Umanità Nova, n.34 del 26 ottobre 2008, anno 88

Case, dormitori e guerre tra poveri


In data 13/10/08 è apparso su La Stampa un articolo (di cui citiamo qui ampi stralci) che riportava una notizia di un certo interesse. La Regione Piemonte aveva a disposizione circa 99 milioni di euro per finanziare l'edilizia sovvenzionata (ovvero la costruzione di case popolari) a Torino. Di questi è riuscita a spenderne circa 60 milioni, gli altri 40 sono avanzati e, per non lasciarli marcire sui conti correnti, sono stati trasferiti alle Agenzie Territoriali per la Casa di altre province e il resto è andato in programmi edilizia sperimentale, edilizia agevolata e case per soggetti particolari (anziani, giovani coppie, ecc.) che sono fasce protette, ma non proprio indigenti. Il 70% previsto per il fabbisogno più estremo (edilizia sovvenzionata) è diventato un 56% (-14%), il 16% della agevolata è diventato un 24% (+8%) e il 14% delle altre destinazioni, un 20% (+6%).
Com'è possibile? «Il problema - spiega l'assessore regionale alla Casa Sergio Conti - è che il Comune di Torino, così come altri Comuni, non vuole più costruire case popolari. Mancano le aree».
Eppure il fabbisogno suggerirebbe di costruire più case popolari. In provincia di Torino ci sono 15.000 famiglie in lista di attesa per l'assegnazione di una casa popolare. All'ultimo bando comunale sono pervenute poco più di 9000 domande e l'85% rientrava in tipologie da casa popolare. Ma si preferisce spingere sull'edilizia convenzionata e agevolata, ovvero il restante 15%. La differenza è lampante per chi, alla fine del mese, deve pagare l'affitto: una casa popolare ha un canone medio inferiore ai 100 euro, una casa di edilizia convenzionata o agevolata viaggia invece sui 350. Eppure non sembra esserci spazio per le fasce più deboli. Il piano regolatore di Torino prevedeva centinaia di migliaia di metri quadri per l'edilizia pubblica, ma meno del 5% è stato destinato alle case popolari. La maggior parte dei progetti finanziati da oltre 10 anni (70 milioni di euro) non è ancora nemmeno partita. Nelle aree affianco, invece, i privati hanno già ultimato le loro case di edilizia convenzionata o agevolata.
Fin qui la notizia riportata su La Stampa. Rimane il problema; perché Torino cerca, per quanto possibile, di non costruire case popolari? Azzarderemo alcune risposte:
−    perché così facendo continua una politica di classe (nel senso che sostiene alcuni interessi e ne mortifica altri) che va avanti da alcuni decenni. Limitando il numero di case popolari a disposizione si è ottenuto di trasformare quelle residue in ghetti (solo i più poveri e disagiati tra i poveri hanno la speranza di entrare in graduatoria, vista la scarsità di alloggi a disposizione) e di costringere larghe fasce di lavoratori non certo ricchi a rivolgersi al mercato privato, comprando la casa (e facendosi impiccare dai mutui) o andando in affitto. La limitazione dell'offerta di case popolari (e, a suo tempo, l'eliminazione dell'equo canone) hanno consentito ai proprietari di case che le affittano di tenere alti i canoni (e di sbizzarrirsi con il nero e l'evasione fiscale), eliminando la concorrenza dell'edilizia pubblica. In sostanza, quello che prima era un diritto (avere una casa ad un affitto decente) è diventato un'elemosina destinata ai più poveri, tutti gli altri sono stati consegnati alle amorevoli cure del Mercato;
−    si sa, i poveri possono essere fastidiosi come vicini di casa (troppe case popolari potrebbero – dio non voglia! - abbassare il valore degli immobili vicini) e non si accordano con l'idea di una Torino dinamica, turistica, carina...  Del resto, se qualcuno si lamentasse per la scarsità di case popolari gli si può sempre rispondere che è perché le danno ai negri, agli zingari ed ai romeni (le guerre tra poveri sono sempre benvenute).
Veniamo ad un'altra notizia (questa non è stata pubblicata da nessuna parte). Lo stesso Comune che si guarda bene dal destinare aree alla costruzione di case popolari per le fasce deboli ha deciso che i neocomunitari (immigrati bulgari e soprattutto romeni, arrivati recentemente e i cui Paesi d'origine sono da poco entrati nella Ue) possono cercare posto nei dormitori comunali solo nell'arco di 3 mesi dalla prima volta che si presentano ad un dormitorio. Dopo, non sono più accoglibili.
I responsabili del Comune hanno spiegato che prendevano questo provvedimento perché l'eccessivo afflusso di romeni sottraeva posti nei dormitori alle fasce deboli. A questo punto, le nostrane fasce deboli dovrebbero essere contente: di case per loro si cerca di farne il meno possibile ma, se affondano nella povertà al punto di doversi rivolgere ai dormitori, il Comune difenderà il loro diritto ad avere un letto (per 30 giorni, poi si esce e ci si mette in lista in un altro dormitorio) con le unghie e coi denti!
Il provvedimento, dal punto di vista legale, è quasi corretto. C'è una norma della Ue che dice che un immigrato neocomunitario ha diritto all'assistenza per 3 mesi dall'entrata nel Paese, dopo deve regolarizzare il suo soggiorno, trovarsi una residenza, etc...
Diciamo quasi perché sembra che per il Comune costoro non siano mai più accoglibili nei dormitori, laddove la norma Ue dice che se acquisiscono la residenza e poi si trovano in difficoltà (perché perdono il lavoro), hanno di nuovo diritto all'assistenza.
Il fatto è che questo provvedimento è inutile. Chiunque si occupi di migrazioni sa che gli immigrati che arrivano in un Paese, non ci vengono per intasare i dormitori (dove cercano di fermarsi il meno possibile) ma per cercare lavoro, qualsiasi lavoro. Appena lo trovano (o anche prima, se trovano dei compaesani che li ospitano) se ne vanno. E se ne vanno anche se il lavoro è in nero ed anche se vivono in 6 in una stanza, per un motivo molto semplice: cercano di farsi la propria vita.
Quindi tutti sappiamo che le ondate eccezionali di immigrati nei dormitori durano pochi mesi (come è stato per l'ondata di romeni di qualche anno fa) nei quali tutti cercano di sistemarsi. In carico all'assistenza (ed ai dormitori) ci rimane solo quella percentuale (uno su dieci? O meno?) che fallisce il proprio percorso migratorio, non trova nulla e precipita nella povertà. E anche questi non arrivano ai dormitori tutti assieme, ma diluiti negli anni.
Ma allora, se è del tutto inutile, perché il Comune ha deciso così? Noi una spiegazione ce l'avremmo.. E' una questione politica: la decisione è stata presa nel periodo della grande campagna politico-mediatica contro i romeni; nel suo piccolo, Chiamparino ha voluto partecipare. E poi, come detto sopra, le guerre tra poveri sono sempre benvenute... Se le "fasce deboli" non trovano posto nemmeno in dormitorio gli si può sempre dire che è colpa dei negri e dei romeni.

Matti Altonen


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