Non è stato né l'obbligo del grembiule, né il
voto in condotta. A mobilitare centinaia di migliaia di persone contro
la riforma Gelmini è invece il progetto di smantellamento di uno
degli ultimi luoghi dell'egualitarismo formale e della crescita
intellettuale al di fuori dell'incessante manipolazione televisiva:
l'istruzione per tutti, l'opportunità per tutti di apprendere,
la libertà di insegnare. Non solo la riforma Gelmini è un
provvedimento che taglia e toglie: taglia i finanziamenti, riduce il
personale scolastico (di oltre 100.000 unità nei prossimi tre
anni), diminuisce ad ogni livello le ore d'insegnamento, permette di
accorpare le classi (superando i 30 alunni per classe), chiude le
scuole nei piccoli centri (oltre 4.000), mette a rischio e dequalifica
il tempo pieno. Non solo, in ambito universitario, il decreto Gelmini
devasta la ricerca attraverso l'espulsione dei ricercatori precari, e
ostacola il ricambio generazionale del personale docente (ogni cinque
professori che andranno in pensione potrà essere assunto un solo
ricercatore). Quello che muove la protesta è qualcosa di
più profondo: questa è una riforma classista e
differenzialista, che vuole creare scuole dequalificate e avvilenti per
i poveri (con uno sbocco precoce nella "formazione professionale",
anticamera giovanile di sfruttamento e precariato) e scuole ben
sovvenzionate e controllate ideologicamente per i ceti dirigenti. Non a
caso questa riforma rende possibile forme invasive di privatizzazione
della scuola pubblica: la possibilità degli istituti di
trasformarsi in fondazioni e così selezionare insegnanti e
orientamenti conformi alle idee dei "generosi" finanziatori (tagliando
fuori le scuole periferiche). E ciò è tanto più
evidente nell'università, poiché è prevista la
riduzione progressiva, fino al 2013, del finanziamento ordinario e un
taglio del 46% sulle spese di funzionamento: un nodo scorsoio che
costringerà gli atenei ad alzare le tasse e le facoltà a
trasformarsi in fondazioni controllate da capitali privati. Insomma,
una riforma contro la gran parte degli studenti e contro la gran parte
degli insegnanti.
Sicché non sorprende che dinanzi a questa riforma classista si
siano mobilitate anzitutto le scuole primarie e periferiche: una lotta
iniziata dalle donne – sia genitrici che insegnanti – che più
direttamente hanno esperienza delle umiliazioni e della violenza della
precarietà lavorativa e che sentono la responsabilità di
cambiare le cose per le giovani generazioni. Ed è una protesta
che si è allargata in modo straordinario, fino alle occupazioni
dei licei e delle università, alle lezioni in piazza, alla
manifestazione romana del 17 ottobre. Mariastella Gelmini auspica ora
che i "docenti moderati" diano vita a una specie di marcia dei 40 mila,
come quella famosa dei dirigenti Fiat: «Nelle università
si fanno sentire solo i docenti di sinistra. Sarebbe ora che anche i
moderati, per la miseria, mostrassero gli attributi». Di
là dal linguaggio macho e fascistoide, che già la dice
lunga sulla cultura di tale ministro, il fatto è che – come
hanno dichiarato gli studenti universitari – «questo è
solo l'inizio», e i ricatti e lo squadrismo simbolico finora non
hanno avuto alcun effetto.
redb