Umanità Nova, n.33 del 19 ottobre 2008, anno 88

La trappola della rispettabilità


Con questo intervento cercherò di mostrare come la rispettabilità sia funzionale all'imporsi di un modello autoritario di società, e lo farò a partire dall'illuminante lavoro di George L. Mosse, Sessualità e nazionalismo, sul rapporto tra morale borghese e nazionalismo. L'autore analizza il ruolo che il nazionalismo, dunque un processo di tipo identitario, ebbe nella propaganda della rispettabilità imponendo un modello unico – quello della classe media – e dei precisi ruoli di genere a tutte le classi sociali. E scrive: "La distinzione tra normale e anormale sta alla base della moderna rispettabilità; è il meccanismo che rafforza il controllo e fornisce sicurezza"(i).
A proposito del primo dopoguerra Mosse osserva: "La destra politica fece appello al razzismo per sostenere una rispettabilità che si stava sgretolando e, nello stesso tempo, per preparare la nazione a vendicare la sconfitta. [...] L'alleanza tra nazionalismo e rispettabilità raggiunse il suo apice nell'alleanza tra nazionalismo, razzismo e rispettabilità"(ii), mettendo in luce anche il legame – non immediatamente visibile – tra guerra e rispettabilità, razzismo e rispettabilità e l'uso politico della categoria di degenerazione.
Nell'attuale contesto sociale, da una parte vengono rappresentate come 'degenerate' soggettività le cui connotazioni di genere, 'razza', classe e sessualità le rendono oggetto di processi disciplinari di controllo e repressione dei comportamenti. E, d'altra parte, si tende a nascondere sotto il tappeto della 'società rispettabile' forme di ingiustizia, violenza e sfruttamento funzionali al mantenimento del sistema stesso.
Dopo le ultime elezioni politiche si è molto sentito parlare di "territorio" come luogo a cui tornare per agire i conflitti. Ma le soggettività femministe e lgt non hanno mai perso la consapevolezza che territori principali in cui si esplica il conflitto siano i corpi con i loro posizionamenti in relazione alle coordinate di genere, 'razza', classe, sessualità. Il corpo della donna picchiata dal marito fra le mura domestiche se non rimane rinchiuso all'interno dell'omertosa sfera familiare esprime una contraddizione irriducibile, così come il corpo del migrante morto in uno dei tanti cantieri edili in cui si lavora in condizioni di totale mancanza di sicurezza, il corpo della lesbica stuprata per "punizione", il corpo del/della rom rinchiuso in uno dei tanti campi "legali" circondato da filo spinato, i corpi di uomini donne e trans migranti reclusi/e (e, spesso, massacrati/e) nei cpt, il corpo del gay aggredito da squadracce omofobe, il corpo del giovane "afro-italiano" ucciso a sprangate per aver preso dei biscotti senza pagarli – solo per citarne alcuni. A tutti questi corpi viene negata visibilità perché nascondendoli si celano anche le contraddizioni laceranti che attraversano questa società. Ma noi dobbiamo rendere visibili le contraddizioni, dobbiamo farle emergere perché la rispettabilità mostri la sua faccia nascosta: la sottomissione/eliminazione dell'altro/a.
Per dirla con le parole di Mosse: "La rispettabilità garantì alla società un cemento vitale, importante, per il modo di considerare gli uomini e le donne, quanto gli interessi economici e politici. Quella che nel Settecento era venuta costituendosi come moralità borghese diventò, dalla metà dell'Ottocento, la moralità di ognuno. Fu troppo alto il prezzo pagato per questo tipo di moralità? Dipende da come si può risolvere il conflitto tra il bisogno di coesione avvertito dalla società e la tolleranza verso gli emarginati. Come Germania, la rispettabilità sembra quindi essersi saldamente installata sul trono, anche se sotto nuove vesti, consentendo un certo livello di espressione sessuale, sempre che essa non metta in pericolo il proprio potere e il proprio dominio"(iii) [corsivi miei].
E' questo un passaggio cruciale per noi, ancora oggi, in particolare se pensiamo al feroce e crescente ripresentarsi di posizioni ideologiche e pratiche razziste e, d'altra parte, al silenzio della stragrande maggioranza della 'comunità' gay e lesbica sui gravissimi fatti di discriminazione 'razziale' e xenofobia. Un silenzio complice, ancora più grave perché mostra l'incapacità di leggere nell'esclusione dell'altro/a il riflesso della propria esclusione. O, meglio, lo legge talmente bene da averne paura e diventare, così, mediante la rimozione di esso, complice del sistema dominante. Complice e kapo.
Proviamo, allora, a ragionare sul legame che certi modelli emancipatori – in particolare quelli che si limitano all'elemosinare delle briciole di riconoscimento e di parità – possono avere con la rispettabilità, fino a costituire una "zona grigia" dei 'movimenti'. E come, invece, i principi di autodeterminazione e di liberazione siano non solo autonomi ma addirittura antagonisti rispetto all'interiorizzazione della rispettabilità come misura di tutte le cose.
Affermare che anche noi siamo famiglia o che siamo 'straordinariamente normali' è esattamente la cifra di questa interiorizzazione, così come gli ormai ricorrenti predicozzi sul look adeguato per partecipare ai Pride che, fra l'altro, fanno il paio con il recente ritorno in auge del binomio minigonna-prostituta – grazie al quale ben presto delle donne stuprate sentiremo di nuovo dire "Se la sono cercata", come se lo scambio sesso-denaro e lo stupro fossero la stessa cosa(iv).
E' interessante rilevare come oggi la rispettabilità si presenti con altri nomi. Ne scelgo uno fra i più ricorrenti: decoro. Nell'epoca del delirio securitario il termine – il cui significato originario è più estetico che morale – ha acquisito un significato normativo e totalizzante. In tal senso il "decoro", diventato un principio moralizzatore, riguarda tanto l'ambiente urbano, quanto l'abbigliamento e i comportamenti. "Indecoroso", sentiamo ripetere quotidianamente da ossessivi tutori della Norma, è mangiare per strada, chiedere l'elemosina, andare al Pride col culo di fuori o in giro in minigonna, così come "indecorose" sono le scritte sui muri delle città-vetrina, ecc. – una lista che potrebbe continuare all'infinito. "Indecoroso" è, di fondo, tutto ciò che lede, non rispecchiandola, l'immagine del maschio-bianco-di classe media-eterosessuale-abile-adulto-produttivo&riproduttivo e, possibilmente, anche cristiano – e del suo alter ego femminile.
Il "decoro", per com'è oggi imposto attraverso un moltiplicarsi di divieti, implica un principio autoritario. Tutto ciò che è "indecoroso" viene stigmatizzato poi, se possibile, sanzionato e "corretto", se no deve essere perseguitato, represso, cancellato – e non solo dalla vista: il caso del Ddl Carfagna sulla prostituzione ne è una perfetta espressione.
Naturalmente tutto ciò non vale per le azioni razziste, omofobiche o sessiste: di fronte a queste la preoccupazione dei perbenisti è, al limite, che esse possano "ledere l'immagine della città" – come dimostrano i casi di Abba a Milano o di Emmanuel a Parma, per citare i più recenti – mentre sulle lesioni reali alle vittime di queste azioni ben pochi/e si preoccupano.
La rispettabilità fa, così, trasparire anche una logica di difesa del privilegio. O del suo fantasma, perché di proprio di fantasma si tratta nel caso in cui si utilizza la strategia del perbenismo e della marginalizzazione dell'altro/a per distinguersi dalla categoria dei "degenerati". E non ci si rende conto che se, ad esempio, si lascia passare la logica leghista del permesso di soggiorno 'a punti', finiremo col ritrovarci anche noi con una cittadinanza 'a punti', dove al livello superiore troveremo i/le rispettabili e a quello inferiore i/le degenerati/e. Né ci si rende conto che questa dicotomia rispettabile/degenerato spesso coincide con l'ideologicissima dicotomia naturale/contro natura che quotidianamente ci viene propinata da santa romana chiesa.
Se il sonno della ragione genera mostri, quello della memoria genera aguzzini e aguzzine: abbiamo dimenticato troppo in fretta che il modello lombrosiano di degenerazione contribuì, in Italia, a costruire la "normalità" in base ad una scala gerarchica (e razziale) che vedeva al top il maschio eterosessuale di classe media e al fondo la donna "selvaggia", cui la lesbica, la donna povera e la prostituta erano molto prossime. Tutti/e coloro che stavano nel mezzo erano sempre mancanti di qualcosa: l'africano rispetto all'europeo, la donna rispetto all'uomo.
La stessa scena della caccia alle trans del Prenestino, rimasta impressa nella nostra memoria, è un esempio lampante di come la propria rispettabilità la si costruisca mediante la logica coloniale e patriarcale della produzione/inferiorizzazione dell'alterità. Dando la caccia alle trans, anche un nazista diventa "rispettabile" agli occhi altrui.
Allo stesso modo, facendosi complici del razzismo imperante, anche il gay, la lesbica o il/la trans pensano di diventare rispettabili e lo scontro di diversità diventa l'altra faccia dello scontro di civiltà – come ho avuto modo di analizzare altrove (v).
E' necessario, oggi più che mai, uscire dalla miseria degli orticelli identitari e proporre un punto di vista situato sulla complessità – anche delle discriminazioni! – se no a che serve dichiararsi? A meno che non si tratti davvero di quella borghesissima ricerca del riconoscimento della "rispettabilità di un ragioniere o di una portinaia del regno del capitale", di cui scriveva ironicamente Luciano Parinetto (vi). Ma certamente ciò non ha nulla a che vedere col farsi soggetti politici.
Forse per questo il vero evento che sancì pubblicamente, il 5 aprile del 1972 a Sanremo, la nascita del movimento lgt in Italia è da sempre poco considerato, se non del tutto rimosso, rispetto al suicidio/omicidio dei due gay di Giarre, avvenuto otto anni più tardi?
Perché vi è in Italia la negazione di una parte della nostra storia? Perché il 5 aprile del 1972 non è mai ricordato? Che cosa c'è alla radice di questa rimozione?
La nostra accettazione di noi stesse/i passa dal consenso sociale o dal coraggio di essere quelle/i che siamo e di sbatterlo in faccia or-go-glio-sa-men-te al mondo perbenista e ipocrita che ci circonda, sbattendo anche in faccia un'etica della complessità – contro la logica del riduzionismo autoritario – a un mondo che l'ha completamente persa?
Rispondere a queste domande può essere un primo passo per comprendere quanto noi stesse/i rischiamo di farci imprigionare da una monocultura che nega ogni possibile autodeterminazione. E tornare coi nostri corpi sulle strade di Sanremo, il 5 aprile, potrebbe essere una prima azione per rilanciare quella parte del 'movimento' lgt che non intende farsi addomesticare, mai!

Nicoletta Poidimani


i George L. Mosse, Sessualità e nazionalismo, Laterza 1996, p. 11
ii George L. Mosse, op. cit., pp. 150-51
iii George L. Mosse, op. cit., pp. 218-19
iv Posizione per altro sostenuta anche da Karol Wojtyla nella sua Lettera alle donne, del 1995
v Nicoletta Poidimani, "Scontro di diversità, l'altra faccia dello scontro di civiltà", in Guerre&Pace, N. 143 (ottobre 2007)
vi Luciano Parinetto, "Diversità del diverso", in Faust e Marx, Pellicani 1989/Mimesis 2004

(a riguardo vedi anche l'informazione da bologna p.5)







home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti