Umanità Nova, n.39 del 7 dicembre 2008, anno 88

Ergasolani in sciopero della fame


Ad una lettera di un dignitario di Federico II che gli chiedeva di visitare la Prussia per giudicare i progressi apportati dal suo sovrano, Voltaire rispondeva che per prima cosa avrebbe voluto vederne le carceri, dove si può valutare "lo stato della civiltà di un paese molto più che in un Parlamento o in un'università".
Le carceri, oggi come ai tempi di Voltaire, continuano ad essere luoghi di degrado e sofferenza dove lo Stato applica le vendette (le pene) decise dai suoi tribunali per coloro che hanno osato trasgredire le sue leggi. Per questo i media le carceri preferiscono non farle mai vedere: nelle carceri si continua a morire (di suicidio, ma anche di botte come è successo a Marcello Lonzi e ad Aldo Bianzino) e non lo dice nessuno, mentre centinaia di detenuti gravemente malati (alcuni addirittura allo stadio terminale) si vedono negare le cure mediche di cui avrebbero bisogno e sono costretti ad aspettare la morte rinchiusi nelle loro celle o nelle infermerie delle prigioni. Intanto, la propaganda di regime ad uso e consumo degli onesti cittadini che lavorano, pagano le tasse e rispettano le leggi, preferisce alimentare le leggende urbane che descrivono le galere come luoghi di villeggiatura. Il carcere è il pianeta oscuro che non dobbiamo vedere, l'ultimo atto di quello spettacolo della Vendetta che lo Stato chiama Giustizia. Un tempo c'erano le esecuzioni nelle pubbliche piazze, adesso ci sono i processi in tv e sui giornali, con l'immancabile scena del "pubblico" che in aula alla lettura della sentenza urla di gioia, schernisce e insulta il condannato, gli augura naturalmente di marcire in prigione.
La pena di morte è stata abolita, ma lo Stato continua a vendicarsi. La più atroce di queste vendette è sicuramente l'ergastolo. Del resto il diritto romano assimilava l'ergastolo alla pena capitale, mentre Beccaria nel 1764 definiva l'ergastolo "pena di schiavitù perpetua (…) più dolorosa e crudele della pena di morte in quanto non concentrata in un momento ma estesa sopra tutta la vita". E' difficile stabilire se sia più crudele il patibolo o la galera a vita. Di sicuro, l'ergastolo è una forma di ferocia legalizzata. La Costituzione Italiana dice che "le misure privative della libertà personale sono legittime unicamente nella misura in cui siano funzionali al reinserimento sociale del reo". Non si capisce proprio che possibilità di "reinserimento sociale" possa avere chi è iscritto nei registri carcerari alla voce "fine pena: mai". Condannare una persona all'ergastolo significa semplicemente eliminarla dalla vita sociale. Lo dimostrano tra l'altro le sanzioni accessorie conseguenti de jure all'irrogazione dell'ergastolo: l'interdizione legale – che un giurista ha definito "la privazione dello status di persona in quanto parte di una collettività" - e la pubblicazione della sentenza di condanna non solo nel comune dove è stata pronunciata, ma anche nel luogo dell'ultima residenza del condannato. Molti ergastolani, poi, con l'introduzione dell'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, di legge sono esclusi da tutti gli eventuali benefici (compresi i permessi d'uscita) e questo significa che di fatto non potranno mai uscire dal carcere fino alla morte.
In Italia di abolizione dell'ergastolo si parla fin dal 1949. In questi sessant'anni in Parlamento sono stati presentate decine di progetti di legge per l'abolizione dell'ergastolo, ma nessuno è mai stato approvato.
Dietro i portoni del carcere, invece, gli ergastolani continuano a lottare per l'abolizione della detenzione a vita, nonostante il silenzio dei media sulle loro proteste. A fine maggio 2007 circa 300 ergastolani italiani, "stanchi di morire un po' tutti i giorni e preferendo morire una volta sola", hanno scritto una lettera provocatoria al Presidente della Repubblica italiana per chiedere che la loro pena dell'ergastolo fosse tramutata in pena di morte. Da questa lettera è ripresa la campagna "Mai dire mai".
Dal primo dicembre 2007 quasi ottocento ergastolani e 13.000 persone, tra altri detenuti, parenti, amici, cittadini, volontari hanno portato avanti uno sciopero della fame a staffetta per tre mesi per chiedere che venisse discussa in Parlamento una proposta di legge per l'abolizione dell'ergastolo. Dal primo dicembre di quest'anno è ripreso lo sciopero della fame degli ergastolani e di tutti coloro che sono solidali alla campagna, anche questa volta organizzato a staffetta, ma di settimana in settimana e di regione in regione (per informazioni vedi il sito www.informacarcere.it ).
Ancora una volta è, purtroppo, fin troppo facile, prevedere che sulla loro lotta cali massiccio il silenzio dei media. Anche per questo è importante che gli amanti della libertà non manchino di mostrare il proprio appoggio a chi è stato privato dallo Stato di ogni speranza di futuro.

robertino


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