Umanità Nova, n.35 del novembre 2008, anno 88

Buchi nell'acqua


L'articolo 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) della legge n. 133 presentata dal governo e votata all'unanimità dal parlamento lo scorso 6 agosto ha di fatto spianato la via per la privatizzazione dell'acqua; ha sancito infatti il carattere economico di tutti i servizi pubblici, compreso quello idrico, costringendo i comuni, le province, gli ATO (Ambito Territoriale Ottimale) a privatizzare entro il 31 dicembre 2010 tutti i servizi pubblici locali, acqua compresa. Questi non saranno più gestiti – come avviene ora, anche se solo in parte – dagli enti locali, ma da Società per Azioni (Acea, Iride, Hera etc.), da multinazionali (Suez, Veolia etc.) e da banche spalancando di fatto la porta alla finanziarizzazione del settore. Il caso dell'acqua, per il suo essere fattore fondamentale di vita, è quello che più salta agli occhi, ma il disegno è più ampio e mira alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici.
Un tale disegno non è certo un fulmine a ciel sereno e, in un'ottica rigorosamente simmetrica, il disegno di legge Lanzillotta (allora ministro degli Affari Regionali, ora "ministro ombra" della Pubblica Amministrazione per il PD) del precedente governo Prodi aveva chiaramente fatto intendere la propria volontà: i servizi pubblici, anche quelli essenziali come l'acqua, non potevano esimersi dalla logica di mercato e dovevano essere quindi gestiti da privati. In generale già da anni le ex municipalizzate sono state sostituite o affiancate da privati. Segnale di queste dinamiche è l'aumento vertiginoso delle tariffe dei servizi idrici, cosa di cui chiunque si sarà reso conto negli ultimi anni. E non a caso: infatti il meccanismo di funzionamento è quello sancito dalla legge Galli del 1994 che ha come principio essenziale il full cost recovery (recupero completo del costo), secondo cui tutte le spese del servizio devono essere "recuperate" dalle bollette. Tale sistema esclude ogni ruolo alla fiscalità generale ed è un evidente attacco ai redditi medio- bassi; inoltre apre la via all'ingresso dei privati, lasciando quindi campo libero alla speculazione.
Ora, la legge d'agosto recepisce e accelera tali direttive, secondo una logica che è sempre più evidente in questo come in molti altri settori: privatizzare i profitti – in questo caso attraverso la rapina dei beni comuni - e socializzare le perdite. Quando paghiamo le bollette non è tanto per assicurarci l'acqua dal rubinetto (che arriva comunque poco e male; le infrastrutture in pessimo stato ne perdono per strada più di un terzo)  ma per garantire un profitto senza il quale le aziende private non entrerebbero mai nella gestione del servizio.
Alcuni movimenti, in Italia come all'estero, stanno da tempo cercando di opporsi a tutto questo. Vertenze e lotte locali hanno trovato una prima rappresentazione unitaria nel forum tenutosi a Roma nel marzo 2006 e successivamente nella raccolta di firme (oltre 400mila) a sostegno di una legge di iniziativa popolare in difesa del servizio pubblico consegnata al parlamento e che aveva ottenuto una moratoria al ddl Lanzillotta (febbraio 2007). Dopo una manifestazione nazionale nel dicembre 2007, sempre a Roma, alcuni movimenti in difesa dell'acqua si sono dati come appuntamento un nuovo forum ad Aprila, il 22 e 23 novembre  prossimi. Tali movimenti – che rappresentano solo una parte di quel che viene portato avanti sul territorio in difesa dell'acqua - continuano a criticare il lato neoliberista delle "riforme", ma mai si interrogano sul concetto di pubblico, che è sempre esclusivamente quello di pubblico statale. Intento del prossimo forum è quello di riprendere la lotta, ricollegando le vertenze in atto con l'obiettivo del ritorno al pubblico (statale), della gratuità del minimo, della disincentivazione degli sprechi. Il forum italiano dei movimenti per l'acqua paga però un'evidente logica statalista e riformista. La contestazione locale delle tariffe rimane un valido strumento di lotta: fondamentale è inoltre sì allargare la conoscenza sul problema e collegare le lotte, ma smontando da una parte ogni speranza nell'intervento istituzionale e favorendo dall'altra un presa in carico personale della questione, più diffusa possibile.
Istanze e movimenti contro la privatizzazione dell'acqua sono presenti in tutto il mondo, dove si conta che ci sia più di un miliardo di persone senza acqua potabile – circa 1/6 della popolazione; a fronte della crescita demografica la risorsa è destinata a diventare sempre più scarsa. C'è chi per risolvere il problema affida le proprie speranza esclusivamente alla tecnologia, in particolare, alla desalinizzazione dell'acqua marina i cui costi stanno progressivamente calando. Al di là del catastrofismo e dell'irrazionalismo che caratterizza alcuni settori del movimento anarchico (soprattutto in Nord America), è evidente che la tecnologia può, almeno in parte, alleviare il problema. Ma questo deve andare di pari passo con una presa di coscienza individuale e collettiva e con la reale possibilità di incidere nelle decisioni: come utilizzare la tecnologia e con quale scopo. "Risolvere" la questione dell'acqua implica mettere in discussione tutto il sistema di organizzazione delle risorse idriche e la logica del profitto che la permea, radere al suolo la piramide gerarchica e avere potere decisionale sull'utilizzo della risorsa, così come sulla tecnologia - da quella "di base", come la depurazione, a quelle complesse, come la desalinizzazione.
Questo può avvenire solo agendo in prima persona su una dimensione locale, ma con una prospettiva globale, facendo informazione, boicottando le bollette, preservando le risorse naturali dagli sprechi e contro tutti gli speculatori, prefigurando una nuova gestione dell'intero ciclo idrico, con i piedi sulla terra e lo sguardo al mondo.

A. Nencini

 

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