Un popolo di ignoranti è un
popolo di servi. Ciò sembra sia molto chiaro agli studenti che
in questo ottobre si stanno mobilitando, e non solo a loro: maestri,
genitori, ricercatori, precari, assegnisti, lavoratori della scuola e
dell'università di ogni ordine e grado si stanno muovendo,
decisi a opporsi a un decreto che – come è stato messo in
evidenza negli ultimi numeri del giornale – è una vera e proprio
controriforma. Una debolissima base "ideologica" (il sistema di
istruzione pubblica non è efficiente) dovrebbe servire da
pretesto per smantellare definitivamente scuola e università,
realtà già profondamente scosse da tutte le "riforme" che
da Berlinguer in poi abbiamo dovuto subire.
Anche in questo caso Berlusconi e i
suoi giocano sul significato delle parole, nella consapevolezza che
l'utilizzo di una "neolingua", in cui ogni parola perde di senso, sia
uno dei mezzi migliori per portare avanti quel "lavaggio del cervello"
di massa che i media di regime coltivano senza sosta.
Così secondo il governo i
"conservatori" sarebbero quelli contrari a questa "riforma"; chiunque
resiste di fronte alla devastazione dell'istruzione pubblica. In ogni
periodo di reazione si assiste ad un mutamento del linguaggio e a un
suo utilizzo strumentale: non a caso Berlusconi & company hanno
sempre affermato di lottare per la libertà, quando è
risaputo che lottano sì, ma per dei privilegi. I tagli del
decreto Gelmini evidentemente sono il mezzo per compiere un bel balzo
indietro a prima del '68, in nome della necessità di
ripristinare il principio d'autorità – simboleggiato in
maniera fin troppo franca dal grembiule, il voto in condotta e il
maestro unico.
L'ondata di proteste contro il
governo è tuttavia, in primis, un rifiuto dei licenziamenti e
del blocco delle assunzioni, ha cioè in sé un motivo
economico profondo: in un periodo di default finanziari, chi scende in
strada dimostra di non aver alcuna intenzione di pagare i costi della
crisi.
E non solo: quel che il governo teme
è forse il fatto che chi rifiuta i tagli stia cominciando ad
entrare nel merito della distribuzione delle risorse. E magari ad
interrogarsi – a cavallo delle lugubri celebrazioni del 4 novembre - su
quanto denaro pubblico venga impiegato per mantenere il dispiegamento
di forze di polizia e militari dentro e fuori il paese. D'altra parte
nella maggior parte delle istanze e anche nelle forme di lotta "l'onda"
ha indubbi caratteri riformisti.
E' forse eccedere
nell'autocompiacimento ricordare che nel mondo dell'istruzione le prime
proteste che diedero poi il via al '68 nacquero come istanze di
miglioramento del sistema ed è bene riconoscere ad ogni momento
storico la sua specificità. Tuttavia le proteste mostrano due
punti di forza non da poco: il loro essere trasversali e di massa.
Inoltre, se è vero che molti giovani, soprattutto universitari,
sono politicamente "acerbi", è indubbio che l'autorganizzazione
è ad oggi il metodo di lotta usato e questo è un buon
antidoto contro gli ovvi tentativi di guidare ed egemonizzare
politicamente le proteste da parte delle frange più
istituzionali. Propositi da cui bisognerà che il movimento – se
vuole diventare veramente tale - si continui a guardare, ancor di
più con il passare dei giorni, quando CGIL, PD e via a scendere
avranno giocato le loro carte di strumentalizzazione delle proteste. Un
pericolo questo che va di pari passo con la stretta repressiva. In
questo frangente siamo chiamati a fare la nostra parte.