La scuola sta vivendo uno straordinario momento di mobilitazione.
Per l'intero mese di ottobre si sono susseguiti scioperi,
manifestazioni, occupazioni, notti bianche, lezioni all'aperto, momenti
di autogestione e altre varie forme di lotta messe in atto dai vari
settori che nella scuola vivono e che hanno determinato una notevole
crescita dell'opposizione sociale. Sul fronte sindacale ci sono stati
tre scioperi: il 3 ottobre quello di Unicobas, il 17 quello di Cub,
Cobas e Sdl, il 30 quello di Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda e, con
piattaforma e indizione automa, ancora di Unicobas. Ogni sigla ha
rivendicato la bontà e l'opportunità della data
prescelta, ma è evidente che i sindacati maggiori si siano
dovuti muovere perché premuti dalle due precedenti scadenze dei
sindacati di base, che stavano catalizzando le lotte dei lavoratori. Lo
sciopero del 30 ottobre, prudentemente indetto in una data ormai
inutile per bloccare la trasformazione in legge del decreto Gelmini,
non ha tuttavia rappresentato, come qualcuno riteneva, la valvola di
sfogo inoffensiva di una base putiferante. Va fatta una distinzione
seria, infatti, tra la responsabilità di chi ha scelto una data
di sciopero che doveva essere volutamente depotenziante e una massa
enorme di lavoratori e studenti che hanno usato quella come altre date
per tenere alto il livello di mobilitazione, indipendentemente da
ciò che il Senato aveva votato il giorno prima. Le alchimie dei
sindacati di stato sono state così completamente superate dagli
eventi; il 30 ottobre è venuto a collocarsi nel momento
più caldo della lotta, nel giorno immediatamente successivo
all'approvazione del decreto in senato e agli scontri di Roma e Milano.
Quella che doveva essere una giornata di lutto (si pensi alla lugubre
fiaccolata proposta dai Cobas per il 29, giorno di approvazione del
decreto), si è trasformata in una straordinaria giornata di
lotta in grado di rilanciare la mobilitazione sopravanzando chi,
vittima della logica dei numeri e delle dinamiche parlamentari,
riteneva esaurita una fase. Incuranti degli schieramenti sindacali,
molti lavoratori hanno sostenuto due-tre scioperi nel mese di ottobre e
moltissimi studenti hanno riaffermato la loro presenza in piazza. La
mobilitazione progressivamente cresciuta non ha dato segno di esaurirsi
con l'approvazione del decreto; immediatamente, i partiti politici
dell'opposizione e i sindacati di stato hanno cercato di far rientrare
le proteste spostando l'obiettivo sul referendum, che dovrebbe
rappresentare la soluzione democratica e il sonnifero di ogni lotta.
Ora più che mai devono essere chiare le responsabilità
politiche di chi, dopo aver tentato inutilmente di congelare la
protesta, vuole limitare le potenzialità enormi di una
mobilitazione così estesa, individuando un obiettivo perdente
come il referendum, limitato nei contenuti, lontano nel tempo e
soggetto ai soliti meccanismi di decisione elettorale che per i
lavoratori si sono sempre rivelati fallimentari. Proprio ora occorre
rilanciare; gli obiettivi praticabili sono ancora molti. Innanzitutto
c'è la legge finanziaria: i tagli su scuola e università
contenuti nella legge 133 (che è altra cosa dal decreto Gelmini)
sono stati già approvati da tempo con la manovra estiva, ma
devono confluire nella legge finanziaria da varare entro il 31
dicembre. Ci saranno poi i decreti attuativi della manovra finanziaria
(definizione del numero di alunni per classe, definizione degli
organici per il personale, definizione delle quote per le immissioni in
ruolo), che rappresenteranno un ulteriore momento di intervento.
C'è tutta la questione della meritocrazia, sulla quale il
governo vuole investire il 30% dei tagli, con l'approvazione dei
sindacati concertativi. Nell'ultimo decennio infatti i sindacati di
stato hanno sempre sostenuto la differenziazione salariale in base alla
selezione per merito: su questo elemento discriminante rispetto a chi
si batte per la parità salariale devono emergere le
contraddizioni. E' chiaro che chi vuole premiare il merito non
può realmente opporsi ad una manovra che finalizza una
consistente parte di tagli proprio a remunerare il merito; ed è
altrettanto chiaro che i meccanismi di selezione graditi dai
confederali potrebbero anche rivelarsi funzionali all'individuazione
del maestro unico. C'è inoltre tutta l'applicazione del
pacchetto Gelmini, su cui condurre azioni di boicottaggio nella
gestione quotidiana della didattica e nell'esercizio della funzione
docente. C'è il blocco, già proclamato, delle
attività aggiuntive. C'è poi l'enorme partita, tutta
ancora da giocare, legata all'attuazione, per la scuola superiore,
della riforma Moratti, che, solo sospesa e non cancellata dal governo
precedente, verrà attuata a partire dal prossimo anno
scolastico: una questione alla quale porre la massima attenzione, visto
che la riforma Moratti si era arrestata in una fase non ben definita,in
cui emergevano interessi vari di imprese, settori confindustriali ed
enti locali, con diretto interesse di molte amministrazioni regionali e
quindi anche di ampi settori del centro sinistra.
E c'è poi la partita aperta sull'Università. Sono tutti
terreni che vanno giocati ora e subito, smascherando chi vuole
appiattire sull'obiettivo del referendum il grande potenziale di lotte
che questa stagione ha fatto emergere tra i lavoratori e tra gli
studenti. Il decreto Gelmini è stato approvato dal senato, ma
alcune cose sono state acquisite all'esperienza e alla coscienza
collettiva. I lavoratori e la grande massa di giovani che sono scesi in
lotta hanno capito che c'è uno scollamento totale tra la
mobilitazione di massa e l'apparato istituzionale; hanno capito che
l'opposizione sociale non ha bisogno di essere convogliata nella
rappresentanza dei partiti; hanno capito che la polizia è
repressione; hanno capito che il tricolore avvolge le spranghe dei
fascisti; hanno capito che dopo le provocazioni e gli scontri la piazza
non diventa un deserto, ma si riempe ancora di più. Lo
striscione che a Livorno campeggiava in una imponente manifestazione
studentesca di qualche giorno fa mostrava anche che qualcuno aveva
superato annosi e defatiganti dibattiti sulla scuola e la pedagogia
(statale? Pubblica? Libertaria?) su cui spesso come anarchici ci siamo
intrattenuti, giungendo ad una limpida e felice sintesi: "La scuola
è di chi l'abita – è un vile chi lo ignora"
Patrizia