva: "La destra politica
fece appello al razzismo per sostenere una rispettabilità che si
stava sgretolando e, nello stesso tempo, per preparare la nazione a
vendicare la sconfitta. [...] L'alleanza tra nazionalismo e
rispettabilità raggiunse il suo apice nell'alleanza tra
nazionalismo, razzismo e rispettabilità"(ii), mettendo in luce
anche il legame – non immediatamente visibile – tra guerra e
rispettabilità, razzismo e rispettabilità e l'uso
politico della categoria di degenerazione.
Nell'attuale contesto sociale, da una parte vengono rappresentate come
'degenerate' soggettività le cui connotazioni di genere,
'razza', classe e sessualità le rendono oggetto di processi
disciplinari di controllo e repressione dei comportamenti. E, d'altra
parte, si tende a nascondere sotto il tappeto della 'società
rispettabile' forme di ingiustizia, violenza e sfruttamento funzionali
al mantenimento del sistema stesso.
Dopo le ultime elezioni politiche si è molto sentito parlare di
"territorio" come luogo a cui tornare per agire i conflitti. Ma le
soggettività femministe e lgt non hanno mai perso la
consapevolezza che territori principali in cui si esplica il conflitto
siano i corpi con i loro posizionamenti in relazione alle coordinate di
genere, 'razza', classe, sessualità. Il corpo della donna
picchiata dal marito fra le mura domestiche se non rimane rinchiuso
all'interno dell'omertosa sfera familiare esprime una contraddizione
irriducibile, così come il corpo del migrante morto in uno dei
tanti cantieri edili in cui si lavora in condizioni di totale mancanza
di sicurezza, il corpo della lesbica stuprata per "punizione", il corpo
del/della rom rinchiuso in uno dei tanti campi "legali" circondato da
filo spinato, i corpi di uomini donne e trans migranti reclusi/e (e,
spesso, massacrati/e) nei cpt, il corpo del gay aggredito da squadracce
omofobe, il corpo del giovane "afro-italiano" ucciso a sprangate per
aver preso dei biscotti senza pagarli – solo per citarne alcuni. A
tutti questi corpi viene negata visibilità perché
nascondendoli si celano anche le contraddizioni laceranti che
attraversano questa società. Ma noi dobbiamo rendere visibili le
contraddizioni, dobbiamo farle emergere perché la
rispettabilità mostri la sua faccia nascosta: la
sottomissione/eliminazione dell'altro/a.
Per dirla con le parole di Mosse: "La rispettabilità
garantì alla società un cemento vitale, importante, per
il modo di considerare gli uomini e le donne, quanto gli interessi
economici e politici. Quella che nel Settecento era venuta
costituendosi come moralità borghese diventò, dalla
metà dell'Ottocento, la moralità di ognuno. Fu troppo
alto il prezzo pagato per questo tipo di moralità? Dipende da
come si può risolvere il conflitto tra il bisogno di coesione
avvertito dalla società e la tolleranza verso gli emarginati.
Come Germania, la rispettabilità sembra quindi essersi
saldamente installata sul trono, anche se sotto nuove vesti, consentendo
un certo livello di espressione sessuale, sempre che essa non metta in
pericolo il proprio potere e il proprio dominio"(iii) [corsivi miei].
E' questo un passaggio cruciale per noi, ancora oggi, in particolare se
pensiamo al feroce e crescente ripresentarsi di posizioni ideologiche e
pratiche razziste e, d'altra parte, al silenzio della stragrande
maggioranza della 'comunità' gay e lesbica sui gravissimi fatti
di discriminazione 'razziale' e xenofobia. Un silenzio complice, ancora
più grave perché mostra l'incapacità di leggere
nell'esclusione dell'altro/a il riflesso della propria esclusione. O,
meglio, lo legge talmente bene da averne paura e diventare,
così, mediante la rimozione di esso, complice del sistema
dominante. Complice e kapo.
Proviamo, allora, a ragionare sul legame che certi modelli emancipatori
– in particolare quelli che si limitano all'elemosinare delle briciole
di riconoscimento e di parità – possono avere con la
rispettabilità, fino a costituire una "zona grigia" dei
'movimenti'. E come, invece, i principi di autodeterminazione e di
liberazione siano non solo autonomi ma addirittura antagonisti rispetto
all'interiorizzazione della rispettabilità come misura di tutte
le cose.
Affermare che anche noi siamo famiglia o che siamo 'straordinariamente
normali' è esattamente la cifra di questa interiorizzazione,
così come gli ormai ricorrenti predicozzi sul look adeguato per
partecipare ai Pride che, fra l'altro, fanno il paio con il recente
ritorno in auge del binomio minigonna-prostituta – grazie al quale ben
presto delle donne stuprate sentiremo di nuovo dire "Se la sono
cercata", come se lo scambio sesso-denaro e lo stupro fossero la stessa
cosa(iv).
E' interessante rilevare come oggi la rispettabilità si presenti
con altri nomi. Ne scelgo uno fra i più ricorrenti: decoro.
Nell'epoca del delirio securitario il termine – il cui significato
originario è più estetico che morale – ha acquisito un
significato normativo e totalizzante. In tal senso il "decoro",
diventato un principio moralizzatore, riguarda tanto l'ambiente urbano,
quanto l'abbigliamento e i comportamenti. "Indecoroso", sentiamo
ripetere quotidianamente da ossessivi tutori della Norma, è
mangiare per strada, chiedere l'elemosina, andare al Pride col culo di
fuori o in giro in minigonna, così come "indecorose" sono le
scritte sui muri delle città-vetrina, ecc. – una lista che
potrebbe continuare all'infinito. "Indecoroso" è, di fondo,
tutto ciò che lede, non rispecchiandola, l'immagine del
maschio-bianco-di classe
media-eterosessuale-abile-adulto-produttivo&riproduttivo e,
possibilmente, anche cristiano – e del suo alter ego femminile.
Il "decoro", per com'è oggi imposto attraverso un moltiplicarsi
di divieti, implica un principio autoritario. Tutto ciò che
è "indecoroso" viene stigmatizzato poi, se possibile, sanzionato
e "corretto", se no deve essere perseguitato, represso, cancellato – e
non solo dalla vista: il caso del Ddl Carfagna sulla prostituzione ne
è una perfetta espressione.
Naturalmente tutto ciò non vale per le azioni razziste,
omofobiche o sessiste: di fronte a queste la preoccupazione dei
perbenisti è, al limite, che esse possano "ledere l'immagine
della città" – come dimostrano i casi di Abba a Milano o di
Emmanuel a Parma, per citare i più recenti – mentre sulle
lesioni reali alle vittime di queste azioni ben pochi/e si preoccupano.
La rispettabilità fa, così, trasparire anche una logica
di difesa del privilegio. O del suo fantasma, perché di proprio
di fantasma si tratta nel caso in cui si utilizza la strategia del
perbenismo e della marginalizzazione dell'altro/a per distinguersi
dalla categoria dei "degenerati". E non ci si rende conto che se, ad
esempio, si lascia passare la logica leghista del permesso di soggiorno
'a punti', finiremo col ritrovarci anche noi con una cittadinanza 'a
punti', dove al livello superiore troveremo i/le rispettabili e a
quello inferiore i/le degenerati/e. Né ci si rende conto che
questa dicotomia rispettabile/degenerato spesso coincide con
l'ideologicissima dicotomia naturale/contro natura che quotidianamente
ci viene propinata da santa romana chiesa.
Se il sonno della ragione genera mostri, quello della memoria genera
aguzzini e aguzzine: abbiamo dimenticato troppo in fretta che il
modello lombrosiano di degenerazione contribuì, in Italia, a
costruire la "normalità" in base ad una scala gerarchica (e
razziale) che vedeva al top il maschio eterosessuale di classe media e
al fondo la donna "selvaggia", cui la lesbica, la donna povera e la
prostituta erano molto prossime. Tutti/e coloro che stavano nel mezzo
erano sempre mancanti di qualcosa: l'africano rispetto all'europeo, la
donna rispetto all'uomo.
La stessa scena della caccia alle trans del Prenestino, rimasta
impressa nella nostra memoria, è un esempio lampante di come la
propria rispettabilità la si costruisca mediante la logica
coloniale e patriarcale della produzione/inferiorizzazione
dell'alterità. Dando la caccia alle trans, anche un nazista
diventa "rispettabile" agli occhi altrui.
Allo stesso modo, facendosi complici del razzismo imperante, anche il
gay, la lesbica o il/la trans pensano di diventare rispettabili e lo
scontro di diversità diventa l'altra faccia dello scontro di
civiltà – come ho avuto modo di analizzare altrove (v).
E' necessario, oggi più che mai, uscire dalla miseria degli
orticelli identitari e proporre un punto di vista situato sulla
complessità – anche delle discriminazioni! – se no a che serve
dichiararsi? A meno che non si tratti davvero di quella borghesissima
ricerca del riconoscimento della "rispettabilità di un
ragioniere o di una portinaia del regno del capitale", di cui scriveva
ironicamente Luciano Parinetto (vi). Ma certamente ciò non ha
nulla a che vedere col farsi soggetti politici.
Forse per questo il vero evento che sancì pubblicamente, il 5
aprile del 1972 a Sanremo, la nascita del movimento lgt in Italia
è da sempre poco considerato, se non del tutto rimosso, rispetto
al suicidio/omicidio dei due gay di Giarre, avvenuto otto anni
più tardi?
Perché vi è in Italia la negazione di una parte della
nostra storia? Perché il 5 aprile del 1972 non è mai
ricordato? Che cosa c'è alla radice di questa rimozione?
La nostra accettazione di noi stesse/i passa dal consenso sociale o dal
coraggio di essere quelle/i che siamo e di sbatterlo in faccia
or-go-glio-sa-men-te al mondo perbenista e ipocrita che ci circonda,
sbattendo anche in faccia un'etica della complessità – contro la
logica del riduzionismo autoritario – a un mondo che l'ha completamente
persa?
Rispondere a queste domande può essere un primo passo per
comprendere quanto noi stesse/i rischiamo di farci imprigionare da una
monocultura che nega ogni possibile autodeterminazione. E tornare coi
nostri corpi sulle strade di Sanremo, il 5 aprile, potrebbe essere una
prima azione per rilanciare quella parte del 'movimento' lgt che non
intende farsi addomesticare, mai!
Nicoletta Poidimani
i George L. Mosse, Sessualità e nazionalismo, Laterza 1996, p. 11
ii George L. Mosse, op. cit., pp. 150-51
iii George L. Mosse, op. cit., pp. 218-19
iv Posizione per altro sostenuta anche da Karol Wojtyla nella sua Lettera alle donne, del 1995
v Nicoletta Poidimani, "Scontro di diversità, l'altra faccia
dello scontro di civiltà", in Guerre&Pace, N. 143 (ottobre
2007)
vi Luciano Parinetto, "Diversità del diverso", in Faust e Marx, Pellicani 1989/Mimesis 2004
(a riguardo vedi anche l'informazione da bologna p.5)