Umanità Nova, n.36 del 9 novembre 2008, anno 88

La scuola è di chi l'abita


La scuola sta vivendo uno straordinario momento di mobilitazione. Per l'intero mese di ottobre si sono susseguiti scioperi, manifestazioni, occupazioni, notti bianche, lezioni all'aperto, momenti di autogestione e altre varie forme di lotta messe in atto dai vari settori che nella scuola vivono e che hanno determinato una notevole crescita dell'opposizione sociale. Sul fronte sindacale ci sono stati tre scioperi: il 3 ottobre quello di Unicobas, il 17 quello di Cub, Cobas e Sdl, il 30 quello di Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda e, con piattaforma e indizione automa, ancora di Unicobas. Ogni sigla ha rivendicato la bontà e l'opportunità della data prescelta, ma è evidente che i sindacati maggiori si siano dovuti muovere perché premuti dalle due precedenti scadenze dei sindacati di base, che stavano catalizzando le lotte dei lavoratori. Lo sciopero del 30 ottobre, prudentemente indetto in una data ormai inutile per bloccare la trasformazione in legge del decreto Gelmini, non ha tuttavia rappresentato, come qualcuno riteneva, la valvola di sfogo inoffensiva di una base putiferante. Va fatta una distinzione seria, infatti, tra la responsabilità di chi ha scelto una data di sciopero che doveva essere volutamente depotenziante e una massa enorme di lavoratori e studenti che hanno usato quella come altre date per tenere alto il livello di mobilitazione, indipendentemente da ciò che il Senato aveva votato il giorno prima. Le alchimie dei sindacati di stato sono state così completamente superate dagli eventi; il 30 ottobre è venuto a collocarsi nel momento più caldo della lotta, nel giorno immediatamente successivo all'approvazione del decreto in senato e agli scontri di Roma e Milano. Quella che doveva essere una giornata di lutto (si pensi alla lugubre fiaccolata proposta dai Cobas per il 29, giorno di approvazione del decreto), si è trasformata in una straordinaria giornata di lotta in grado di rilanciare la mobilitazione sopravanzando chi, vittima della logica dei numeri e delle dinamiche parlamentari, riteneva esaurita una fase. Incuranti degli schieramenti sindacali, molti lavoratori hanno sostenuto due-tre scioperi nel mese di ottobre e moltissimi studenti hanno riaffermato la loro presenza in piazza. La mobilitazione progressivamente cresciuta non ha dato segno di esaurirsi con l'approvazione del decreto; immediatamente, i partiti politici dell'opposizione e i sindacati di stato hanno cercato di far rientrare le proteste spostando l'obiettivo sul referendum, che dovrebbe rappresentare la soluzione democratica e il sonnifero di ogni lotta. Ora più che mai devono essere chiare le responsabilità politiche di chi, dopo aver tentato inutilmente di congelare la protesta, vuole limitare le potenzialità enormi di una mobilitazione così estesa, individuando un obiettivo perdente come il referendum, limitato nei contenuti, lontano nel tempo e soggetto ai soliti meccanismi di decisione elettorale che per i lavoratori si sono sempre rivelati fallimentari. Proprio ora occorre rilanciare; gli obiettivi praticabili sono ancora molti. Innanzitutto c'è la legge finanziaria: i tagli su scuola e università contenuti nella legge 133 (che è altra cosa dal decreto Gelmini) sono stati già approvati da tempo con la manovra estiva, ma devono confluire nella legge finanziaria da varare entro il 31 dicembre. Ci saranno poi i decreti attuativi della manovra finanziaria (definizione del numero di alunni per classe, definizione degli organici per il personale, definizione delle quote per le immissioni in ruolo), che rappresenteranno un ulteriore momento di intervento. C'è tutta la questione della meritocrazia, sulla quale il governo vuole investire il 30% dei tagli, con l'approvazione dei sindacati concertativi. Nell'ultimo decennio infatti i sindacati di stato hanno sempre sostenuto la differenziazione salariale in base alla selezione per merito: su questo elemento discriminante rispetto a chi si batte per la parità salariale devono emergere le contraddizioni. E' chiaro che chi vuole premiare il merito non può realmente opporsi ad una manovra che finalizza una consistente parte di tagli proprio a remunerare il merito; ed è altrettanto chiaro che i meccanismi di selezione graditi dai confederali potrebbero anche rivelarsi funzionali all'individuazione del maestro unico. C'è inoltre tutta l'applicazione del pacchetto Gelmini, su cui condurre azioni di boicottaggio nella gestione quotidiana della didattica e nell'esercizio della funzione docente. C'è il blocco, già proclamato, delle attività aggiuntive. C'è poi l'enorme partita, tutta ancora da giocare, legata all'attuazione, per la scuola superiore, della riforma Moratti, che, solo sospesa e non cancellata dal governo precedente, verrà attuata a partire dal prossimo anno scolastico: una questione alla quale porre la massima attenzione, visto che la riforma Moratti si era arrestata in una fase non ben definita,in cui emergevano interessi vari di imprese, settori confindustriali ed enti locali, con diretto interesse di molte amministrazioni regionali e quindi anche di ampi settori del centro sinistra.
E c'è poi la partita aperta sull'Università. Sono tutti terreni che vanno giocati ora e subito, smascherando chi vuole appiattire sull'obiettivo del referendum il grande potenziale di lotte che questa stagione ha fatto emergere tra i lavoratori e tra gli studenti. Il decreto Gelmini è stato approvato dal senato, ma alcune cose sono state acquisite all'esperienza e alla coscienza collettiva. I lavoratori e la grande massa di giovani che sono scesi in lotta hanno capito che c'è uno scollamento totale tra la mobilitazione di massa e l'apparato istituzionale; hanno capito che l'opposizione sociale non ha bisogno di essere convogliata nella rappresentanza dei partiti; hanno capito che la polizia è repressione; hanno capito che il tricolore avvolge le spranghe dei fascisti; hanno capito che dopo le provocazioni e gli scontri la piazza non diventa un deserto, ma si riempe ancora di più. Lo striscione che a Livorno campeggiava in una imponente manifestazione studentesca di qualche giorno fa mostrava anche che qualcuno aveva superato annosi e defatiganti dibattiti sulla scuola e la pedagogia (statale? Pubblica? Libertaria?) su cui spesso come anarchici ci siamo intrattenuti, giungendo ad una limpida e felice sintesi: "La scuola è di chi l'abita – è un vile chi lo ignora"

Patrizia
 

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