Umanità Nova, n.1 dell'11 gennaio 2009, anno 89

La solidarietà è... Preziosa


Che i Cpt siano dei lager in cui si finisce perché lo stato non riconosce a uomini e donne migranti il diritto di vivere in un determinato territorio, lo sappiamo bene. E sappiamo anche che il ruolo di queste strutture concentrazionarie è, sempre più chiaramente, quello di gestire e calmierare le 'eccedenze' di forza lavoro altamente sfruttabile, costituendo un continuo ricatto anche nei confronti di chi, pur in possesso di un permesso di soggiorno, se ne potrebbe vedere negato il rinnovo con i più svariati pretesti. Il legame tra Cpt – oggi chiamati Centri di identificazione ed espulsione – e sfruttamento della manodopera migrante, nonché tra Cpt e controllo dell'esercito lavorativo di riserva del capitale è, dunque, lampante da che vennero creati, con la legge Turco-Napolitano nel 1998. Proprio quel Napolitano, presidente della repubblica "fondata sul lavoro", quindi sullo sfruttamento e, oggi, anche su queste strutture, quello stesso Napolitano che lancia moniti sulla sicurezza sul lavoro e ne piange i morti stabilendone un "limite intollerabile", come se esistesse un limite "tollerabile" alla morte per sfruttamento.
Ma oggi i Cpt stanno anche diventando gli universi concentrazionari di migranti che esercitano il lavoro "più vecchio del mondo" – la prostituzione – quel lavoro che, sebbene non riconosciuto e anzi ritenuto "illegale", soddisfa le voglie sessuali di 9 milioni di maschi in Italia. E' così che, nel giugno scorso, Preziosa è finita dalla strada in questura e da lì al Cpt milanese di via Corelli. Puttana, trans e pure nera: una vera e propria dannata della terra, una reietta delle tante a cui le forze dell'ordine si sentono in diritto di chiedere prestazioni gratuite sulla strada col ricatto, quanto di massacrarla di botte se, nel Cpt, osa rispondere agli insulti razzisti di un poliziotto. Una "disonorata" non ha nulla da difendere, no? E invece Preziosa ha molto da difendere. La propria dignità innanzitutto, che è la dignità di una discendente degli schiavi deportati, cresciuta in una famiglia povera e numerosa in uno dei sobborghi brasiliani e venuta in Italia, come tant* altr* migranti, per sostenere economicamente la famiglia. Esattamente come donne e uomini italiani hanno fatto nei secoli scorsi, dimenticandosene in fretta. Ma Preziosa non dimentica la propria storia né, tanto meno, le botte prese quella notte del 10 luglio scorso, quando sei poliziotti, con l'ispettore che stava a guardare, la massacravano nell'unica stanza senza telecamere del Cpt. Aveva osato rispondere a uno di loro, non aveva subito gli insulti. E la Croce Rossa, connivente e complice, non voleva nemmeno portarla al pronto soccorso. C'è voluta una "vibrante protesta" di tutto il reparto trans, presto sfociata anche all'esterno, perché si decidessero a chiamare, dopo ore, un'ambulanza.
La vicenda doveva venire insabbiata, e il giorno seguente Preziosa venne mandata fuori dal Cpt con un decreto d'espulsione. Costringerla a partire perché non raccontasse e non denunciasse: modalità tipica di chi gestisce i Cpt. E invece Preziosa ha scelto di rimanere e di denunciare. La sua testimonianza sta facendo emergere i volti e quindi i nomi dei responsabili.
Sappiamo bene che responsabili sono innanzitutto coloro che hanno voluto i Cpt, così come coloro che non si battono perché vengano definitivamente chiusi. Sappiamo bene anche che lo Stato non processa se stesso se non per apparenza e scaricando tutto su qualche capro espiatorio di minore importanza. Non c'era bisogno della sentenza sulla Diaz per averne ulteriore conferma.
Ciò non toglie che la scelta di Preziosa vada sostenuta e che vada sostenuto il suo diritto di rimanere in Italia per seguire il processo – sempre ammesso che venga fatto. Ad oggi Preziosa è qui come "clandestina", col rischio di venire presa e processata per direttissima in quanto non ha rispettato il decreto di espulsione né le è stato dato un permesso di soggiorno per "motivi di giustizia". Anche questo è uno dei volti dell'Italia "della sicurezza e dello sfruttamento", contro cui la lotta va condivisa ed estesa.

Comitato Antirazzista Milanese


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