Umanità Nova, n.33 del 19 ottobre 2008, anno 88

inform(A)zione


Bologna: «La normalità non esiste». Tre giorni di dibattiti contro la repressione e l'autoritarismo

Oggi l'autoritarismo non fa leva solo su violenze eclatanti. Vi sono anche eventi minimi, giornalieri, continui, capillari, che non fanno scalpore, ma che rafforzano il processo repressivo di disciplinamento sociale. Arroganza, perbenismo, razzismo, sessismo, omofobia, familismo, integralismo cattolico, "legalità & sicurezza" alimentano una cultura di massa dell'odio e della discriminazione. Perché il fascismo, per affermarsi, ha bisogno non solo di aggressioni stupri e omicidi, ma anche di tornare ad essere cultura di massa aggressiva e prevaricatrice, agita da gente "normale" e "rispettabile". Senza ciò, anche lo squadrismo neofascista perderebbe gran parte della sua efficacia.
Proprio per discutere questo ordine di fenomeni – tanto più pericolosi quanto più invasivi – si è tenuta a Bologna una tre giorni di gay lesbiche e trans «contro la repressione, la normalizzazione e le nuove forme di disciplinamento dei corpi», organizzata da Facciamo Breccia, Antagonismogay, Fuoricampo, Coordinamento trans "Sylvia Rivera". Il dibattito si è articolato in quattro sezioni: 1) il perbenismo, la normalizzazione delle identità, l'esortazione del potere all'autocensura; 2) il familismo e il doppio sfruttamento delle donne in casa e sul lavoro; 3) il sessismo e la trans-lesbo-omofobia; 4) la campagna securitaria, il razzismo, il fascismo. Aperta da un intervento sulla nuova ideologia della "rispettabilità" e del "decoro" come norma autoritaria e discriminatoria (vedi articolo p.4), la discussione è stata ricca e molteplice, con il proposito di delineare una soggettività politica plurale, contro le logiche normalizzanti della mediazione e della delega, ma anche e anzitutto contro ogni umiliazione e coercizione verso i "diversi" e gli "indecorosi". Molti interventi hanno cercato di riflettere su due poli fondamentali: il corpo e la parola che ne parla, la fisicità e le sue rappresentazioni o, per così dire, il vissuto e il simbolico come campi complementari di lotta sociale.
Da una parte, l'ideologia della "rispettabilità" vuol dire nascondere ed escludere l'altro, i "degenerati", il corpo sfruttato, aggredito, violentato, imprigionato, "clandestino": ciò insomma che resta fuori dalle griglie di un potere patriarcale sempre più oppressivo, razzista e assassino. Dall'altra, si tratta di uscire dall'idea di una "tutela" delle diversità per rovesciare il vocabolario del disciplinamento e le retoriche securitarie dello stato: oggi "indecorose" sono le leggi e i decreti discriminatori, la propaganda martellante di "paure" razziste e omofobe, l'insicurezza sui posti di lavoro, gli stupri fra le mura domestiche.
Molte sono state le testimonianze di esperienze singole e di percorsi collettivi, da città pesantemente segnate dal neofascismo come Verona e Roma, da Padova, da Milano, da reti di lotta come quella delle sex worker contro il decreto Carfagna, o quella per il "reddito di autodeterminazione", da realtà antifasciste come ECN antifa e l'AAP di Bologna. Un'esigenza dichiarata da più parti è certo quella di abbattere le pareti tra "diversità", di iniziare un percorso antagonista che sappia disarticolare la politica riduzionista e violenta dell'ordine costituito.
Ogni fascismo ha bisogno infatti di costruire un modello unico di vita, un'identità normativa valida per tutti, un senso chiuso e sacrale della tradizione, perpetuato attraverso la paura e l'intimidazione. Essere antagonisti a tutto ciò, non vuol dire contrapporsi in modo speculare e machista, ma fare forza sulla molteplicità e sulla solidarietà, sulla gioia della propria eresia, su una ribellione che nasce dal vissuto e interroga altri soggetti oppressi. Oggi veramente, come cantava De André, «chi non terrorizza si ammala di terrore»: la paura e l'insicurezza non è quella del benpensante, ma di coloro a cui non è più garantita nemmeno l'incolumità fisica, che devono temere aggressioni e violenze, che sentono di abitare un mondo sempre più povero di utopie e di futuro. A fronte di tutto ciò, occorre – come ha detto in chiusura Gabriella Bertozzo – «tornare a fare paura», riportare nelle strade e nei quartieri quel «gaio comunismo» di cui parlava Mario Mieli, la gaiezza della rivolta.
 Così, il 14 febbraio 2009 vi sarà a Roma una manifestazione NO VAT ed è stata lanciata la proposta di una manifestazione a San Remo per ricordare il 5 aprile 1972, quando gay lesbiche e trans irruppero dentro un convegno di sessuologi che ipotizzavano elettrochoc e lobotomizzazione per i "devianti omosessuali".
Anche noi crediamo che la repressione e il disciplinamento che investono oggi il movimento LGBTIQ siano parte di un attacco più generale verso ogni movimento che faccia riferimento all'autodeterminazione e all'antifascismo e che rifiuti le logiche opache della rappresentanza.

Redb

Torino: vittoria dei Raja al 1° Torneo di Calcio all'Alpino

Si è concluso con un emozionante golden goal il primo Torneo di Calcio all'Alpino, svoltosi sabato 11 ottobre nel cuore di Porta Palazzo.
Per oltre quattro ore dieci squadre si sono sfidate nel campo allestito di fianco al Palafuksas, tra tifo scatenato, scommesse e iscrizioni clandestine. I vincitori, una squadra di ragazzi di Casablanca, distintisi per agonismo e indubbia superiorità tecnica, si sono aggiudicati l'ambito trofeo: un autentico cappello da alpino.
La polizia, presente con forze degne di un derby cittadino, si è poco a poco defilata, forse consapevole del ridicolo assedio.
Le truppe di occupazione non si sono fatte vedere per l'intera giornata: ancora una volta un pezzo di Porta Palazzo è stato liberato.

R. Em.

Bologna: Fascisti, Procura & giornalisti

Chi ha comprato i giornali locali lunedì 6 ottobre ha avuto di che rimanere stupito. Ampio spazio veniva dato infatti ad un tale Vignali, responsabile bolognese di Casa Pound il quale accusava la l'Assemblea Antifascista Permanente di avere pubblicato sul proprio blog una mappa con segnati i luoghi di comprovate aggressioni fasciste e spazi di ritrovo dell'estrema destra sparsi in città. Evidentemente il signor Vignali, perfetto sconosciuto – se non per il suo curriculum di aggressioni a migranti - ha trovato una serie di giornali e giornalisti compiacenti e disposti a fargli un po' di pubblicità. Infatti il giorno dopo anche un'emittente radio gli dedicava una bella intervista. Con grande puntualità tre giorni più tardi gli stessi giornalisti comunicano che, grazie ai soliti lavoretti della DIGOS, la Procura ha aperto un'inchiesta contro ignoti per istigazione a delinquere.
Creata il 7 gennaio 2008, dopo l'arresto a Bologna di 24 naziskin (tra i quali Vignani) che stavano organizzando aggressioni eclatanti ed erano in possesso anche di armi da fuoco, la mappatura della presenza fascista pubblicata sul blog dell'AAP di Bologna nasce da un'esigenza primaria di conoscere e di difendersi dalla violenza squadrista, anche dopo ripetute aggressioni e messaggi di minaccia negli ultimi mesi del 2007 (ad es. quello inviato all'ANPI: "morte ai luridi maiali rossi"). Alle accuse "del noto Sig. Vigliali" la redazione del blog replica infatti che la mappa "e' parte integrante di un lavoro di monitoraggio del neofascismo costitutivo dell'Assemblea stessa". Un'iniziativa ritenuta "necessaria per fini di tutela collettiva", in virtù "della preoccupazione derivata dal dilagare di episodi di violenza e squadrismo riconducibili" all'estrema destra. In nessun punto, specificano dall'Assemblea, "sul blog è rintracciabile alcuna istigazione alla violenza".   Dunque quel che preoccupa, assai più dell' "abbaiata" della Procura – che, evidentemente, non può avere nulla a cui aggrapparsi – è lo spazio che i media hanno dedicato alla vicenda, spesso facendo passare i neofascisti come "potenziali aggrediti". Niente di più falso, è ben chiaro. D'altra parte pare evidente che l'opera di monitoraggio sia di una certa utilità: è prioritario a questo punto che pratiche come quelle dell'AAP si allarghino ad altre città e province e che assemblee antifasciste si radichino sul territorio e comincino a rafforzare contatti e coordinamento tra loro.

Redb

Torino: blindati al mercato

Domenica 12 ottobre in via Cottolengo c'è un gran silenzio: sin dal primo mattino la strada è bloccata da blindati di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Il mercato che ogni domenica mattina anima la via non c'è. Ogni angolo della limitrofa Porta Palazzo è presidiato da agenti in tenuta antisommossa.
Il mercato di via Cottolengo è un mercato abusivo gestito da immigrati: banchi di cibo si alternano a quelli di abiti, casalinghi, merci varie. Per tanti è un'occasione preziosa per integrare il reddito o per comprare i sapori di casa.
Questa zona libera è da sempre nel mirino di razzisti e comitati spontanei. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le attenzioni di giornali e politici: dalla Lega che invocava lo sgombero alla giunta comunale che prometteva posti a chi era in regola e repressione a tutti gli altri. I blindati del 12 ottobre hanno sciolto ogni dubbio sulla strategia preferita da tutti. Lo stesso giorno il quotidiano La Stampa dedicava due pagine alla militarizzazione della piazza ed al torneo di Calcio all'Alpino del giorno precedente. Due pagine di propaganda bellica.
Poco lontano dalla piazza in assetto di guerra, c'è il Gran Balon, il mercato di antiquariato/modernariato che si svolge ogni seconda domenica del mese: qui tutti hanno la licenza, non ci sono controlli, la Torino da salotto ci trova il mobile d'epoca o il gingillo da esporre.
Solo pochi metri separano due mondi che sono la metafora concreta di quest'epoca feroce, la linea di demarcazione tra i sommersi e i salvati.
Intorno alle 11 e mezza fanno la loro comparsa in piazza gli antirazzisti, armati di banchetto, volantini, megafono. Si sistemano in piazza davanti ad un negozio chiuso: compare anche uno striscione con una scritta nera in campo rosso "Via la polizia! Mercato libero". Viviamo tempi in cui uno slogan liberale diventa follemente sovversivo. Con buona pace di un paese dove tutti, al governo come all'opposizione, si proclamano liberali.
Una signora marocchina si avvicina e piazza nei pressi la sua sporta di pane e pite. Intorno c'è una piccola folla di immigrati: la Digos occhieggia ma non osa avvicinarsi. Gli interventi al megafono vengono accolti con palese favore dagli immigrati, che applaudono e annuiscono. Il titolare arabo del limitrofo bar "Commercio", che protesta per la troppa vicinanza degli antirazzisti, viene allontanato a gran voce da una piccola folla di magrhebini, che lo spingono a manate nel suo bar.
Due anziani coniugi piemontesi, che poco prima si erano informati sull'accaduto, si avvicinano alla donna araba che vende il pane e comperano due grosse pagnotte.
Gli antirazzisti decidono di concludere la giornata con un giro informativo al Gran Balon. Passano con lo striscione in mezzo al mercato, facendo brevi interventi, per informare quelli del piano di sotto di quanto accadeva poco sopra. In piazza Borgo Dora alcuni commercianti irati tentano di aggredire gli antirazzisti, che non raccolgono la provocazione. La Digos interviene in sostegno ai bottegai. Altri bancarellari invece manifestano solidarietà e condivisione. Al ritorno in piazza della Repubblica alcuni immigrati salutano e ringraziano gli antirazzisti che se ne vanno.
Una giornata che riflette, nelle sue luci e nelle sue ombre, l'immagine di una realtà sociale frantumata, sempre più divisa tra chi cerca di sopravvivere e chi spera di lucrare. Sempre più concreto è il rischio che la guerra tra poveri sostituisca la guerra di classe tagliando in due lo spazio, simbolico e reale, di questa nostra società. Siamo sull'orlo di un baratro e ciascuno ci scivola lentamente pensando che il fondo non arriverà. Occorre l'impegno di tutti per fermare la caduta.
In via Cottolengo, la lotta per riaprire un piccolo spazio libero è solo all'inizio.

R. Em.

Spoleto: Processo Brushwood

Il GUP Ricciarelli ha rinviato al dibattimento i 4 ragazzi spoletini su tutti i capi di imputazione, compreso il reato di Associazione Sovversiva (270 bis). Non poco arrabbiati erano gli imputati presenti e scuri in volto i difensori. La gravità di quello che è accaduto non sta solo nel rinvio a giudizio, ma nelle motivazioni, che non si sono limitate a indicare la necessità della fase dibattimentale - per la quale sarebbero, secondo il GUP, ricorse le condizioni - ma che si è spinto oltre il proprio ruolo tanto da configurare le motivazioni stesse, con i caratteri di una sentenza di condanna. In questo senso le motivazioni diventano oggettivamente un'indicazione di sentenza per i giudici della fase dibattimentale. E' un fatto talmente grave da avere probabilmente le caratteristiche della novità assoluta. Una situazione giuridicamente abnorme, per cui i ruoli vengono confusi e la sentenza a cui devono arrivare i giudici di Terni, a cui è affidata la fase processuale, è pesantemente condizionata da una istruzione impropria. Ben consapevoli e pronte erano le difese ad affrontare in sede processuale tutte le situazioni prescrivibili per cui ci sono le condizioni di una contestazione di merito, ma la situazione ambientale che si è creata con questa "sentenza di condanna" fuori competenza, impone ora una attenta riflessione sul che fare. Appena si avranno in mano le motivazioni scritte si capirà meglio che strada prendere. Ci è stato infine fatto notare che la presenza della Procura, lungo tutta l'udienza, con il suo massimo esponente, il Procuratore Miriano, in appoggio alla PM Comodi, misurava - a detta di chi vivendo a Perugia è più di noi pratico della vita del Palazzo di Giustizia - l'interesse particolare per l'andamento della vicenda Brushwood. Il Comitato 23 Ottobre ritiene che in questa situazione sia necessario rilanciare al più alto livello possibile la mobilitazione e che sia indispensabile costruire momenti di informazione pubblica con la partecipazione di voci importanti del mondo giuridico perché sia chiaro a tutti che non stiamo esagerando, ma che invece siamo di fronte ad un fatto grave che non può passare sotto silenzio. La proposta che facciamo è quella di una manifestazione pubblica per il 23 ottobre, a Spoleto, ad un anno dagli arresti. Non una giornata per ricordare, ma il primo passo per organizzare una mobilitazione crescente per arrivare al 7 aprile, quando inizierà a Terni il processo, con la coscienza che in questo processo non è in gioco solo la libertà di Michele, Andrea, Damiano e Dario, ma quella di tutti. In conclusione un breve accenno su alcune questioni di merito, sulle quali torneremo. La difesa di Michele ha presentato una sentenza del GUP di Pisa (l'ultima di una lunga serie), relativa ad un processo ad un gruppo anarchico le cui imputazioni specifiche erano assai più pesanti di quelle che riguardano i giovani spoletini, ma in cui non si sono ravvisate le condizioni dell'applicazione del 270 bis. Poi ha fatto rilevare che le impronte digitali sulla busta della rivendicazione del 9 marzo, sempre associata dall'accusa alla lettera alla Lorenzetti (autografate entrambe come COOP-FAI) non appartengono a nessuno dei ragazzi spoletini, che il timbro di invio della lettera alla Lorenzetti è illeggibile (ma per la DIGOS può essere dell'otto marzo, quando Michele era in Puglia): si è chiesta come una busta semplice con i due proiettili sia potuta partire da Spoleto, arrivare a Firenze, andare a Perugia e finire nelle stanze della Lorenzetti senza che nessuno si accorgesse che conteneva due pesanti e voluminosi oggetti di piombo. Inoltre, ora, a 11 mesi dai fatti, viene fuori che i Vigili del Fuoco di Spoleto avevano detto esplicitamente a chi indagava sull'incendio all' "ecomostro"che si poteva trattare di una autocombustione e che non c'erano elementi per parlare di una mano esterna e in più che l'accendino di cui si parla nelle carte dell'accusa come strumento per avviare l'incendio e' da escludere che abbia avuto alcuna relazione con l'incendio stesso. Questo significa che non passa mese che parti significative di quanto scritto nelle accuse vengano a cadere. Non ci facciamo scrupolo perciò a chiedere, a quanti interni alle Istituzioni ritengono di esercitare il loro mandato per garantire spazi democratici, che intervengano, nelle sedi politiche dove svolgono il loro mandato, per chiedere cosa sta accadendo nel Tribunale di Perugia. 

Comitato 23 ottobre

Ravenna: I muri parlano di libertà

Nel n.29 di Umanità Nova vi avevamo raccontato la vicenda dei due giovani anarchici denunciati a Ravenna ("danneggiamento aggravato" e "vilipendio alla nazione") per aver vergato sul muro di un sottopassaggio "terrorista è lo Stato" e "fanno le guerre e la chiamano democrazia e civiltà", il tutto nel silenzio assordante delle forze politiche e sociali locali (eccezion fatta per il collettivo Red Block che ha denunciato pubblicamente il caso).
Da allora però, altri giovani del luogo hanno cominciato a parlare. Anche sui muri.
Colloqui, volantinaggi, riunioni ed altre scritte anarchiche sono sbocciate in città, per esprimere una solidarietà forte e dal basso a coloro che hanno subito la repressione: un legame tanto più vero e sentito, come testimoniano la censura totale che i media gli stanno riservando e la solita reazione poliziesca composta da identificazioni insensate e minacce verbali di ritorsione, come accaduto venerdì 26 settembre nel corso di un presidio pubblico in solidarietà ai due denunciati. Il presidio, eterogeneo e composto per lo più da studenti medi, che ha raccolto la solidarietà di molti passanti, ha visto ripetute intimidazioni da parte della digos nei confronti dei giovani partecipanti. Si è tentato così di soffocare ogni voce di dissenso e di denuncia, ogni "rumore". Ravenna è una città piccola e silenziosa, dove ogni movimento può fare molto chiasso: perciò le pagine dei quotidiani locali, che riflettono l'ottusità del potere, non possono fare a meno di calare una profonda coltre di silenzio su questi giovani, che parlano la voce della verità e della giustizia e per questo non possono essere ascoltati.
Eppure qualche orecchio che ascolta c'è. In una città contraddittoria, con un passato strettamente legato all'anarchismo ed un presente costruito di solitudini e nocività, il futuro può riservare ogni sorpresa. Altre scritte sono ricomparse in quel sottopassaggio. I muri parlano di libertà.

Jacopo e Luca

Pisa: Se son lotte... fioriranno

Forse era dai tempi della "pantera" (la protesta studentesca dei primi anni '90) che a Pisa non si vedevano tanti universitari in piazza. Anche se questa volta - al contrario di quella - agli studenti si sono aggiunti anche altre componenti del mondo della scuola: dai maestri delle elementari ai professori universitari, ma anche i genitori degli alunni, tutti a protestare contro i diversi provvedimenti emanati dal Governo contro l'istruzione pubblica.
La protesta è diventata visibile mercoledì 8 ottobre, quando i convenuti all'assemblea di ateneo si sono resi conti che un'aula da 100 posti non sarebbe riuscita certo a contenerne più di mille. E l'assemblea è stata allora spostata in Piazza dei Cavalieri, che si è affollata sempre di più con il passare delle ore. Al termine della riunione centinaia di persone si sono dirette al Rettorato, dove hanno temporaneamente occupato l'ufficio stampa, ed altrettante al polo Carmignani dove sono state occupate alcune aule.
Il giorno dopo si replica, dopo che si era sparsa la voce che la Ministra della Istruzione sarebbe stata in città. Un presidio che, normalmente, avrebbe coinvolto non più di poche decine di persone si è ingrossato fino a diventare un corteo con 3-4 mila partecipanti, che nonostante il percorso breve ha bloccato per un paio d'ore la circolazione in centro. Venerdì 10, anche se meno numeroso,  un gruppo ha portato la protesta davanti alla Scuola Sant'Anna, dove si stava svolgendo una conferenza con la partecipazione del Ministro degli Esteri. Per questa settimana sono previste assemblee in quasi tutte le facoltà e nuove iniziative. Questa, molto in breve, la cronaca della scorsa settimana a Pisa.
Due le cose da notare: sempre più spesso nelle loro proteste gli studenti trovano come compagni di strada i precari, di cui l'università è piena a tutti i livelli, ma anche i docenti. I rappresentanti del ceto politico cittadino, a partire dal sindaco antiborsone, si sono subito precipitati a mettere il cappello (o almeno a provarci) su questa protesta che è ancora troppo presto per chiamare lotta. Intanto in alcune facoltà gli organi di governo accademico hanno decretato un blocco della didattica e notizie di agitazioni dello stesso genere arrivano da Firenze, dove ci sono state anche alcune occupazioni di scuole superiori.
E' sicuramente ancora troppo presto per capire se questa protesta diventerà una vera e propria lotta contro l'attacco all'istruzione pubblica portato avanti dal Governo. Molto dipenderà anche da come nei prossimi giorni si svilupperanno le cose, non solo a Pisa ma in tutto il paese.

Caotico-info (Pisa)

Firenze: in lotta!

Come in tutte le maggiori città italiane venerdì 10 Ottobre anche a Firenze gli studenti delle superiori sono scesi in piazza con universitari e ricercatori per manifestare contro la legge 133.
La manifestazione -indetta dall'Unione Degli Studenti a livello nazionale- ha visto la partecipazione di numerosi collettivi e di realtà autorganizzate.
Nonostante le molte sigle che sono comparse in corteo la piattaforma è quanto più unica e condivisibile: no alla legge 133, no alla politica del ministro Gelmini sia per quanto riguarda la scuola media superiore sia per l'università.
In breve: NO ai tagli che comporterebbero l'introduzione del maestro unico, riduzione delle ore di lezione e licenziamenti del personale docente e tecnico.
NO alla divisa scolastica, no al voto in condotta: contro una società sempre più autoritaria.
NO alle privatizzazioni, per un sapere veramente libero.
Venerdì mattina più di 5000 persone hanno partecipato al corteo che da piazza San Marco è arrivato a piazza SS. Annunziata, dove un'assemblea ha sottolineato i punti caldi della mobilitazione.
Gli studenti delle superiori non possono che interessarsi a quello che accade all'università, come gli universitari non possono non pensare che quelli che verranno dopo di loro avranno un compito molto più arduo se non si cambia qualcosa adesso.
In questo momento è importante e incoraggiante vedere tante persone informate e pronte a collaborare e lottare a tutti i livelli per un'istruzione veramente pubblica e contro una società sempre più repressiva.
Intanto sono state occupate le facoltà di Agraria, il Polo scientifico di Sesto e vari licei della città.
La lotta continua!

cecilia

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