Umanità Nova, n.1 dell'11 gennaio 2009, anno 89

Origgio in ogni luogo di lavoro


La "lotta paga", come dice il famoso adagio. E paga ancora di più se si considera che a Origgio si è consumata positivamente  una battaglia che ha in sé caratteristiche che ne fanno un esempio di lotta globalizzata. Una lotta contro il lavoro e un tipo di struttura del lavoro particolare, che possiamo chiamare, senza ombra di dubbio, criminale, cioè quella delle cooperative, dove i diritti dei lavoratori spesso sono pure utopie. Poiché i lavoratori delle cooperative non sono formalmente dei dipendenti, ma "soci lavoratori", non rispondono ai contratti collettivi di lavoro e sono alla mercé di chiunque: se alzano la testa, nella migliore delle ipotesi, vengono cacciati a calci. Spesso queste sedicenti "organizzazioni del lavoro" sono gestite da ex sindacalisti o comunque supportate dalle centrali sindacali di stato.
La lotta alla Bennet di Origgio è una lotta antirazzista, dove decine di lavoratori cingalesi, albanesi, filippini, africani, marocchini, italiani delle cooperative Leonardo e Giava (appartenenti al consorzio CAL) si sono uniti per combattere contro il lavoro, contro il potere, contro la ghettizzazione categoriale, affermando una forte capacità auto-organizzativa e la capacità di vedere oltre i paraocchi della politica sindacale e politicante.
Una lotta solidale, una lotta che sembrava folle solo a pensarla e che è diventata realtà solo grazie alla lucidità visionaria di attivisti sindacali, compagni di qualche centro sociale, del comitato antirazzista milanese, degli studenti universitari, dei compagni di altre città, che si sono mobilitati per estendere la lotta dove era possibile. Compagne e compagni hanno capito che questa non era solo la lotta di qualche operaio sfruttato, ma che si giocava una partita che andava oltre i confini del luogo di lavoro.
Una lotta per un'altra concezione di sindacato, dove ogni lavoratore, ogni individuo è uguale all'altro e quando si decide lo si fa tutti insieme; dove la delega deve essere solo formale per arrivare ad eliminarne pure la forma.
Da giugno si sono moltiplicate le iniziative di sciopero, blocchi dei cancelli. Ad ottobre Dikson, iscritto allo Slai Cobas, viene fatto oggetto di una provocazione: un capo si finge aggredito e l'operaio viene licenziato pensando così di terrorizzare gli operai.
Ma la paura non abita nei cuori dei lavoratori della Bennet: le iniziative di lotta si intensificano fino ad arrivare allo sciopero del cottimo, in un crescendo fino a venerdì notte e sabato mattina.
Sabato si è piegato il padrone, anzi i padroni, perché la lotta era sì contro la Leonardo e la Giava, ma anche contro la Bennett, che beneficia del lavoro super sfruttato delle cooperative.
Il blocco dei cancelli iniziato venerdì 19 dicembre alle 21.00 era iniziato con l'arrivo di un fax dell'azienda Bennett e della Leonardo che si impegnavano alla riassunzione di Dikson, operaio dello Slai Cobas, licenziato ad ottobre per rappresaglia. Tentativo ingenuo di dividere i lavoratori, sperando così di fermare le lotte e chiudere per le "feste natalizie".
Ma la risposta dei lavoratori è stata compatta e senza defezioni: blocco a oltranza e trattativa vera a 360 gradi.
Alle 5/6 del mattino il picchetto dei lavoratori si è ingrossato a dismisura: sono arrivati lavoratori di altre fabbriche, studenti della Statale e della Bicocca, lavoratori immigrati che avevano sentito parlare di questa LOTTA.
Tutti i cancelli della Bennet sono stati presidiati: la fila di TIR e camion che non potevano entrare si è ingrossata talmente tanto che si stava intasando la statale.
Ai camionisti la situazione è stata spiegata dai lavoratori individuando i veri responsabili, i padroni e sono stati invitati a venire a ristorarsi davanti ai cancelli.
Pochi ci avrebbero scommesso, ma i camionisti hanno mantenuto un atteggiamento solidale e si sono anche incazzati con la direzione che non voleva firmargli l'ordine di arrivo delle merci.
Polizia e carabinieri non sapevano più che pesci prendere: dopo aver cercato per tutta la notte di provare a rompere l'unità dei lavoratori, ma non trovando il terreno disponibile ad uno scontro, hanno praticamente sollevato il culo dei responsabili della Bennet e la Leonardo e li hanno portati prima al comando dei carabinieri e poi in fabbrica, dove è cominciata la trattativa con i lavoratori.
Dikson, tra gli applausi, era al tavolo delle trattative.
Intorno alle 12 i lavoratori e un compagno dello Slai Cobas sono scesi con la bozza di accordo che prevedeva la riassunzione di Dikson, la cacciata di due capi reparto responsabili di aver contribuito a creare un clima intimidatorio e razzista, circa 500 euro di una tantum, mensa, riconoscimento del diritto sindacale. La nota stonata è stata la misera richiesta di aumento salariale su paga oraria: ma si sa il sindacato, anche quando è di base, è sempre sindacato e gli manca quel pizzico di follia che trasforma la società.
Comunque oggi non possiamo che gioire di questo risultato. Certo, sappiamo che i problemi sono appena all'inizio, ma sappiamo anche che l'organizzazione dei padroni è "debole" e i lavoratori uniti e auto-organizzati ce la possono fare. Questa lotta ha visto unirsi generazioni di compagni e compagne, apparentemente diverse, ma che sono riuscite a trovare l'unità e hanno messo in campo una forza inaspettata che ha moltiplicato e favorito la combattività.
Origgio smuoverà sicuramente dinamiche di lotta "nuove" sul fronte delle cooperative e della capacità solidale e dell'autorganizzazione: sta anche a noi compagni che ci abbiamo creduto dargli il valore che si merita.
Sicuramente una riunione cittadina con i lavoratori servirà per approfondire e analizzare la situazione e dare forza alla possibilità di un mondo senza classi e sfruttamento.
Per l'auto-organizzazione, l'autogestione.
Uniti si vince.

Anto


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