In un precedente articolo (1), abbiamo provato a fornire qualche spunto di riflessione sulle proteste che stavano dilagando nel settore dell’istruzione pubblica, con questo proviamo a segnalare brevemente gli avvenimenti più significativi avvenuti fino ad oggi.
Nonostante, a livello mediatico, il Governo abbia sempre continuato
a sostenere che non avrebbe indietreggiato di un passo davanti alla
protesta di piazza portata avanti da una minoranza, ci sono stati delle
piccole finte all’indietro rispetto ai propositi iniziali. Fatti che
non cambiano la sostanza dell’attacco al sistema dell’istruzione
pubblica ma che, sicuramente, segnalano che la protesta ha costretto a
qualche ripensamento.
In particolare sta per essere approvato il Decreto Legge n.180, che
apporta alcune modifiche alla Legge 133, il principale obiettivo delle
proteste a livello universitario. Vediamone alcune: il blocco totale
delle assunzioni negli Atenei avrà validità solo per
quelli la cui spesa per il personale supera il 90% del Fondo di
Finanziamento Ordinario, gli altri potranno assumere il 50% (nella
L.133 era il 20%) del personale cessato dal servizio nel 2008. Viene
però fissato un bizzarro sistema per categorie che
penalizzerà principalmente il personale amministrativo e
tecnico. I professori a contratto sono invece esclusi da queste
limitazioni. Verrà anche modificata la formazione delle
commissioni di concorso per i docenti e abolita l’elezione tramite voto
elettronico.
A questo si aggiungono le continue rassicurazioni sul fatto che i tagli
veri, quelli previsti a partire dal 2010, potrebbero essere ridiscussi.
Anche per quanto riguarda il settore delle scuole materne ed elementari, è stato seguito il medesimo copione.
A meno di un mese dall’approvazione la maggioranza di governo,
all’unanimità, ha approvato in sede di Commissione una serie di
indicazioni per il varo delle norme attuative della Legge 137 che
prevedono il tramonto del maestro “prevalente” che diventa “residuale”
e che verrà attivato a richiesta dei genitori. Stesso discorso
per il tempo pieno-prolungato che dovrebbe essere intaccato solo
parzialmente e, tra le altre proposte, è previsto che alcune
delle funzioni prima esternalizzate dovranno rientrare all’interno
delle scuole, riducendo in tal modo i tagli del personale ATA.
Tornando al settore universitario, nel campo delle lobby baronali ha
fatto la sua comparsa il “Coordinamento della rete delle scuole a
statuto speciale” (Scuola Normale Superiore di Pisa ed altre scuole)
che, in una lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione, ha auspicato
tra le altre cose, che la nuova università provveda a
“valorizzare e premiare la qualità della ricerca e della
didattica”, un modo elegante per dire che sono d’accordo anche loro
alla diversificazione dei finanziamenti pubblici agli Atenei.
Come avevamo già scritto, nonostante le iniziative degli
studenti siano state guardate con occhio benevolo dai docenti, non
è detto che entrambi le componenti puntino realmente ad uno
stesso obiettivo. Lo scopo perseguito dal Governo e da uno schieramento
trasversale a tutti i partiti ed a tutte le baronie, è sempre
quello di creare un sistema universitario diviso per fasce di
“qualità” (magari con punte di “eccellenza”) e che sia
soprattutto a basso costo, vale a dire con poco personale a tempo
indeterminato e con grande uso di quello precario. Visto che tutte le
dichiarazioni dei politici, maggioranza e opposizione, e dei magnifici
Rettori concordano sulla necessità che vengano dati
finanziamenti diversificati, viene il sospetto che forse non si sono
ancora messi d’accordo sul sistema da usare.
Nel frattempo, la protesta degli studenti è continuata in
tutto il paese, culminando con la riuscita manifestazione del 14
novembre a Roma e con l’assemblea nazionale tenuta in seguito alla
Sapienza che avrebbe dovuto riempire di contenuti politici e
programmatici questa protesta.
A questo proposito va notato che, accanto a dichiarazioni di principio
facilmente condivisibili, in uno dei documenti usciti dai gruppi di
lavoro si legge:
“L’autonomia della ricerca e la
qualità dell’università pubblica non possono essere
disgiunte dalla realizzazione di un nuovo concetto di valutazione.
Tale concetto, più complesso
della combinazione di indici presuntamente quantitativi, non deve
essere legato al contenimento del bilancio, alla produzione di brevetti
o al semplice numero delle pubblicazioni. Pensiamo che la valutazione
debba essere intesa anche come rendicontazione sociale delle
attività degli atenei e del sistema nel suo complesso, che non
possa prescindere dai contesti territoriali in cui le università
sono inserite.
Contemporaneamente, ribadiamo che
anche docenti, ricercatori e dottorandi dovrebbero essere coinvolti nei
processi di valutazione. Gli esiti della valutazione della didattica e
della ricerca dovrebbero condizionare la distribuzione di parte dei
finanziamenti per gli atenei sia nella distribuzione dei finanziamenti
ai singoli.”
Che, riassunto in due righe, significa: “siamo d’accordo alla
distribuzione diversificata dei finanziamenti ma non sul metodo
proposto per attuarla”. Una posizione che, fatte salve tutte le
differenze del caso, non è molto lontana (almeno come logica) da
quella del Governo o dei baroni. Il che ci lascia quantomeno perplessi.
Il 28 novembre, in molte città, come programmato si sono
svolte diverse iniziative - varie sia come partecipazione che come
impatto - e il prossimo grande appuntamento è quello dello
sciopero generale del 12 dicembre che forse sarà, molto
più che il corteo di Roma, la cartina di tornasole per giudicare
lo stato di salute della protesta.
Pepsy
(1) “Dalla protesta alla lotta”, Umanità Nova n.36 del 9/11/2008.