In data 13/10/08 è apparso su La Stampa un articolo (di cui
citiamo qui ampi stralci) che riportava una notizia di un certo
interesse. La Regione Piemonte aveva a disposizione circa 99 milioni di
euro per finanziare l'edilizia sovvenzionata (ovvero la costruzione di
case popolari) a Torino. Di questi è riuscita a spenderne circa
60 milioni, gli altri 40 sono avanzati e, per non lasciarli marcire sui
conti correnti, sono stati trasferiti alle Agenzie Territoriali per la
Casa di altre province e il resto è andato in programmi edilizia
sperimentale, edilizia agevolata e case per soggetti particolari
(anziani, giovani coppie, ecc.) che sono fasce protette, ma non proprio
indigenti. Il 70% previsto per il fabbisogno più estremo
(edilizia sovvenzionata) è diventato un 56% (-14%), il 16% della
agevolata è diventato un 24% (+8%) e il 14% delle altre
destinazioni, un 20% (+6%).
Com'è possibile? «Il problema - spiega l'assessore
regionale alla Casa Sergio Conti - è che il Comune di Torino,
così come altri Comuni, non vuole più costruire case
popolari. Mancano le aree».
Eppure il fabbisogno suggerirebbe di costruire più case
popolari. In provincia di Torino ci sono 15.000 famiglie in lista di
attesa per l'assegnazione di una casa popolare. All'ultimo bando
comunale sono pervenute poco più di 9000 domande e l'85%
rientrava in tipologie da casa popolare. Ma si preferisce spingere
sull'edilizia convenzionata e agevolata, ovvero il restante 15%. La
differenza è lampante per chi, alla fine del mese, deve pagare
l'affitto: una casa popolare ha un canone medio inferiore ai 100 euro,
una casa di edilizia convenzionata o agevolata viaggia invece sui 350.
Eppure non sembra esserci spazio per le fasce più deboli. Il
piano regolatore di Torino prevedeva centinaia di migliaia di metri
quadri per l'edilizia pubblica, ma meno del 5% è stato destinato
alle case popolari. La maggior parte dei progetti finanziati da oltre
10 anni (70 milioni di euro) non è ancora nemmeno partita. Nelle
aree affianco, invece, i privati hanno già ultimato le loro case
di edilizia convenzionata o agevolata.
Fin qui la notizia riportata su La Stampa. Rimane il problema;
perché Torino cerca, per quanto possibile, di non costruire case
popolari? Azzarderemo alcune risposte:
− perché così facendo continua una
politica di classe (nel senso che sostiene alcuni interessi e ne
mortifica altri) che va avanti da alcuni decenni. Limitando il numero
di case popolari a disposizione si è ottenuto di trasformare
quelle residue in ghetti (solo i più poveri e disagiati tra i
poveri hanno la speranza di entrare in graduatoria, vista la
scarsità di alloggi a disposizione) e di costringere larghe
fasce di lavoratori non certo ricchi a rivolgersi al mercato privato,
comprando la casa (e facendosi impiccare dai mutui) o andando in
affitto. La limitazione dell'offerta di case popolari (e, a suo tempo,
l'eliminazione dell'equo canone) hanno consentito ai proprietari di
case che le affittano di tenere alti i canoni (e di sbizzarrirsi con il
nero e l'evasione fiscale), eliminando la concorrenza dell'edilizia
pubblica. In sostanza, quello che prima era un diritto (avere una casa
ad un affitto decente) è diventato un'elemosina destinata ai
più poveri, tutti gli altri sono stati consegnati alle amorevoli
cure del Mercato;
− si sa, i poveri possono essere fastidiosi come
vicini di casa (troppe case popolari potrebbero – dio non voglia! -
abbassare il valore degli immobili vicini) e non si accordano con
l'idea di una Torino dinamica, turistica, carina... Del resto, se
qualcuno si lamentasse per la scarsità di case popolari gli si
può sempre rispondere che è perché le danno ai
negri, agli zingari ed ai romeni (le guerre tra poveri sono sempre
benvenute).
Veniamo ad un'altra notizia (questa non è stata pubblicata da
nessuna parte). Lo stesso Comune che si guarda bene dal destinare aree
alla costruzione di case popolari per le fasce deboli ha deciso che i
neocomunitari (immigrati bulgari e soprattutto romeni, arrivati
recentemente e i cui Paesi d'origine sono da poco entrati nella Ue)
possono cercare posto nei dormitori comunali solo nell'arco di 3 mesi
dalla prima volta che si presentano ad un dormitorio. Dopo, non sono
più accoglibili.
I responsabili del Comune hanno spiegato che prendevano questo
provvedimento perché l'eccessivo afflusso di romeni sottraeva
posti nei dormitori alle fasce deboli. A questo punto, le nostrane
fasce deboli dovrebbero essere contente: di case per loro si cerca di
farne il meno possibile ma, se affondano nella povertà al punto
di doversi rivolgere ai dormitori, il Comune difenderà il loro
diritto ad avere un letto (per 30 giorni, poi si esce e ci si mette in
lista in un altro dormitorio) con le unghie e coi denti!
Il provvedimento, dal punto di vista legale, è quasi corretto.
C'è una norma della Ue che dice che un immigrato neocomunitario
ha diritto all'assistenza per 3 mesi dall'entrata nel Paese, dopo deve
regolarizzare il suo soggiorno, trovarsi una residenza, etc...
Diciamo quasi perché sembra che per il Comune costoro non siano
mai più accoglibili nei dormitori, laddove la norma Ue dice che
se acquisiscono la residenza e poi si trovano in difficoltà
(perché perdono il lavoro), hanno di nuovo diritto
all'assistenza.
Il fatto è che questo provvedimento è inutile. Chiunque
si occupi di migrazioni sa che gli immigrati che arrivano in un Paese,
non ci vengono per intasare i dormitori (dove cercano di fermarsi il
meno possibile) ma per cercare lavoro, qualsiasi lavoro. Appena lo
trovano (o anche prima, se trovano dei compaesani che li ospitano) se
ne vanno. E se ne vanno anche se il lavoro è in nero ed anche se
vivono in 6 in una stanza, per un motivo molto semplice: cercano di
farsi la propria vita.
Quindi tutti sappiamo che le ondate eccezionali di immigrati nei
dormitori durano pochi mesi (come è stato per l'ondata di romeni
di qualche anno fa) nei quali tutti cercano di sistemarsi. In carico
all'assistenza (ed ai dormitori) ci rimane solo quella percentuale (uno
su dieci? O meno?) che fallisce il proprio percorso migratorio, non
trova nulla e precipita nella povertà. E anche questi non
arrivano ai dormitori tutti assieme, ma diluiti negli anni.
Ma allora, se è del tutto inutile, perché il Comune ha
deciso così? Noi una spiegazione ce l'avremmo.. E' una questione
politica: la decisione è stata presa nel periodo della grande
campagna politico-mediatica contro i romeni; nel suo piccolo,
Chiamparino ha voluto partecipare. E poi, come detto sopra, le guerre
tra poveri sono sempre benvenute... Se le "fasce deboli" non trovano
posto nemmeno in dormitorio gli si può sempre dire che è
colpa dei negri e dei romeni.
Matti Altonen