Umanità Nova, n.40 del 14 dicembre 2008, anno 88

Profili. Andrea Croccia, antifascista arbëreshë di Calabria


Andrea Croccia, figlio di Angelo e di Domenica Durante, nato a Civita (CS) il 2/5/1899,  residente a Frascineto, celibe, contadino, ex combattente, anarchico-comunista. Di famiglia poverissima, di contadini senza terra, a soli sei anni, nel 1907,  interrompe gli studi ed emigra con il padre in Argentina. Mentre assiste i cavalli presso una fattoria di Pariso, impara a leggere e a scrivere lo spagnolo. Si trasferisce con il padre a Junin, dove lavora come impagliatore di sedie e con grandi sacrifici riesce a completare la terza elementare. Nel 1910 il padre lo lascia solo per rientrare brevemente in Italia con lo scopo di portarsi in America moglie, figlia e madre. Il povero Angelo Croccia muore nel bastimento durante il viaggio. Andrea ha solo 11 anni e sopravvive grazie all'ospitalità di alcune famiglie italo-albanesi. Cerca di ricongiungersi al nonno a Buenos Aires, ma durante le ricerche apprende che anche questi è morto.  Si reca allora da uno zio materno, ma viene scacciato,  racconterà dopo, come non si farebbe neanche  con "un cane randagio". Finalmente incontra l'anarchico Carlo Berneri che lo impiega a vendere il giornale da lui fondato "Arriva". Dopo varie vicissitudini, a soli 13 anni, ritorna in Calabria a Frascineto.  A 18 anni viene chiamato alle armi e sul  Monte Grappa rischia di morire per assideramento. Trasportato d'urgenza all'ospedale di Palermo, gli vengono amputati tutti e due i piedi. Diventa "grande invalido". Durante la convalescenza studia e ottiene la licenza di sesta elementare con la media dell'8. Lavora alle Poste e poi in Ferrovia a Cosenza.  Nel 1921 fonda la sezione Comunista di Frascineto. Nel 1924 aderisce al "Gruppo Anarchico del Sud" e viene segnalato per i suoi contatti con Errico Malatesta e per aver versato al movimento anarchico 20 lire, ricavate dalla vendita del giornale "Pensiero e Volontà".  Nel 1927 viene licenziato dalle ferrovie e nel 1933 a Frascineto, i fascisti gli sparano e vivrà tutta la vita con una pallottola in corpo. Arrestato dai carabinieri il 13 Novembre 1937 per essersi lamentato dell'eccessivo fiscalismo instaurato dal regime fascista, viene assegnato al confino, a Marsiconuovo, per tre anni dalla C.P. di Cosenza (ordinanza del 4 dicembre 1937).  Liberato il 14 Novembre 1940 per fine periodo, trascorre tre anni e due giorni tra carcere e confino. Il lavoro più importante lo svolgeva in collaborazione con il noto anarchico Nino Malara.  Mentre a Malara spettava il compito di "reclutatore", Croccia, che viaggiava spesso per il suo lavoro di venditore di scope di saggina, aveva il compito di condurre i compagni alla frontiera. Sapeva di essere pedinato costantemente e quindi faceva viaggiare il clandestino in un altro scompartimento. Arrivato a Genova o alla frontiera, bastava un cenno per passare il clandestino in buone mani, mentre lui si presentava alla frontiera chiedendo di espatriare, sicuro di una traduzione coatta. Nel 1931 fu ammonito per avere svolto propaganda comunista. Dopo la Liberazione lavora presso la Camera del Lavoro di Cosenza, viene candidato dal P.C.I. alla Costituente nel 1946, alla Camera nel 1948 e al Senato nel 1953. Nel 1948 risulta essere il primo dei non eletti, ma poi, per l'improvvisa morte di un deputato calabrese, subentra a Montecitorio. Rimane deputato per 24 ore, si dimette per far posto alla compagna milanese Elsa Molè. Le sue dimissioni furono spontanee o, come più probabile, dovette cedere alla "disciplina di partito"? Sta di fatto che, consegnato il tesserino di parlamentare, con tutti i privilegi derivanti da quello status, con le protesi di legno, le stampelle, il basco nero e il pizzetto sul mento ritorna tra i contadini e i pastori di Frascineto da dove era partito a soli sei anni. Scrisse, nel 1954, dalla lontana Liguria dove terminò la sua esistenza, all'amico Domenico Licursi: "La bellezza della Vita, la speranza che cerchi, sono tra la tua gente. Bisogna cancellare quella brutta parola che il primo prepotente ha scritto: 'questo è mio' e sostituirla con un'altra parola, più bella, più umana: 'questo è nostro'. La Vita, Caro Domenico, sarà quella che vogliamo."

 Angelo Pagliaro

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