L'articolo 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica)
della legge n. 133 presentata dal governo e votata all'unanimità
dal parlamento lo scorso 6 agosto ha di fatto spianato la via per la
privatizzazione dell'acqua; ha sancito infatti il carattere economico
di tutti i servizi pubblici, compreso quello idrico, costringendo i
comuni, le province, gli ATO (Ambito Territoriale Ottimale) a
privatizzare entro il 31 dicembre 2010 tutti i servizi pubblici locali,
acqua compresa. Questi non saranno più gestiti – come avviene
ora, anche se solo in parte – dagli enti locali, ma da Società
per Azioni (Acea, Iride, Hera etc.), da multinazionali (Suez, Veolia
etc.) e da banche spalancando di fatto la porta alla finanziarizzazione
del settore. Il caso dell'acqua, per il suo essere fattore fondamentale
di vita, è quello che più salta agli occhi, ma il disegno
è più ampio e mira alla privatizzazione di tutti i
servizi pubblici.
Un tale disegno non è certo un fulmine a ciel sereno e, in
un'ottica rigorosamente simmetrica, il disegno di legge Lanzillotta
(allora ministro degli Affari Regionali, ora "ministro ombra" della
Pubblica Amministrazione per il PD) del precedente governo Prodi aveva
chiaramente fatto intendere la propria volontà: i servizi
pubblici, anche quelli essenziali come l'acqua, non potevano esimersi
dalla logica di mercato e dovevano essere quindi gestiti da privati. In
generale già da anni le ex municipalizzate sono state sostituite
o affiancate da privati. Segnale di queste dinamiche è l'aumento
vertiginoso delle tariffe dei servizi idrici, cosa di cui chiunque si
sarà reso conto negli ultimi anni. E non a caso: infatti il
meccanismo di funzionamento è quello sancito dalla legge Galli
del 1994 che ha come principio essenziale il full cost recovery
(recupero completo del costo), secondo cui tutte le spese del servizio
devono essere "recuperate" dalle bollette. Tale sistema esclude ogni
ruolo alla fiscalità generale ed è un evidente attacco ai
redditi medio- bassi; inoltre apre la via all'ingresso dei privati,
lasciando quindi campo libero alla speculazione.
Ora, la legge d'agosto recepisce e accelera tali direttive, secondo una
logica che è sempre più evidente in questo come in molti
altri settori: privatizzare i profitti – in questo caso attraverso la
rapina dei beni comuni - e socializzare le perdite. Quando paghiamo le
bollette non è tanto per assicurarci l'acqua dal rubinetto (che
arriva comunque poco e male; le infrastrutture in pessimo stato ne
perdono per strada più di un terzo) ma per garantire un
profitto senza il quale le aziende private non entrerebbero mai nella
gestione del servizio.
Alcuni movimenti, in Italia come all'estero, stanno da tempo cercando
di opporsi a tutto questo. Vertenze e lotte locali hanno trovato una
prima rappresentazione unitaria nel forum tenutosi a Roma nel marzo
2006 e successivamente nella raccolta di firme (oltre 400mila) a
sostegno di una legge di iniziativa popolare in difesa del servizio
pubblico consegnata al parlamento e che aveva ottenuto una moratoria al
ddl Lanzillotta (febbraio 2007). Dopo una manifestazione nazionale nel
dicembre 2007, sempre a Roma, alcuni movimenti in difesa dell'acqua si
sono dati come appuntamento un nuovo forum ad Aprila, il 22 e 23
novembre prossimi. Tali movimenti – che rappresentano solo una
parte di quel che viene portato avanti sul territorio in difesa
dell'acqua - continuano a criticare il lato neoliberista delle
"riforme", ma mai si interrogano sul concetto di pubblico, che è
sempre esclusivamente quello di pubblico statale. Intento del prossimo
forum è quello di riprendere la lotta, ricollegando le vertenze
in atto con l'obiettivo del ritorno al pubblico (statale), della
gratuità del minimo, della disincentivazione degli sprechi. Il
forum italiano dei movimenti per l'acqua paga però un'evidente
logica statalista e riformista. La contestazione locale delle tariffe
rimane un valido strumento di lotta: fondamentale è inoltre
sì allargare la conoscenza sul problema e collegare le lotte, ma
smontando da una parte ogni speranza nell'intervento istituzionale e
favorendo dall'altra un presa in carico personale della questione,
più diffusa possibile.
Istanze e movimenti contro la privatizzazione dell'acqua sono presenti
in tutto il mondo, dove si conta che ci sia più di un miliardo
di persone senza acqua potabile – circa 1/6 della popolazione; a fronte
della crescita demografica la risorsa è destinata a diventare
sempre più scarsa. C'è chi per risolvere il problema
affida le proprie speranza esclusivamente alla tecnologia, in
particolare, alla desalinizzazione dell'acqua marina i cui costi stanno
progressivamente calando. Al di là del catastrofismo e
dell'irrazionalismo che caratterizza alcuni settori del movimento
anarchico (soprattutto in Nord America), è evidente che la
tecnologia può, almeno in parte, alleviare il problema. Ma
questo deve andare di pari passo con una presa di coscienza individuale
e collettiva e con la reale possibilità di incidere nelle
decisioni: come utilizzare la tecnologia e con quale scopo. "Risolvere"
la questione dell'acqua implica mettere in discussione tutto il sistema
di organizzazione delle risorse idriche e la logica del profitto che la
permea, radere al suolo la piramide gerarchica e avere potere
decisionale sull'utilizzo della risorsa, così come sulla
tecnologia - da quella "di base", come la depurazione, a quelle
complesse, come la desalinizzazione.
Questo può avvenire solo agendo in prima persona su una
dimensione locale, ma con una prospettiva globale, facendo
informazione, boicottando le bollette, preservando le risorse naturali
dagli sprechi e contro tutti gli speculatori, prefigurando una nuova
gestione dell'intero ciclo idrico, con i piedi sulla terra e lo sguardo
al mondo.
A. Nencini