Umanità Nova, n.34 del 26 ottobre 2008, anno 88

Dalla vanga alla biomassa


Segue dal numero 33.

In Abruzzo l'accaparramento delle cosiddette nuove fonti da parte di chi già esercita le vecchie è fenomeno piuttosto evidente: a Collarmele, ad esempio, la centrale eolica fu realizzata, a suo tempo, dall'Enel ma anche a livello più basso, per tornare ad oggi, in regime di concorrenza e di conferimento alla rete elettrica teoricamente libero ed agevolato per tutti, l'impianto per la produzione di biodiesel che dovrebbe bruciare, sempre a Collarmele, 75mila tonnellate l'anno di semi di girasole e di colza, è proposto dalla VCC Siracusa srl, società collegata alla VCC Energia che già opera, in zona, con l'eolico. E così via.
Dall'anno scorso detti progetti (alcuni dei quali, Ortucchio e Trasacco, avvolti nelle spire del più fitto mistero) hanno incontrato una certa opposizione.
Non certo per la commistione sopra rappresentata tra titolari delle vecchie e delle nuove fonti (fenomeno che rischia di ripetersi tal quale con la nuova ondata di alternativo rappresentata dal fotovoltaico, per il quale, pure, a Fucino sono previsti diversi impianti di un certo rilievo – due sono attualmente al vaglio della valutazione di impatto ambientale alla Regione, ad Ortucchio e San Benedetto dei Marsi, a riprova del ruolo di frontiera di queste terre; d'altronde la stessa centrale PowerCrop di Avezzano, a riprova dell'assunto, prevede a latere «la realizzazione di un impianto fotovoltaico della potenza di circa 300 kWp»).
Quel che ha rallentato tanti progetti è stata la norma nazionale, ove, per decenza, stabilisce che della materia prima alimentante le bocche di fuoco dei termovalorizzatori debba essere attentamente verificata la produzione, con la garanzia della provenienza, tracciabilità e rintracciabilità della filiera, onde evitare che tale materiale venga massicciamente e indiscriminatamente importato (cosa che comporterebbe effetti decisamente paradossali in termini di inquinamento, per un versante che pretende di produrre energia alternativa).
Si è scatenato un gran dibattito sulla cosiddetta «filiera corta», ovvero sulla necessità, opportunamente incentivata dalle tariffe e dalle agevolazioni, del reperimento delle opportune materie prime in loco, cioè entro un raggio di 70 chilometri dall'impianto utilizzatore.
Le maggiori perplessità sono state ingenerate proprio dalle ricadute di tale obbligo: leggere, l'anno scorso, di 4500 ettari indirizzati, a Fucino, alla produzione dei prodotti agricoli destinati al termovalorizzatore ha ingenerato lo scetticismo in molti.
Recentemente qualcosa si è palesato, e sempre per l'insediamento madre di tutti gli insediamenti (quello della riconversione dello zuccherificio Sadam) si è appreso che la PowerCrop va proponendo, ai coltivatori fucensi, un contratto di dodici anni per la «pioppatura a turno breve», assistenza nella produzione, circa 1600 euro all'anno per ettaro quale remunerazione.
Meno attenzione ha destato la legittima preoccupazione dei cittadini del borgo avezzanese che dovrebbe ospitare l'intervento (Borgo Incile), luogo che, tutto torna, paradossalmente si trova a pochi metri di distanza dal sito che avrebbe dovuto ospitare la torcia al plasma, progetto poi abbandonato per la sua pretesa nocività per la salute.
In tutta coscienza possiamo affermare che la centrale a biomasse PowerCrop pure non scherza: i dati della sintesi non tecnica pubblicata sul sito della Regione ci dicono che detta centrale a biomassa da 93 MWt emetterà ossidi di azoto (NOx) in una quantità quasi uguale a quella emessa, in totale, attualmente, dalle tre centrali: Micron (zona industriale Avezzano), Burgo (cartiera) e Celano (turbogas).
Con buona pace degli abitanti di Borgo Incile e di chi, più in generale, va difendendo, a giorni alterni, le produzioni agricole fucensi.

Il Martello del Fucino – foglio volante di Fontamara (Pescina)


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