Andrea Croccia, figlio di Angelo e di Domenica Durante, nato a
Civita (CS) il 2/5/1899, residente a Frascineto, celibe,
contadino, ex combattente, anarchico-comunista. Di famiglia
poverissima, di contadini senza terra, a soli sei anni, nel 1907,
interrompe gli studi ed emigra con il padre in Argentina. Mentre
assiste i cavalli presso una fattoria di Pariso, impara a leggere e a
scrivere lo spagnolo. Si trasferisce con il padre a Junin, dove lavora
come impagliatore di sedie e con grandi sacrifici riesce a completare
la terza elementare. Nel 1910 il padre lo lascia solo per rientrare
brevemente in Italia con lo scopo di portarsi in America moglie, figlia
e madre. Il povero Angelo Croccia muore nel bastimento durante il
viaggio. Andrea ha solo 11 anni e sopravvive grazie
all'ospitalità di alcune famiglie italo-albanesi. Cerca di
ricongiungersi al nonno a Buenos Aires, ma durante le ricerche apprende
che anche questi è morto. Si reca allora da uno zio
materno, ma viene scacciato, racconterà dopo, come non si
farebbe neanche con "un cane randagio". Finalmente incontra
l'anarchico Carlo Berneri che lo impiega a vendere il giornale da lui
fondato "Arriva". Dopo varie vicissitudini, a soli 13 anni, ritorna in
Calabria a Frascineto. A 18 anni viene chiamato alle armi e
sul Monte Grappa rischia di morire per assideramento. Trasportato
d'urgenza all'ospedale di Palermo, gli vengono amputati tutti e due i
piedi. Diventa "grande invalido". Durante la convalescenza studia e
ottiene la licenza di sesta elementare con la media dell'8. Lavora alle
Poste e poi in Ferrovia a Cosenza. Nel 1921 fonda la sezione
Comunista di Frascineto. Nel 1924 aderisce al "Gruppo Anarchico del
Sud" e viene segnalato per i suoi contatti con Errico Malatesta e per
aver versato al movimento anarchico 20 lire, ricavate dalla vendita del
giornale "Pensiero e Volontà". Nel 1927 viene licenziato
dalle ferrovie e nel 1933 a Frascineto, i fascisti gli sparano e
vivrà tutta la vita con una pallottola in corpo. Arrestato dai
carabinieri il 13 Novembre 1937 per essersi lamentato dell'eccessivo
fiscalismo instaurato dal regime fascista, viene assegnato al confino,
a Marsiconuovo, per tre anni dalla C.P. di Cosenza (ordinanza del 4
dicembre 1937). Liberato il 14 Novembre 1940 per fine periodo,
trascorre tre anni e due giorni tra carcere e confino. Il lavoro
più importante lo svolgeva in collaborazione con il noto
anarchico Nino Malara. Mentre a Malara spettava il compito di
"reclutatore", Croccia, che viaggiava spesso per il suo lavoro di
venditore di scope di saggina, aveva il compito di condurre i compagni
alla frontiera. Sapeva di essere pedinato costantemente e quindi faceva
viaggiare il clandestino in un altro scompartimento. Arrivato a Genova
o alla frontiera, bastava un cenno per passare il clandestino in buone
mani, mentre lui si presentava alla frontiera chiedendo di espatriare,
sicuro di una traduzione coatta. Nel 1931 fu ammonito per avere svolto
propaganda comunista. Dopo la Liberazione lavora presso la Camera del
Lavoro di Cosenza, viene candidato dal P.C.I. alla Costituente nel
1946, alla Camera nel 1948 e al Senato nel 1953. Nel 1948 risulta
essere il primo dei non eletti, ma poi, per l'improvvisa morte di un
deputato calabrese, subentra a Montecitorio. Rimane deputato per 24
ore, si dimette per far posto alla compagna milanese Elsa Molè.
Le sue dimissioni furono spontanee o, come più probabile,
dovette cedere alla "disciplina di partito"? Sta di fatto che,
consegnato il tesserino di parlamentare, con tutti i privilegi
derivanti da quello status, con le protesi di legno, le stampelle, il
basco nero e il pizzetto sul mento ritorna tra i contadini e i pastori
di Frascineto da dove era partito a soli sei anni. Scrisse, nel 1954,
dalla lontana Liguria dove terminò la sua esistenza, all'amico
Domenico Licursi: "La bellezza della Vita, la speranza che cerchi, sono
tra la tua gente. Bisogna cancellare quella brutta parola che il primo
prepotente ha scritto: 'questo è mio' e sostituirla con un'altra
parola, più bella, più umana: 'questo è nostro'.
La Vita, Caro Domenico, sarà quella che vogliamo."
Angelo Pagliaro