Umanità Nova, n.34 del 26 ottobre 2008, anno 88

Mobilitazioni nelle scuole: "questo è solo l'inizio"


Non è stato né l'obbligo del grembiule, né il voto in condotta. A mobilitare centinaia di migliaia di persone contro la riforma Gelmini è invece il progetto di smantellamento di uno degli ultimi luoghi dell'egualitarismo formale e della crescita intellettuale al di fuori dell'incessante manipolazione televisiva: l'istruzione per tutti, l'opportunità per tutti di apprendere, la libertà di insegnare. Non solo la riforma Gelmini è un provvedimento che taglia e toglie: taglia i finanziamenti, riduce il personale scolastico (di oltre 100.000 unità nei prossimi tre anni), diminuisce ad ogni livello le ore d'insegnamento, permette di accorpare le classi (superando i 30 alunni per classe), chiude le scuole nei piccoli centri (oltre 4.000), mette a rischio e dequalifica il tempo pieno. Non solo, in ambito universitario, il decreto Gelmini devasta la ricerca attraverso l'espulsione dei ricercatori precari, e ostacola il ricambio generazionale del personale docente (ogni cinque professori che andranno in pensione potrà essere assunto un solo ricercatore). Quello che muove la protesta è qualcosa di più profondo: questa è una riforma classista e differenzialista, che vuole creare scuole dequalificate e avvilenti per i poveri (con uno sbocco precoce nella "formazione professionale", anticamera giovanile di sfruttamento e precariato) e scuole ben sovvenzionate e controllate ideologicamente per i ceti dirigenti. Non a caso questa riforma rende possibile forme invasive di privatizzazione della scuola pubblica: la possibilità degli istituti di trasformarsi in fondazioni e così selezionare insegnanti e orientamenti conformi alle idee dei "generosi" finanziatori (tagliando fuori le scuole periferiche). E ciò è tanto più evidente nell'università, poiché è prevista la riduzione progressiva, fino al 2013, del finanziamento ordinario e un taglio del 46% sulle spese di funzionamento: un nodo scorsoio che costringerà gli atenei ad alzare le tasse e le facoltà a trasformarsi in fondazioni controllate da capitali privati. Insomma, una riforma contro la gran parte degli studenti e contro la gran parte degli insegnanti.
Sicché non sorprende che dinanzi a questa riforma classista si siano mobilitate anzitutto le scuole primarie e periferiche: una lotta iniziata dalle donne – sia genitrici che insegnanti – che più direttamente hanno esperienza delle umiliazioni e della violenza della precarietà lavorativa e che sentono la responsabilità di cambiare le cose per le giovani generazioni. Ed è una protesta che si è allargata in modo straordinario, fino alle occupazioni dei licei e delle università, alle lezioni in piazza, alla manifestazione romana del 17 ottobre. Mariastella Gelmini auspica ora che i "docenti moderati" diano vita a una specie di marcia dei 40 mila, come quella famosa dei dirigenti Fiat: «Nelle università si fanno sentire solo i docenti di sinistra. Sarebbe ora che anche i moderati, per la miseria, mostrassero gli attributi». Di là dal linguaggio macho e fascistoide, che già la dice lunga sulla cultura di tale ministro, il fatto è che – come hanno dichiarato gli studenti universitari – «questo è solo l'inizio», e i ricatti e lo squadrismo simbolico finora non hanno avuto alcun effetto.

redb

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