Segue dal numero 33.
In Abruzzo l'accaparramento delle cosiddette nuove fonti da parte di
chi già esercita le vecchie è fenomeno piuttosto
evidente: a Collarmele, ad esempio, la centrale eolica fu realizzata, a
suo tempo, dall'Enel ma anche a livello più basso, per tornare
ad oggi, in regime di concorrenza e di conferimento alla rete elettrica
teoricamente libero ed agevolato per tutti, l'impianto per la
produzione di biodiesel che dovrebbe bruciare, sempre a Collarmele,
75mila tonnellate l'anno di semi di girasole e di colza, è
proposto dalla VCC Siracusa srl, società collegata alla VCC
Energia che già opera, in zona, con l'eolico. E così via.
Dall'anno scorso detti progetti (alcuni dei quali, Ortucchio e
Trasacco, avvolti nelle spire del più fitto mistero) hanno
incontrato una certa opposizione.
Non certo per la commistione sopra rappresentata tra titolari delle
vecchie e delle nuove fonti (fenomeno che rischia di ripetersi tal
quale con la nuova ondata di alternativo rappresentata dal
fotovoltaico, per il quale, pure, a Fucino sono previsti diversi
impianti di un certo rilievo – due sono attualmente al vaglio della
valutazione di impatto ambientale alla Regione, ad Ortucchio e San
Benedetto dei Marsi, a riprova del ruolo di frontiera di queste terre;
d'altronde la stessa centrale PowerCrop di Avezzano, a riprova
dell'assunto, prevede a latere «la realizzazione di un impianto
fotovoltaico della potenza di circa 300 kWp»).
Quel che ha rallentato tanti progetti è stata la norma
nazionale, ove, per decenza, stabilisce che della materia prima
alimentante le bocche di fuoco dei termovalorizzatori debba essere
attentamente verificata la produzione, con la garanzia della
provenienza, tracciabilità e rintracciabilità della
filiera, onde evitare che tale materiale venga massicciamente e
indiscriminatamente importato (cosa che comporterebbe effetti
decisamente paradossali in termini di inquinamento, per un versante che
pretende di produrre energia alternativa).
Si è scatenato un gran dibattito sulla cosiddetta «filiera
corta», ovvero sulla necessità, opportunamente incentivata
dalle tariffe e dalle agevolazioni, del reperimento delle opportune
materie prime in loco, cioè entro un raggio di 70 chilometri
dall'impianto utilizzatore.
Le maggiori perplessità sono state ingenerate proprio dalle
ricadute di tale obbligo: leggere, l'anno scorso, di 4500 ettari
indirizzati, a Fucino, alla produzione dei prodotti agricoli destinati
al termovalorizzatore ha ingenerato lo scetticismo in molti.
Recentemente qualcosa si è palesato, e sempre per l'insediamento
madre di tutti gli insediamenti (quello della riconversione dello
zuccherificio Sadam) si è appreso che la PowerCrop va
proponendo, ai coltivatori fucensi, un contratto di dodici anni per la
«pioppatura a turno breve», assistenza nella produzione,
circa 1600 euro all'anno per ettaro quale remunerazione.
Meno attenzione ha destato la legittima preoccupazione dei cittadini
del borgo avezzanese che dovrebbe ospitare l'intervento (Borgo Incile),
luogo che, tutto torna, paradossalmente si trova a pochi metri di
distanza dal sito che avrebbe dovuto ospitare la torcia al plasma,
progetto poi abbandonato per la sua pretesa nocività per la
salute.
In tutta coscienza possiamo affermare che la centrale a biomasse
PowerCrop pure non scherza: i dati della sintesi non tecnica pubblicata
sul sito della Regione ci dicono che detta centrale a biomassa da 93
MWt emetterà ossidi di azoto (NOx) in una quantità quasi
uguale a quella emessa, in totale, attualmente, dalle tre centrali:
Micron (zona industriale Avezzano), Burgo (cartiera) e Celano
(turbogas).
Con buona pace degli abitanti di Borgo Incile e di chi, più in
generale, va difendendo, a giorni alterni, le produzioni agricole
fucensi.
Il Martello del Fucino – foglio volante di Fontamara (Pescina)