Ad una lettera di un dignitario di Federico II che gli chiedeva di
visitare la Prussia per giudicare i progressi apportati dal suo
sovrano, Voltaire rispondeva che per prima cosa avrebbe voluto vederne
le carceri, dove si può valutare "lo stato della civiltà
di un paese molto più che in un Parlamento o in
un'università".
Le carceri, oggi come ai tempi di Voltaire, continuano ad essere luoghi
di degrado e sofferenza dove lo Stato applica le vendette (le pene)
decise dai suoi tribunali per coloro che hanno osato trasgredire le sue
leggi. Per questo i media le carceri preferiscono non farle mai vedere:
nelle carceri si continua a morire (di suicidio, ma anche di botte come
è successo a Marcello Lonzi e ad Aldo Bianzino) e non lo dice
nessuno, mentre centinaia di detenuti gravemente malati (alcuni
addirittura allo stadio terminale) si vedono negare le cure mediche di
cui avrebbero bisogno e sono costretti ad aspettare la morte rinchiusi
nelle loro celle o nelle infermerie delle prigioni. Intanto, la
propaganda di regime ad uso e consumo degli onesti cittadini che
lavorano, pagano le tasse e rispettano le leggi, preferisce alimentare
le leggende urbane che descrivono le galere come luoghi di
villeggiatura. Il carcere è il pianeta oscuro che non dobbiamo
vedere, l'ultimo atto di quello spettacolo della Vendetta che lo Stato
chiama Giustizia. Un tempo c'erano le esecuzioni nelle pubbliche
piazze, adesso ci sono i processi in tv e sui giornali, con
l'immancabile scena del "pubblico" che in aula alla lettura della
sentenza urla di gioia, schernisce e insulta il condannato, gli augura
naturalmente di marcire in prigione.
La pena di morte è stata abolita, ma lo Stato continua a
vendicarsi. La più atroce di queste vendette è
sicuramente l'ergastolo. Del resto il diritto romano assimilava
l'ergastolo alla pena capitale, mentre Beccaria nel 1764 definiva
l'ergastolo "pena di schiavitù perpetua (…) più dolorosa
e crudele della pena di morte in quanto non concentrata in un momento
ma estesa sopra tutta la vita". E' difficile stabilire se sia
più crudele il patibolo o la galera a vita. Di sicuro,
l'ergastolo è una forma di ferocia legalizzata. La Costituzione
Italiana dice che "le misure privative della libertà personale
sono legittime unicamente nella misura in cui siano funzionali al
reinserimento sociale del reo". Non si capisce proprio che
possibilità di "reinserimento sociale" possa avere chi è
iscritto nei registri carcerari alla voce "fine pena: mai". Condannare
una persona all'ergastolo significa semplicemente eliminarla dalla vita
sociale. Lo dimostrano tra l'altro le sanzioni accessorie conseguenti
de jure all'irrogazione dell'ergastolo: l'interdizione legale – che un
giurista ha definito "la privazione dello status di persona in quanto
parte di una collettività" - e la pubblicazione della sentenza
di condanna non solo nel comune dove è stata pronunciata, ma
anche nel luogo dell'ultima residenza del condannato. Molti
ergastolani, poi, con l'introduzione dell'articolo 41 bis
dell'ordinamento penitenziario, di legge sono esclusi da tutti gli
eventuali benefici (compresi i permessi d'uscita) e questo significa
che di fatto non potranno mai uscire dal carcere fino alla morte.
In Italia di abolizione dell'ergastolo si parla fin dal 1949. In questi
sessant'anni in Parlamento sono stati presentate decine di progetti di
legge per l'abolizione dell'ergastolo, ma nessuno è mai stato
approvato.
Dietro i portoni del carcere, invece, gli ergastolani continuano a
lottare per l'abolizione della detenzione a vita, nonostante il
silenzio dei media sulle loro proteste. A fine maggio 2007 circa 300
ergastolani italiani, "stanchi di morire un po' tutti i giorni e
preferendo morire una volta sola", hanno scritto una lettera
provocatoria al Presidente della Repubblica italiana per chiedere che
la loro pena dell'ergastolo fosse tramutata in pena di morte. Da questa
lettera è ripresa la campagna "Mai dire mai".
Dal primo dicembre 2007 quasi ottocento ergastolani e 13.000 persone,
tra altri detenuti, parenti, amici, cittadini, volontari hanno portato
avanti uno sciopero della fame a staffetta per tre mesi per chiedere
che venisse discussa in Parlamento una proposta di legge per
l'abolizione dell'ergastolo. Dal primo dicembre di quest'anno è
ripreso lo sciopero della fame degli ergastolani e di tutti coloro che
sono solidali alla campagna, anche questa volta organizzato a
staffetta, ma di settimana in settimana e di regione in regione (per
informazioni vedi il sito www.informacarcere.it ).
Ancora una volta è, purtroppo, fin troppo facile, prevedere che
sulla loro lotta cali massiccio il silenzio dei media. Anche per questo
è importante che gli amanti della libertà non manchino di
mostrare il proprio appoggio a chi è stato privato dallo Stato
di ogni speranza di futuro.
robertino