È stata una settimana intensa quella appena trascorsa per le scuole superiori e l'università a Trieste.
Da lunedì 20 ottobre quasi tutti gli istituti superiori della
città sono entrati in agitazione: in sette scuole gli studenti
hanno occupato ma in sei di esse i presidi hanno chiesto l'intervento
immediato della polizia (a Trieste ciò non era quasi mai
accaduto prima), costringendo di fatto gli studenti a fare marcia
indietro. Nonostante ciò in molte scuole sono iniziate
ugualmente autogestioni e assemblee permanenti per discutere del
decreto Gelmini ed elaborare documenti di analisi e critica.
Anche molti insegnanti, soprattutto precari ma non solo, stanno
portando avanti varie forme di lotta contro il decreto e in generale
contro le politiche governative riguardo all'istruzione: a settembre
è nato il Comitato in difesa della scuola pubblica, che ha
già promosso diverse iniziative.
L'università triestina invece si è svegliata tardi
rispetto ad altri atenei italiani, ma è stato un risveglio in
grande stile: mercoledì un'assemblea organizzata per discutere
della legge 133 e dei tagli alla ricerca, con la presenza anche del
rettore, ha visto la partecipazione di più di duemila studenti,
al punto che dall'aula magna, rivelatasi troppo piccola, è stata
spostata nel cortile antistante l'istituto. Dopo un lungo dibattito
è stato deciso di iniziare la mobilitazione, anche se né
l'occupazione né il blocco della didattica sono stati presi in
considerazione come forme di protesta. Subito dopo l'assemblea è
partito un corteo spontaneo di 300 persone che ha sfilato in centro
è si è concluso con una nuova assemblea , che ha visto la
partecipazione anche di alcuni insegnanti, i quali hanno tenuto lezioni
simboliche al megafono. Ma il giorno clou è stato sicuramente
quello di sabato, quando era in programma un corteo di tutte le scuole
triestine, a cui anche gli universitari hanno aderito. La
partecipazione è andata al di là delle aspettative
più ottimiste: più di diecimila (c'è chi dice
quindicimila…) manifestanti, tra studenti delle elementari, delle
superiori e dell'università, insegnanti, genitori… una marea
umana che ha bloccato la città per tre ore. Ad aprire il corteo
c'erano bambini/e e maestri/e delle elementari, poi gli studenti delle
superiori e dell'università, mentre altri insegnanti, professori
e professoresse erano sparsi per il corteo. Tanti striscioni e
cartelli, sia contro la Gelmini che contro la legge 133. Per scelta
degli organizzatori non era presente nessuna bandiera di partito (le
uniche bandiere presenti erano infatti quelle rossonere portate da
alcuni compagni); scelta comprensibilmente dettata dal bisogno – molto
sentito – di non essere etichettati, ma comunque una scelta che marca,
insieme ad altri segnali, una mancanza piuttosto evidente di coscienza
politica – e questo si fa notare soprattutto negli studenti
universitari – che caratterizza negativamente una lotta che invece,
sotto molti altri aspetti, è sicuramente positiva. Il fatto che
non sia l'assenza di bandiere ad un corteo a far sì che il
movimento sia autonomo e immune da derive istituzionali non pare avere
molta rilevanza. E infatti una parte di coloro che guidano la protesta
– almeno a livello universitario – sono legati alla sinistra
istituzionale accademica e ovviamente sono i più contrari alle
proposte più radicali, come l'occupazione. In ogni caso la
manifestazione di sabato deve dare benzina ad una lotta che può
durare ancora a lungo e dare ancora molto filo da torcere al governo.
Per quanto riguarda l'università sono in programma assemblee in
molte facoltà e un nuovo grande incontro martedì 28. La
scuola è ancora in movimento, e sicuramente gli studenti non
hanno intenzione di acquietarsi.
Per news e approfondimenti www.info-action.info
raffaele
Anche a Bologna il clima è mutato. Senti di lontano un
vociare confuso, ti avvicini, ed è una manifestazione spontanea
di studenti che va a zonzo per la città, senza nessuna
autorizzazione o preavviso. Nella città dei divieti
cofferatiani, certo è un fatto nuovo. Allo stesso modo,
straordinaria è stata la "notte bianca" del 15 ottobre che –
dopo le grandi manifestazioni del 26 settembre e del 10 ottobre – ha
coinvolto tantissime scuole, e non solo a Bologna, ma nella periferia,
in provincia, nei paesini di montagna, con cortei, "passeggiate di
quartiere", concerti, spettacoli in piazza, conferenze, letture,
assemblee. Le scuole elementari e medie sono oggi la roccaforte di
questa protesta autorganizzata, diffusa e "dal basso": «non ci
fermeremo». Ma ampie sono state anche le mobilitazioni nei licei
con una decina di occupazioni, con sit-in, lezioni in piazza, cortei.
Non sono mancate anche le intimidazioni: all'Istituto tecnico-agrario
"Serpieri" la preside ha minacciato la bocciatura di massa per chi
occupava e la polizia, giunta poco dopo, ha sfoderato le manette in
dotazione e minacciato denunce. Ma questo è un movimento capace
di sottrarsi alle provocazioni e di aggirare gli ostacoli.
Più lenta a muoversi pare invece l'Università. È
stata occupata Lettere e Filosofia dapprima il 15 e poi, in modo
più partecipato, dal 20 ottobre, con il coinvolgimento anche di
ricercatori, assegnisti, dottorandi, personale tecnico-amministrativo e
precari. Parallelamente, altre facoltà hanno promosso assemblee
e autogestioni (come a Scienze Politiche). Martedì 21 il
riuscito "assedio al Rettorato" – in occasione della fine dell'anno
accademico – si è concluso con un corteo di quattromila studenti
che ha percorso le strade cittadine, occupando simbolicamente i primi
binari della Stazione centrale. Venerdì 24, durante l'assemblea
di Ateneo nell'Aula magna di Santa Lucia, studenti, precari e docenti
hanno preso la parola contro la legge n. 133/08 per ribadire che
«Noi la crisi non la paghiamo». Tuttavia il rettore
Calzolari non ha preso posizione rispetto alle richieste di studenti e
precari, mentre bordate di fischi si sono levate contro i
rappresentanti studenteschi di Student Office (Comunione e Liberazione)
e Azione Universitaria (AN). Subito dopo, un corteo spontaneo di un
migliaio di studenti ha portato la protesta nelle strade del centro
fino alla facoltà di Scienze Politiche in autogestione, dove
campeggiava lo striscione «Tremonti Gelmini Brunetta – non sapete
l'autunno che v'aspetta». Anche qui le provocazioni non sono
mancate: la Digos, presente in forze, ha mostrato un certo nervosismo
sia durante l'assemblea che in corteo (in Aula magna non si è
fatta scrupolo di entrare, controllare, origliare: come se la presenza
della polizia all'università fosse normale); e a Scienze
Politiche un infiltrato, forse un poliziotto, ha divelto un lavandino
nei bagni e si è allontanato.
Intanto, dopo la grande manifestazione del 17, a Bologna si discute la
possibilità di un corteo trasversale per il 30 ottobre, "dalla
materna all'università", in modo da raccogliere tutti i diversi
soggetti che animano la protesta. Resta il fatto che la forza di questo
movimento risiede nella sua diffusione sul territorio, nella sua
capacità di contagio, nella sua imprevedibilità, nella
sua voglia di autonomia dalle decrepite istituzioni che pretendono di
governarci.
E che il clima a Bologna sia cambiato lo dimostra anche una singolare
manifestazione che si prepara per lunedì 27: contro la chiusura
anticipata del bar Aldrovandi, noto ritrovo studentesco coinvolto dal
"coprifuoco" di Cofferati. Alle 18 il corteo – che si annuncia assai
partecipato – partirà da Piazza Aldrovandi per arrivare sotto le
finestre di Palazzo d'Accursio, in contemporanea alla seduta del
Consiglio comunale.
Redb
Nel capoluogo romagnolo la protesta degli studenti contro la riforma
Gelmini è cominciata sabato 11 ottobre, in occasione
dell'inaugurazione di un nuovo polo scolastico a cui avrebbe dovuto
partecipare il ministro stesso. Lei non si è vista (stesso
forfait dell'ultimo minuto accaduto a Pisa, due giorni prima), ma gli
studenti delle scuole superiori hanno ugualmente trovato il momento
giusto per unirsi ed avviare il dibattito sulla protesta che ha portato
alle attuali occupazioni in quasi tutti gli istituti. Poco tempo dopo,
venerdì 17 ottobre, una manifestazione assembleare studentesca
con più di 300 presenze, svolta nella centrale Piazza del
Popolo, ha contribuito ulteriormente all'aggregazione dei giovani
che nel giro di pochi giorni hanno iniziato congiuntamente il loro
percorso di lotta: lunedì 20 ottobre il liceo artistico e
l'istituto per il mosaico hanno occupato, seguiti il giorno dopo dal
classico e dallo scientifico. Il giorno seguente, mercoledì 22,
anche gli studenti di ragioneria e dell'istituto Olivetti hanno scelto
di occupare, mentre giovedì 23 è stato il turno della
scuola professionale Callegari e dei geometri. Sabato 25 invece, un
lungo corteo partito dal liceo classico è terminato davanti
all'istituto tecnico industriale per occupare anche quella sede.
A Ravenna non si vedeva un movimento studentesco di queste proporzioni
da lungo tempo, non solo per il numero delle scuole coinvolte, ma anche
nell'organizzazione e nella partecipazione: ogni giorno centinaia di
giovani sono presenti alle iniziative autogestite che si svolgono nei
locali delle scuole (si sono affrontati dibattiti, tra l'altro, sui G8,
sul '68 e sul razzismo) ed un collettivo spontaneo composto dai membri
di ogni scuola si riunisce quotidianamente. Inoltre, in diversi
istituti è allestita un "aula d'informazione" dove trovare
giornali e materiali vari sulla riforma e sul nuovo movimento
studentesco in formazione. Negli ultimi giorni si anche assistito ad un
avvicinamento tra questi studenti e quelli dell'Accademia delle Belle
Arti, anch'essa occupata da circa una settimana per evitarne la
chiusura decisa dal Comune di Ravenna.
Da notare purtroppo anche l'interessamento dei soliti sciacalli di PD e
PDL, che a più riprese stanno tentando di entrare nelle scuole e
nelle teste di questi giovani: sabato 25 un banchetto di Forza Italia
davanti al Liceo Classico, carico di bandiere e provocazioni, è
terminato a schiaffi.
Luca
La mobilitazione a Milano ha faticato a decollare ma adesso sembra
aver preso la piega giusta. I primi a muoversi sono stati gli studenti
della Statale irrompendo durante una seduta del senato accademico per
chiedere che il rettore Decleva (presidente dell'assemblea dei rettori
d'Italia) prendesse una posizione chiara e netta sui tagli e sulla
riforma. Molto partecipata la manifestazione del 17 ottobre (almeno
10000 fra studenti medi ed universitari) hanno sfilato per ore per le
vie di Milano e occupando in serata la facoltà di scienze
politiche. Sempre gli studenti della Statale, dopo gli stati generali
d'ateneo tenutisi il 21 ottobre, sono scesi in corteo spontaneo con
più di 2000 partecipanti, arrivando fino in alla stazione di
Cadorna nel tentativo di bloccare i binari; lì la risposta
dello Stato non si è fatta attendere con tre compagni che sono
dovuti ricorrere alle cure mediche. Gli altri atenei milanesi pubblici,
Politecnico e Bicocca, dove prima della manifestazione non erano
presenti collettivi studenteschi ma solo liste di rappresentanza, si
stanno iniziando a muovere proprio in questi giorni: positivo il fatto
che in entrambi gli atenei i rappresentanti degli studenti sono stati
messi in minoranza dagli studenti che si stanno autorganizzando e che
stanno creando collettivi autogestiti ed autonomi dalle
rappresentanze.Sono state recepite molto positivamente dalla
cittadinanza, come dagli studenti e da tutte le altre categorie
scolastiche, le lezioni tenute in piazza Duomo (altre si stanno
organizzando in stazione Centrale) che sono state un bel momento per
vivere la cultura al di fuori dei luoghi dove normalmente è
segregata. Più modesta la partecipazione delle scuole superiori,
anche se per la manifestazione del 30 si prevede una massiccia
presenza, anche degli insegnanti, e molte occupazioni ed autogestioni
sono in fase di organizzazione. La sfida più interessante in
questo momento (recepita per ora solo da una piccola minoranza)
è quella di non circoscrivere la mobilitazione solamente sulla
singola questione di questa riforma, ma di spostare il dibattito dal
"siamo contro questa riforma" al "siamo contro questo modello di
istruzione" (e magari anche contro questo modello di società).
Insomma il lavoro da fare è ancora tanto, ma il momento è
eccellente e tutto fa presagire che ci sarà spazio anche per
fare qualcosa di costruttivo oltre a pronunciare i vari "contro". Anche
per questo con vari compagni studenti abbiamo deciso di costituire un
collettivo anarchico che faccia sentire la voce e le proposte
libertarie all'interno del movimento studentesco (e non solo).
F. Sala