Come era prevedibile, dianzi ai bombardamenti su Gaza tutta
l'informazione di regime appoggia il «diritto di Israele a
difendersi» e squalifica ogni protesta come forma mascherata di
antisemitismo. Anche intellettuali israeliani accreditati in Italia
come "pacifisti" si sono prestati a giustificare le bombe sui civili:
Amos Oz sul "Corriere della Sera" e A. B. Yehoshua sulla "Stampa"
affermano che lo stato israeliano non poteva non reagire ai razzi
lanciati contro il sud di Israele dalla striscia di Gaza. Ovviamente, i
faziosissimi giornali italiani non nominano neppure quelle
organizzazioni e quei movimenti che in Israele lottano contro la
politica dell'apartheid e della violenza antipalestinese. In un
documento recente, la Rete degli Ebrei contro l'Occupazione ha citato
l'introduzione di Primo Levi a Se questo è un uomo per affermare
che, «quando il disprezzo per lo straniero, il diverso, diventa
il fondamento di una società, si arriva al lager». E Gaza,
se non è ancora un lager, dopo diciannove mesi di assedio
israeliano imposto a un milione e mezzo di persone deprivate delle
forniture più elementari, certo è un ghetto razziale che
suscita, anche in Israele, significative associazioni mentali.
Già nel 2004 il ministro israeliano della Giustizia Tommy Lapid,
sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, disse di fronte alle
brutali operazioni dell'esercito israeliano a Rafah nella striscia di
Gaza: «l'immagine di una vecchia palestinese che cerca le sue
medicine tra le macerie mi ha ricordato mia nonna [morta ad
Auschwitz]». E oggi un intellettuale ebreo-israeliano come Michel
Warschawski può scrivere: «Sentendo il ministro degli
Esteri francese, Bernard Kouchner, sostenere l'azione israeliana,
mentre annuncia la decisione di inviare generi umanitari a Gaza, non ho
potuto fare a meno di ricordare le informazioni sulle delegazioni della
Croce Rossa Internazionale che avevano visitato i campi di sterminio
nazisti con cioccolata e biscotti. So che non è la stessa cosa,
ma nessuno può determinare le associazioni mentali».
Sta di fatto che certi dispositivi razzisti e omicidi del potere
statale, sorti con il colonialismo e perfezionati dal nazifascismo, non
sono mai caduti in disuso, anzi sono imitati in ogni angolo del mondo:
dai muri segregativi ai lager etnici. Così è anche per le
rappresaglie contro la popolazione civile: un tempo vi era la
"decimazione", oggi sarebbe più corretto parlare di
"centesimazione". Nel giugno 2006, in seguito alla cattura di un solo
soldato israeliano, fu lanciata l'operazione "Summer Rain" che uccise
240 palestinesi. In questi giorni i bombardamenti sulla striscia di
Gaza – un milione e mezzo di persone strette in un'area di 40 per 10 km
– hanno provocato finora, secondo fonti ufficiali, oltre 500 morti e
2.500 feriti. Un bombardamento indiscriminato contro abitazioni,
mercati, scuole, università, ospedali, che fa seguito a un lungo
embargo totale, a un vero e proprio assedio. Negli ospedali mancano le
medicine, le garze, il necessario per il primo soccorso.
Dopo giornate di costanti raid aerei, durante i quali è stata
colpita anche una moschea uccidendo tredici persone in preghiera, la
sera del 3 gennaio i mezzi dell'esercito israeliano hanno varcato il
confine in quattro diversi punti, dividendo la striscia in due parti.
Un portavoce del Ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che
«ci vorranno alcuni giorni per portare a termine il
lavoro». È una violentissima guerra urbana, in un'area
sovrappopolata, ormai chiusa alle comunicazioni con l'esterno, quasi
senza testimoni, con una falsificante battaglia di cifre su morti,
feriti, prigionieri. Ma è anche il culmine di una strategia
dissimulata di annientamento della popolazione palestinese di Gaza.
Basti dire che negli ultimi anni, con i varchi chiusi alle merci, le
navi militari israeliane hanno pattugliato incessantemente il mare di
Gaza per impedire la pesca sotto il pretesto della "sicurezza". Nel
2007 oltre 70 pescatori sono stati arrestati e le loro barche
distrutte. Per mesi migliaia di pescatori non hanno avuto il permesso
di lasciare il porto.
Bisogna però non cadere nella trappola di ritenere che lo stato
israeliano abbia qualcosa di speciale. Pulizie etniche e rappresaglie
sui civili avvengono ovunque, e spesso nell'indifferenza del mondo.
Dire che la politica dello stato israeliano è una politica
criminale non vuol dire che altri stati siano meno razzisti e
assassini, a cominciare dall'Italia con le sue leggi discriminatorie
sull'immigrazione, con i Cpt, con le nuove misure del "Pacchetto
sicurezza" (DdL 733) che il governo si appresta a varare il 19 gennaio.
Analogamente, lottare contro la politica omicida e razzista dei vari
governi israeliani non significa dare spazio in alcun modo
all'antisemitismo fascistoide o al revisionismo storico sullo sterminio
nazista. Ciò che abbiamo sotto gli occhi dimostra invece che il
razzismo, da qualsiasi parte venga, porta sempre a politiche di
violenza e di sterminio contro cui occorre lottare e resistere.
G.