Umanità Nova, n.35 del 2 novembre 2008, anno 88

Se la scuola privata è l’unica via...


Un popolo di ignoranti è un popolo di servi. Ciò sembra sia molto chiaro agli studenti che in questo ottobre si stanno mobilitando, e non solo a loro: maestri, genitori, ricercatori, precari, assegnisti, lavoratori della scuola e dell'università di ogni ordine e grado si stanno muovendo, decisi a opporsi a un decreto che – come è stato messo in evidenza negli ultimi numeri del giornale – è una vera e proprio controriforma. Una debolissima base "ideologica" (il sistema di istruzione pubblica non è efficiente) dovrebbe servire da pretesto per smantellare definitivamente scuola e università, realtà già profondamente scosse da tutte le "riforme" che da Berlinguer in poi abbiamo dovuto subire.
Anche in questo caso Berlusconi e i suoi giocano sul significato delle parole, nella consapevolezza che l'utilizzo di una "neolingua", in cui ogni parola perde di senso, sia uno dei mezzi migliori per portare avanti quel "lavaggio del cervello" di massa che i media di regime coltivano senza sosta.
Così secondo il governo i "conservatori" sarebbero quelli contrari a questa "riforma"; chiunque resiste di fronte alla devastazione dell'istruzione pubblica. In ogni periodo di reazione si assiste ad un mutamento del linguaggio e a un suo utilizzo strumentale: non a caso Berlusconi & company hanno sempre affermato di lottare per la libertà, quando è risaputo che lottano sì, ma per dei privilegi. I tagli del decreto Gelmini evidentemente sono il mezzo per compiere un bel balzo indietro a prima del '68, in nome della necessità di ripristinare il principio d'autorità – simboleggiato in maniera  fin troppo franca dal grembiule, il voto in condotta e il maestro unico. 
L'ondata di proteste contro il governo è tuttavia, in primis, un rifiuto dei licenziamenti e del blocco delle assunzioni, ha cioè in sé un motivo economico profondo: in un periodo di default finanziari, chi scende in strada dimostra di non aver alcuna intenzione di pagare i costi della crisi.
E non solo: quel che il governo teme è forse il fatto che chi rifiuta i tagli stia cominciando ad entrare nel merito della distribuzione delle risorse. E magari ad interrogarsi – a cavallo delle lugubri celebrazioni del 4 novembre - su quanto denaro pubblico venga impiegato per mantenere il dispiegamento di forze di polizia e militari dentro e fuori il paese. D'altra parte nella maggior parte delle istanze e anche nelle forme di lotta "l'onda" ha indubbi caratteri riformisti.
E' forse eccedere nell'autocompiacimento ricordare che nel mondo dell'istruzione le prime proteste che diedero poi il via al '68 nacquero come istanze di miglioramento del sistema ed è bene riconoscere ad ogni momento storico la sua specificità. Tuttavia le proteste mostrano due punti di forza non da poco: il loro essere trasversali e di massa. Inoltre, se è vero che molti giovani, soprattutto universitari, sono politicamente "acerbi", è indubbio che l'autorganizzazione è ad oggi il metodo di lotta usato e questo è un buon antidoto contro gli ovvi tentativi di guidare ed egemonizzare politicamente le proteste da parte delle frange più istituzionali. Propositi da cui bisognerà che il movimento – se vuole diventare veramente tale - si continui a guardare, ancor di più con il passare dei giorni, quando CGIL, PD e via a scendere avranno giocato le loro carte di strumentalizzazione delle proteste. Un pericolo questo che va di pari passo con la stretta repressiva. In questo frangente siamo chiamati a fare la nostra parte.

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