Umanità Nova, n.40 del 14 dicembre 2008, anno 88

Materiale per il dibattito. Quale alternativa al capitalismo?


Da più parti si afferma che la crisi sta portando alla fine del capitalismo. È un errore. Il capitalismo sta solo tornando ad essere protezionista, dopo una fase di liberismo cominciata negli anni '80 del secolo scorso. L'intervento degli Stati e una certa aria di socialdemocrazia che c'è in giro saranno anche preferibili al liberismo, tuttavia non rappresentano un'alternativa al capitalismo, ma solo uno dei suoi volti. Viviamo un paradosso: siamo nel bel mezzo del collasso di un modello capitalista, ma l'unica alternativa al capitalismo è … il capitalismo!
Durante la Grande Depressione, negli anni '30 del secolo scorso, il capitalismo si confrontava con il totalitarismo sovietico e, come si è poi visto in Spagna, con un movimento anarchico dotato di uno spessore tale da essere in grado di gestire efficacemente una economia di guerra durante la fase rivoluzionaria.
Oggi non vi è nulla di tutto ciò. Sono passati appena 17 anni (ieri dal punto di vista storico) dal crollo dell'Unione Sovietica e del cosiddetto socialismo reale. Un fallimento che molti, per nostalgia o per mancanza di fantasia, tendono ad ignorare. In giro per il mondo non si incontra nulla di diverso dal capitalismo: il comunismo cinese non è altro che capitalismo (nella versione più autoritaria) sotto stretto controllo statale, Cuba è un sistema economico agonizzante che fatica a resistere all'ammaliante richiamo del vicino nordamericano, il Venezuela di Chavez assomiglia ad una versione soft del fascismo sociale italiano. Stupisce la velleità dei marxisti di rappresentarsi come i depositari di un modello alternativo: veramente qualcuno pensa che la Corea del Nord sia il paradiso dei lavoratori?
Il momento è molto delicato. È proprio nelle crisi che proposte, in condizioni "normali" neanche prese in considerazione, possono acquisire credibilità. Questo vale anche per idee reazionarie: il legame tra l'ascesa al potere di Hitler e Stalin e la Grande Depressione è ben noto. Oggi la situazione non è stabilizzata e i grandi cambiamenti devono ancora arrivare.
La maggiore economia mondiale è stata l'epicentro della crisi e dovrà rivedere dalle radici il suo funzionamento. Però, la vittoria di Obama apre nuove prospettive per gli Stati Uniti. La principale criticità che il futuro presidente dovrà affrontare è il ritiro delle truppe dai teatri di guerra, in particolare dall'Iraq. Questo è indispensabile per disporre delle risorse economiche necessarie a finanziare l'ambizioso piano di rifondazione previsto nel suo programma elettorale. Gli Stati Uniti potrebbero stupirci con un rilancio di un nuovo modello di sviluppo, sempre capitalistico. Per esempio, perché la nuova amministrazione intende investire massicciamente nello sviluppo di fonti energetiche alternative? Per rendere gli Usa non più dipendenti dal petrolio straniero, alla faccia delle petromonarchie arabe e della Russia! L'idea è: non siamo riusciti a conquistare il petrolio iracheno? Ebbene, ne faremo a meno! Sta nascendo un neo protezionismo americano.
La contrazione del mercato statunitense avrà importanti conseguenze sui paesi esportatori. D'ora in avanti le importazioni americane ridurranno il loro sostegno alle economie degli altri paesi. Questo è un guaio, perché fino a ieri tutto il mondo esportava negli Usa.
I danni peggiori saranno a carico dei produttori di materie prime e di petrolio. Tuttavia, anche la Cina sarà colpita dalla riduzione dei consumi Usa. Perciò il governo di Pechino vuole far crescere i consumi interni. Si calcola che se il prodotto interno lordo cinese cresce meno del 7 – 8% non si riesce a creare occupazione per le migliaia di contadini che ogni giorno si riversano nelle città alla ricerca di un lavoro. Ecco perché è stato lanciato un piano di lavori pubblici (ponti, strade, ferrovie) destinato a creare nuovi posti di lavoro. Questo però non risolverà il problema delle imprese esportatrici di scarpe, gadget, prodotti tessili, elettronica di consumo, etc. Ci si chiede quindi: per chi produrranno le migliaia di fabbriche cinesi? È una brutta domanda. La risposta è che si comincia a chiuderle, le fabbriche, come sta avvenendo nel settore dei giocattoli.
L'Europa dovrà decidere cosa vuole fare in futuro. Riuscirà a mantenere una certa unità di azione o si frantumerà? Gli interventi a sostegno delle banche in difficoltà hanno mostrato che, di fronte all'emergenza, ogni Stato è intervenuto come poteva per salvaguardare i propri istituti di credito. Suona male.
In questo contesto sarebbero necessarie ricette economiche e assetti sociali più sostenibili. Certo, sappiamo che l'alternativa libertaria sarebbe in grado di ripristinare un quadro sociale più equo e quindi anche economicamente più solido. Il problema è che siamo deboli e facciamo fatica a presentare le nostre tesi.
Occorre comunque aprire un dibattito sulle misure da attuare fin da subito per uscire dalla crisi e in questo contesto fare sentire la nostra voce. Questo sconquasso apre un raggio di azione per chi non è coinvolto nel fallimento dell'attuale modello economico e sociale. Approfittiamone per proporre le nostre soluzioni e aumentare il peso del nostro movimento.

Toni

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