Ampio spazio ha avuto su UN lo sciopero indetto da alcuni sindacati
di base. La posizione espressa dalla grande maggioranza degli articoli
è stata di condivisione dello stesso, sia nel merito che nel
metodo, argomentando che quello sciopero avrebbe misurato tout-court la
capacità di iniziativa dell'opposizione sociale, e liquidando un
po' frettolosamente le eventuali critiche ai vertici di questi
sindacati per la scelta di concentrare le manifestazioni;(1) nessun
riferimento invece in questi articoli alle critiche sui metodi stessi
d'indizione dello sciopero.
In posizione invero più defilata è apparso anche un breve
articolo volontariamente inviato dallo scrivente (altrimenti non
sarebbe apparso nulla) che spiegava le ragioni del sofferto dissenso
dell'USI, partendo da presupposti libertari, rispetto a questo
sciopero.
Che quello sciopero assumesse ora il ruolo d'indiscutibile cartina di
tornasole dello stato d'opposizione sociale è affermazione
legittima ma un po' troppo autocentrica, assolutistica ed enfatica: a
memoria, ogni sciopero indetto, com'è ovvio, è stato in
quel momento "fondamentale", così com'è vero che la lotta
non si ferma il 17 ottobre. Allo stesso tempo, per dei libertari da
sempre la "forma" è importante come la "sostanza" e quindi la
critica alle modalità e alle pratiche di determinati "vertici"
(se motivate) dovrebbero necessariamente assumere un'importanza
centrale.
Ciò detto, alcune riflessioni vanno fatte. Nato nei primi anni
'90 come alterità ai sindacati confederali, criticati per metodi
ritenuti verticistici (da qui la definizione "di base") e per il
progressivo abbandono della lotta propriamente detta, in cambio di
acquisizione dalla controparte (padroni e stato) di fette sempre
maggiori di potere (e quindi di quattrini), attualmente il sindacalismo
di base sta mutando.
A causa anche della nuova legge sulla rappresentanza sindacale (delle
tante, invero, ora chissà perché questa è ritenuta
dirimente...), che obbligherebbe i sindacati minori ad accorparsi per
vedersi riconosciuta l'agibilità sindacale, alcuni sindacati di
base (RDB-CUB, Conf. Cobas, SDL) stanno sondando da mesi le
possibilità di fusione, giustificando il percorso ora come
momento fortemente voluto dalle rispettive basi (e può starci)
ora come necessità (idem), anche se in realtà le
dichiarazioni di esponenti dei vertici di queste organizzazioni sono un
po' più frenanti, forse perché - senza offendere nessuno
- se ciò avvenisse, significherebbe perdere ruolo, distacchi,
diritti (laddove erano in tre, gioco forza diventerebbe uno, ecc.). E
che in talune sigle si sia creata una piccola elite sindacale, è
assodato, con segretari in carica da decenni, con direttivi
pressoché immutabili, ecc.: questo dovrebbe restare elemento di
forte criticità per i libertari, che non possono essere
"portatori di un mondo diverso" a...giorni alterni!
Ciò nulla toglie ai palesi limiti e alle innegabili
difficoltà che sigle di più marcato orientamento
libertario evidenziano, spesso proprio in virtù di un tentativo
di (minima, ma significativa) coerenza; e se mai un giorno (speriamo
lontano) dovesse sparire ogni riferimento sindacale specifico
libertario, stritolato dal "realismo dei grandi", forse quello non
sarebbe un momento radioso per le nostre idee... Il rischio (fondato)
è che il peso della cultura libertaria all'interno di talune
sigle sia pressoché nullo, come del resto evidenzierebbero le
inutili, anche se generose, rimostranze di singoli militanti negli
ultimi tempi (indizione sciopero 2007, assemblea "di base"maggio 2008,
sciopero 2008, ecc.), volte a chiedere più rispetto verso l'USI.
Resta grave, credo, dal punto di vista libertario, il silenzio/assenso
di tanti anarchici rispetto all'ultimo sciopero, nel quale
unilateralmente si è forzata la mano, escludendo a prescindere
dalla consultazione le componenti per diversi motivi non omogenee a
questo processo di fusione (Slai, USI-AIT, Unicobas), ignorando le
argomentazioni di chi segnalava come tale indizione rappresentasse sia
il più evidente smacco della nostra cultura, pratica e
idealità - aldilà dell'individuale sigla di appartenenza
- sia una scelta puramente verticistica (dubito che la base sindacale
abbia condiviso - se mai lo ha saputo...- questa esclusione).
Il timore è che lo spazio reale di agibilità per gli
anarchici all'interno di talune organizzazioni sia sempre più
ridotto, con buona pace degli aderenti della prima ora.
Oggigiorno l'importanza del sindacalismo di base (soprattutto
dell'organizzazione maggiore, e senza dubbio per giusto merito, ossia
RDB-CUB) sta relativamente aumentando, in conseguenza del sempre
più evidente calo del consenso confederale. Vediamo anche che
questa crescita si accompagna, forse fisiologicamente, a un aumento
più quantitativo che qualitativo, assumendo sempre più
come centrale l'adempimento di servizi e del meccanismo della delega.
Se ciò è sacrosanto (chi scrive non ha mai creduto che i
lavoratori non dovessero, per purezza ideologica, poter usufruire anche
di qualificati servizi dai propri sindacati), ugualmente va ribadito
che non può essere questa la peculiarità del sindacato di
base; il rischio di assimilarsi sempre più ai confederali, in
una gara a divenire la quarta confederazione, è reale
Sta a noi anarchici assumere un atteggiamento meno subalterno e meno
eccessivamente pragmatico da "real-politik", certamente
più disincantato e coraggioso, cercando di fare tutto il
possibile per scongiurare che il sindacalismo di base si trasformi in
qualcosa di così diverso da quello che siamo.
M.Ilari
1 C. Scarinzi, UN, a. 88, n. 33