Giuseppe Vitali detto Pipetto
Il 24 febbraio 1923 un gruppo di fascisti, a Campiano (RA), bastona due
anarchici che stavano cantando. Uno dei fascisti, forse non il solo,
per colpire usa una doppietta da caccia impugnandola per le canne.
Parte un colpo e lo squadrista, fratello del capo squadraccia, resta
ucciso dalla sua stessa arma. Era intento a bastonare Giuseppe Vitali,
detto Pipetto, di 27 anni, uno degli/delle otto fratelli e sorelle
della famiglia dei "Miràza". Pipetto, con una spalla rotta,
viene portato all’ospedale poi tradotto nelle carceri a Ravenna.
Rilasciato, il 19 marzo si incammina verso Campiano con due arance in
tasca per i suoi figli; a pochi chilometri da casa forse chiede un
passaggio, forse viene solo visto da un delatore con cavallo e
carrettino. Viene catturato poco più avanti, a Carraie,
costretto e trascinato a ritroso lungo un canale verso Santo Stefano,
bastonato e seviziato, tirato su e giù per il canale, finito a
forcate: evirato. I suoi testicoli gli vengono infilati nel naso. "La
tecnica stessa della esecuzione rievoca gli orrori dei supplizi
medioevali", è stato scritto. Resta l’immagine di un compagno,
dal viso arioso, il colletto e la lavalliere inamidati, intento a
cantare l’Inno a Caserio - contrapposta al vociare scabroso e lugubre
dei fascisti: "Sentite come canta ora!" - appagati dall’orrore dei
rantoli di una vita martoriata.
Marabbo