Umanità Nova, n.36 del 9 novembre 2008, anno 88

Dove va il sindacalismo di base? (e gli anarchici?)


Ampio spazio ha avuto su UN lo sciopero indetto da alcuni sindacati di base. La posizione espressa dalla grande maggioranza degli articoli è stata di condivisione dello stesso, sia nel merito che nel metodo, argomentando che quello sciopero avrebbe misurato tout-court la capacità di iniziativa dell'opposizione sociale, e liquidando un po' frettolosamente le eventuali critiche ai vertici di questi sindacati per la scelta di concentrare le manifestazioni;(1) nessun riferimento invece in questi articoli alle critiche sui metodi stessi d'indizione dello sciopero.
In posizione invero più defilata è apparso anche un breve articolo volontariamente inviato dallo scrivente (altrimenti non sarebbe apparso nulla) che spiegava le ragioni del sofferto dissenso dell'USI, partendo da presupposti libertari, rispetto a questo sciopero.
Che quello sciopero assumesse ora il ruolo d'indiscutibile cartina di tornasole dello stato d'opposizione sociale è affermazione legittima ma un po' troppo autocentrica, assolutistica ed enfatica: a memoria, ogni sciopero indetto, com'è ovvio, è stato in quel momento "fondamentale", così com'è vero che la lotta non si ferma il 17 ottobre. Allo stesso tempo, per dei libertari da sempre la "forma" è importante come la "sostanza" e quindi la critica alle modalità e alle pratiche di determinati "vertici" (se motivate) dovrebbero necessariamente assumere un'importanza centrale.
Ciò detto, alcune riflessioni vanno fatte. Nato nei primi anni '90 come alterità ai sindacati confederali, criticati per metodi ritenuti verticistici (da qui la definizione "di base") e per il progressivo abbandono della lotta propriamente detta, in cambio di acquisizione dalla controparte (padroni e stato) di fette sempre maggiori di potere (e quindi di quattrini), attualmente il sindacalismo di base sta mutando.
A causa anche della nuova legge sulla rappresentanza sindacale (delle tante, invero, ora chissà perché questa è ritenuta dirimente...), che obbligherebbe i sindacati minori ad accorparsi per vedersi riconosciuta l'agibilità sindacale, alcuni sindacati di base (RDB-CUB, Conf. Cobas, SDL) stanno sondando da mesi le possibilità di fusione, giustificando il percorso ora come momento fortemente voluto dalle rispettive basi (e può starci) ora come necessità (idem), anche se in realtà le dichiarazioni di esponenti dei vertici di queste organizzazioni sono un po' più frenanti, forse perché - senza offendere nessuno - se ciò avvenisse, significherebbe perdere ruolo, distacchi, diritti (laddove erano in tre, gioco forza diventerebbe uno, ecc.). E che in talune sigle si sia creata una piccola elite sindacale, è assodato, con segretari in carica da decenni, con direttivi pressoché immutabili, ecc.: questo dovrebbe restare elemento di forte criticità per i libertari, che non possono essere "portatori di un mondo diverso" a...giorni alterni!
Ciò nulla toglie ai palesi limiti e alle innegabili difficoltà che sigle di più marcato orientamento libertario evidenziano, spesso proprio in virtù di un tentativo di (minima, ma significativa) coerenza; e se mai un giorno (speriamo lontano) dovesse sparire ogni riferimento sindacale specifico libertario, stritolato dal "realismo dei grandi", forse quello non sarebbe un momento radioso per le nostre idee... Il rischio (fondato) è che il peso della cultura libertaria all'interno di talune sigle sia pressoché nullo, come del resto evidenzierebbero le inutili, anche se generose, rimostranze di singoli militanti negli ultimi tempi (indizione sciopero 2007, assemblea "di base"maggio 2008, sciopero 2008, ecc.), volte a chiedere più rispetto verso l'USI.
Resta grave, credo, dal punto di vista libertario, il silenzio/assenso di tanti anarchici rispetto all'ultimo sciopero, nel quale unilateralmente si è forzata la mano, escludendo a prescindere dalla consultazione le componenti per diversi motivi non omogenee a questo processo di fusione (Slai, USI-AIT, Unicobas), ignorando le argomentazioni di chi segnalava come tale indizione rappresentasse sia il più evidente smacco della nostra cultura, pratica e idealità - aldilà dell'individuale sigla di appartenenza - sia una scelta puramente verticistica (dubito che la base sindacale abbia condiviso - se mai lo ha saputo...- questa esclusione).
Il timore è che lo spazio reale di agibilità per gli anarchici all'interno di talune organizzazioni sia sempre più ridotto, con buona pace degli aderenti della prima ora.
Oggigiorno l'importanza del sindacalismo di base (soprattutto dell'organizzazione maggiore, e senza dubbio per giusto merito, ossia RDB-CUB) sta relativamente aumentando, in conseguenza del sempre più evidente calo del consenso confederale. Vediamo anche che questa crescita si accompagna, forse fisiologicamente, a un aumento più quantitativo che qualitativo, assumendo sempre più come centrale l'adempimento di servizi e del meccanismo della delega. Se ciò è sacrosanto (chi scrive non ha mai creduto che i lavoratori non dovessero, per purezza ideologica, poter usufruire anche di qualificati servizi dai propri sindacati), ugualmente va ribadito che non può essere questa la peculiarità del sindacato di base; il rischio di assimilarsi sempre più ai confederali, in una gara a divenire la quarta confederazione, è reale
Sta a noi anarchici assumere un atteggiamento meno subalterno e meno eccessivamente pragmatico da "real-politik",  certamente più disincantato e coraggioso, cercando di fare tutto il possibile per scongiurare che il sindacalismo di base si trasformi in qualcosa di così diverso da quello che siamo.

M.Ilari

1 C. Scarinzi, UN, a. 88, n. 33

 

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