Notte di dicembre 2007 a Torino. Le vie splendono per le luminarie
natalizie. Allo stabilimento della ThyssenKrupp si lavora così
di sera come di notte e di giorno. Il ciclo produttivo è di 24
ore su 24. Uno schianto, un lampo, un rogo ed è strage: 7 operai
muoiono, sette vite bruciate e sette famiglie lasciate nella
disperazione.
Da quella tragica notte ne sono trascorse altre 365, le luci dei
riflettori mass-mediatici sono andate via via affievolendosi per
illuminare ben diverse agende politiche dei Palazzi del potere.
E così invece di "sicurezza" nel mondo del lavoro - che oggi
altro non significa che sperare di tornare a casa sano e salvo dopo 10,
12, 14 ore di fabbrica o di cantiere - è stata montata ad arte
un'altra "sicurezza", ritenuta necessaria e invocata a gran voce,
quella dell'italico cittadino. Capri espiatori di turno sono
l'immigrato, il povero accattone, il "diverso" in quanto tale contro i
quali la repressione statale si scatena invadendo le nostre
città di reparti militari, squadre di polizia (locale o meno fa
ancora differenza?) con relativa copertura legislativa ad hoc.
Ad oggi, dopo un anno dalla strage alla Thyssen, si continua a essere
uccisi di lavoro: mediamente una persona ogni otto ore non fa
più ritorno a casa. Una strage continua sancita anche dal punto
di vista giuridico. Come considerare altrimenti leggi e decreti come
quello sulla detassazione degli straordinari (Legge 126/24 del luglio
2008), quello sulla deregolamentazione del mercato del lavoro (Legge
133 del 5 agosto 2008), la direttiva del Ministero del Lavoro che
indebolisce i servizi ispettivi del ministero stesso e dell'INPS
(settembre 2008) e, ultimo solo in ordine di tempo, il ddl 1441 quater,
attualmente in discussione alla Camera, che vorrebbe fermare i processi
e legare le mani ai giudici del lavoro?
Da anarchiche ed anarchici lo sappiamo e lo ribadiamo da sempre: non
esistono poteri buoni, né governi amici, né tribunali e
giudici dalla nostra parte. Lo Stato e il Capitale non si processano!
Anzi, i loro imperativi sono ben altri: massima condizione di
redditività e profitti per le aziende a scapito di salute e
sicurezza per il lavoratore. Aumento direttamente proporzionale tra
precarietà e ricattabilità della forza lavoro in una
situazione generale di vivibilità - nelle nostre città
sempre più inquinate da fabbriche nocive, devastate da
speculazioni edilizie o infrastrutturali come il TAV- che
accomuna sempre più il destino dei lavoratori autoctoni con i
lavoratori migranti.
Ecco perché, il 6 dicembre 2008, stanchi di restare a guardare,
spettatori/vittime di una macabra rappresentazione che coinvolge,
direttamente o indirettamente tutti noi, sarà necessario ed
importante essere per le strade di Torino a rivendicare con
determinazione, forza e orgoglio di classe il nostro diritto ad una
vita ben diversa da quella imposta da Stato e Capitale!
Paolo Masala