Umanità Nova, n.40 del 14 dicembre 2008, anno 88

Movimento studentesco. Dopo l’onda... il riflusso?


In un precedente articolo (1), abbiamo provato a fornire qualche spunto di riflessione sulle proteste che stavano dilagando nel settore dell’istruzione pubblica, con questo proviamo a segnalare brevemente gli avvenimenti più significativi avvenuti fino ad oggi.

Nonostante, a livello mediatico, il Governo abbia sempre continuato a sostenere che non avrebbe indietreggiato di un passo davanti alla protesta di piazza portata avanti da una minoranza, ci sono stati delle piccole finte all’indietro rispetto ai propositi iniziali. Fatti che non cambiano la sostanza dell’attacco al sistema dell’istruzione pubblica ma che, sicuramente, segnalano che la protesta ha costretto a qualche ripensamento.
In particolare sta per essere approvato il Decreto Legge n.180, che apporta alcune modifiche alla Legge 133, il principale obiettivo delle proteste a livello universitario. Vediamone alcune: il blocco totale delle assunzioni negli Atenei avrà validità solo per quelli la cui spesa per il personale supera il 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario, gli altri potranno assumere il 50% (nella L.133 era il 20%) del personale cessato dal servizio nel 2008. Viene però fissato un bizzarro sistema per categorie che penalizzerà principalmente il personale amministrativo e tecnico. I professori a contratto sono invece esclusi da queste limitazioni. Verrà anche modificata la formazione delle commissioni di concorso per i docenti e abolita l’elezione tramite voto elettronico.
A questo si aggiungono le continue rassicurazioni sul fatto che i tagli veri, quelli previsti a partire dal 2010, potrebbero essere ridiscussi.

Anche per quanto riguarda il settore delle scuole materne ed elementari, è stato seguito il medesimo copione.
A meno di un mese dall’approvazione la maggioranza di governo, all’unanimità, ha approvato in sede di Commissione una serie di indicazioni per il varo delle norme attuative della Legge 137 che prevedono il tramonto del maestro “prevalente” che diventa “residuale” e che verrà attivato a richiesta dei genitori. Stesso discorso per il tempo pieno-prolungato che dovrebbe essere intaccato solo parzialmente e, tra le altre proposte, è previsto che alcune delle funzioni prima esternalizzate dovranno rientrare all’interno delle scuole, riducendo in tal modo i tagli del personale ATA.

Tornando al settore universitario, nel campo delle lobby baronali ha fatto la sua comparsa il “Coordinamento della rete delle scuole a statuto speciale” (Scuola Normale Superiore di Pisa ed altre scuole) che, in una lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione, ha auspicato tra le altre cose, che la nuova università provveda a “valorizzare e premiare la qualità della ricerca e della didattica”, un modo elegante per dire che sono d’accordo anche loro alla diversificazione dei finanziamenti pubblici agli Atenei.
Come avevamo già scritto, nonostante le iniziative degli studenti siano state guardate con occhio benevolo dai docenti, non è detto che entrambi le componenti puntino realmente ad uno stesso obiettivo. Lo scopo perseguito dal Governo e da uno schieramento trasversale a tutti i partiti ed a tutte le baronie, è sempre quello di creare un sistema universitario diviso per fasce di “qualità” (magari con punte di “eccellenza”) e che sia soprattutto a basso costo, vale a dire con poco personale a tempo indeterminato e con grande uso di quello precario. Visto che tutte le dichiarazioni dei politici, maggioranza e opposizione, e dei magnifici Rettori concordano sulla necessità che vengano dati finanziamenti diversificati, viene il sospetto che forse non si sono ancora messi d’accordo sul sistema da usare.

Nel frattempo, la protesta degli studenti è continuata in tutto il paese, culminando con la riuscita manifestazione del 14 novembre a Roma e con l’assemblea nazionale tenuta in seguito alla Sapienza che avrebbe dovuto riempire di contenuti politici e programmatici questa protesta.
A questo proposito va notato che, accanto a dichiarazioni di principio facilmente condivisibili, in uno dei documenti usciti dai gruppi di lavoro si legge:
“L’autonomia della ricerca e la qualità dell’università pubblica non possono essere disgiunte dalla realizzazione di un nuovo concetto di valutazione.
Tale concetto, più complesso della combinazione di indici presuntamente quantitativi, non deve essere legato al contenimento del bilancio, alla produzione di brevetti o al semplice numero delle pubblicazioni. Pensiamo che la valutazione debba essere intesa anche come rendicontazione sociale delle attività degli atenei e del sistema nel suo complesso, che non possa prescindere dai contesti territoriali in cui le università sono inserite.
Contemporaneamente, ribadiamo che anche docenti, ricercatori e dottorandi dovrebbero essere coinvolti nei processi di valutazione. Gli esiti della valutazione della didattica e della ricerca dovrebbero condizionare la distribuzione di parte dei finanziamenti per gli atenei sia nella distribuzione dei finanziamenti ai singoli.”
Che, riassunto in due righe, significa: “siamo d’accordo alla distribuzione diversificata dei finanziamenti ma non sul metodo proposto per attuarla”. Una posizione che, fatte salve tutte le differenze del caso, non è molto lontana (almeno come logica) da quella del Governo o dei baroni. Il che ci lascia quantomeno perplessi.

Il 28 novembre, in molte città, come programmato si sono svolte diverse iniziative - varie sia come partecipazione che come impatto - e il prossimo grande appuntamento è quello dello sciopero generale del 12 dicembre che forse sarà, molto più che il corteo di Roma, la cartina di tornasole per giudicare lo stato di salute della protesta.

Pepsy

(1) “Dalla protesta alla lotta”, Umanità Nova n.36 del 9/11/2008.

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