Umanità Nova, n.36 del 9 novembre 2008, anno 88

Profili


Giuseppe Vitali detto Pipetto

Il 24 febbraio 1923 un gruppo di fascisti, a Campiano (RA), bastona due anarchici che stavano cantando. Uno dei fascisti, forse non il solo, per colpire usa una doppietta da caccia impugnandola per le canne. Parte un colpo e lo squadrista, fratello del capo squadraccia, resta ucciso dalla sua stessa arma. Era intento a bastonare Giuseppe Vitali, detto Pipetto, di 27 anni, uno degli/delle otto fratelli e sorelle della famiglia dei "Miràza". Pipetto, con una spalla rotta, viene portato all’ospedale poi tradotto nelle carceri a Ravenna.
Rilasciato, il 19 marzo si incammina verso Campiano con due arance in tasca per i suoi figli; a pochi chilometri da casa forse chiede un passaggio, forse viene solo visto da un delatore con cavallo e carrettino. Viene catturato poco più avanti, a Carraie, costretto e trascinato a ritroso lungo un canale verso Santo Stefano, bastonato e seviziato, tirato su e giù per il canale, finito a forcate: evirato. I suoi testicoli gli vengono infilati nel naso. "La tecnica stessa della esecuzione rievoca gli orrori dei supplizi medioevali", è stato scritto. Resta l’immagine di un compagno, dal viso arioso, il colletto e la lavalliere inamidati, intento a cantare l’Inno a Caserio - contrapposta al vociare scabroso e lugubre dei fascisti: "Sentite come canta ora!" - appagati dall’orrore dei rantoli di una vita martoriata.
 
Marabbo


 

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