Umanità Nova, n.37 del 16 novembre 2008, anno 88

Come esorcizzare la paura col mitra


Anche a Roma, così come in diverse città d'Italia, sta continuando l'esperimento governativo di militarizzazione e fascistizzazione della società. Le pattuglie miste e presidii stabili sono diventati uno spettacolo ormai noto per gli abitanti: dai luoghi di interesse governativo alle zone periferiche, la loro presenza è sempre visibile e riconoscibile dalle mitraglie tenute sul petto, dalla mimetica o dal camioncino. Non sembra esagerato vedere in questa operazione una vera e propria azione di guerra, innanzitutto mediatica. Il problema d'immagine è sempre stato molto sentito dall'entourage politico ed è quindi da escludere l'involontarietà di far apparire per un anno le città del "Belpaese" come quelle di vari stati sudamericani. L'intenzione si direbbe quella di spingere l'acceleratore sulla paura irrazionale sempre più diffusa in Italia. Un paranoico timore del nulla, a giudicare dalle statistiche sui delitti (in costante diminuzione),  ma che nonostante tutto resta tenace, espresso focosamente da una classe media e che suona ormai come una persistente volontà di erigere a sacro bene le proprietà accumulate e difenderle da chiunque le possa minacciare, politicamente o materialmente parlando.
La rassicurazione che auspica questa minoranza agiata, ma anche elementi delle classi inferiori raccattate con il mito del "selfmademan", quando non direttamente col voto di scambio, è quella dell'iper-controllo, dello Stato onnipresente. Alemanno ha infatti avuto modo di dichiarare, durante la conferenza stampa di bilancio sull'Esercito, che per "fronteggiare l'emergenza sicurezza" verranno installati ulteriori mezzi di ripresa video sulle strade, nonché aumentata la presenza di uomini già massicciamente impiegati.
Una Roma divisa, insomma. I privilegiati sono chiusi nei loro attici centrali, ben contenti di vedere l'ambasciata dove lavorano presidiata (ma i punti di "interesse nazionali" sembrano limitarsi ad ambasciate e discariche).
La popolazione, invece, guarda con giusto sospetto chi mette il naso anche nelle borsette prima di entrare in metro o dà un "supporto" alla Polizia inviso persino alla stessa, come questa ha fatto sapere attraverso i propri organi sindacali. Ma sono per ora in molti a dirsi soddisfatti e a confermare un trend di reazionarietà dalle nostre parti come in tutta Italia: da cosa potrà mai derivare questo masochistico desiderio di vedersi sempre osservato?
Un indizio si potrebbe cercare nella diffidenza per cui nelle città è naturale temere anche il vicino, il più prossimo rappresentante della categoria "sconosciuti" con cui si è abituati a vivere nell'universo frammentato dell'umanità che abita una ormai gigantesca metropoli. Ciò non può che peggiorare se l'unica finestra sul mondo si riduce ad essere lo schermo televisivo con la costante disinformazione e manomissione psicologica che esercita sugli individui ormai persi nella acriticità passiva. In questi agglomerati conoscersi e comunicare sembra sempre più una sfida. Una sfida che va combattuta se si vuole incidere profondamente sulle dinamiche generatrici di questa onnipresente paura.
L'altra guerra che viene combattuta è quella contro il dissenso, di cui i militari sono lo spauracchio ultimo. Diventa di conseguenza simbolico il fatto che il governo li dispieghi fra le strade: dalla metropolitana alla piazza il passo è breve e stabilire un precedente è sicuramente comodo.
Ma dopo le recenti dichiarazioni di Cossiga su infiltrazioni e manganellate, dette da chi sulle piazze ci portò i carri armati, sembra che il clima autoritario che si vuole creare trovi un numero sempre maggiore di oppositori e di dissenzienti.

Gianfranco Stassi


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