Umanità Nova, n.2 del 18 gennaio 2009, anno 89

Incontenibili


L'ultimo scorcio del 2008 si è caratterizzato per uno straordinario afflusso di immigrati giunti via mare sulle coste italiane dell'isola di Lampedusa. Alla fine di dicembre, infatti, erano arrivate circa 1.700 persone in seguito ad alcuni sbarchi particolarmente massicci: una situazione che ha riacceso la polemica politica con il solito corollario di accuse incrociate tra governo e opposizione sulla presunta inefficienza dell'esecutivo nella gestione (leggasi: repressione) del fenomeno migratorio.
Il Partito democratico, per bocca del cosiddetto ministro-ombra Minniti, ha stigmatizzato l'incapacità del governo nell'arginare "l'immigrazione clandestina" denunciando la mancata applicazione degli accordi bilaterali tra Italia e Libia per il pattugliamento delle coste e, quindi, la prevenzione "alla fonte" del flusso di immigrati diretti nel nostro paese. Da parte sua, il vero ministro dell'interno Maroni ha subito annunciato la "soluzione finale" per contrastare gli sbarchi: niente più smistamenti di immigrati da Lampedusa ai veri centri di identificazione italiani ma rimpatri immediati (leggasi: deportazioni) nei paesi d'origine.
Questa linea dura, già adottata in passato dal precedente governo Berlusconi (quando al Viminale sedeva Pisanu) e a suo tempo sanzionata da una sentenza della Corte europea di Strasburgo, è stata poi ritoccata dal ministro Maroni solo pochi giorni fa. A suo dire, i rimpatri saranno sì effettuati direttamente da Lampedusa, ma solo dopo le operazioni di identificazione che richiederebbero poche settimane o due mesi al massimo. Nel frattempo, alla fine di gennaio dovrebbe trovare applicazione definitiva l'accordo con la Libia per il pattugliamento delle coste del paese africano che porrà fine al "fenomeno degli sbarchi entro la stagione turistica e Lampedusa tornerà a essere conosciuta come una delle più belle isole del Mediterraneo e non come la porta d'ingresso dei clandestini in Europa". Tutti contenti? Macché. La reazione degli isolani è stata piuttosto dura: la principale obiezione della gente del posto è che trattenendo più a lungo gli immigrati il sovraffollamento del locale campo di detenzione possa avere delle ripercussioni negative sull'immagine turistica dell'isola siciliana, per non parlare poi dei costi di mantenimento di ogni immigrato detenuto. A farsi interpreti di queste infami preoccupazioni, i soliti noti: la locale esponente leghista (!) Angela Maraventano, il leader di Federalberghi Giandamiano Lombardo e il sindaco Bernardino De Rubeis che, molto chiaramente, ha detto: "Vogliamo stare qui in pace ma senza essere disturbati nel nostro quieto vivere".
Peccato che il quieto vivere sia davvero un lusso per pochi privilegiati in un mondo devastato dalla miseria, dalle guerre e dalla mancanza di futuro. Con buona pace del governo, dell'opposizione e dei padroncini di Lampedusa, l'emigrazione su vasta scala dai paesi del Sud del mondo è un dato oggettivo che non può essere considerato un fenomeno arginabile o temporaneo. Almeno fin quando continueranno a scoppiare conflitti devastanti come, ad esempio, la recente guerra in Palestina.
Com'è possibile sperare che le persone rinuncino a concedersi nuove opportunità di vita tentando il tutto per tutto in una traversata del Canale di Sicilia a bordo di improbabili imbarcazioni piene all'inverosimile? Basti pensare che, negli ultimi mesi, la maggior parte delle persone giunte a Lampedusa provengono dalla Somalia, dal Congo e dalla Nigeria: tutte aree martoriate da conflitti più o meno recenti e da una generale arretratezza economica ormai intollerabile. In questo senso, la volontà del governo di rispedire al mittente questa massa di disperati dimostra un totale disinteresse per le sorti di chi sarà costretto a tornare in paesi in cui si rischia quotidianamente di morire. Senza dimenticare che, il più delle volte, gli immigrati vengono "rimpatriati" – a prescindere dalla loro nazionalità – in Libia o in Egitto dove il trattamento riservato ai "clandestini" nelle locali galere è a dir poco spietato proprio in virtù dei famosi accordi bilaterali coi paesi occidentali.
Mentre politici e padroni discutono e speculano sulla pelle dei disgraziati, gli immigrati continuano a esprimere un livello di conflitto tanto disperato quanto vitale. Proprio a dicembre, diversi centri di detenzione italiani sono stati teatro di rivolte e proteste significative. A metà dicembre, gli immigrati reclusi nel centro di identificazione ed espulsione di Trapani hanno indetto uno sciopero della fame per protestare contro l'invivibilità della struttura. A Cassibile (Siracusa), durante un violento tentativo di fuga di massa dal centro di trattenimento, quattro immigrati sarebbero riusciti a scappare anche se il bilancio di feriti e arrestati è stato pesante. A Gradisca d'Isonzo (Gorizia) otto immigrati sono riusciti a fuggire dalla sezione del centro di identificazione e espulsione: tre fughe in due settimane. A Elmas (Cagliari), una quarantina di immigrati ha dato del filo da torcere alle forze dell'ordine che sorvegliano il centro di detenzione con una rivolta in cui sono rimasti contusi diversi agenti e molte suppellettili della struttura sono andate distrutte. A Bari, la notte di Natale, dieci immigrati sono riusciti a scappare dopo una sommossa in cui sono rimasti lievemente feriti alcuni poliziotti e militari del Battaglione San Marco che presidiano il centro di identificazione ed espulsione.
Questi sono solo gli ultimi episodi della quotidiana resistenza degli oppressi alle ingiustizie di un sistema fondato sull'esclusione sociale e sul razzismo istituzionalizzato di una Fortezza Europa alle cui porte sono morti, nell'anno appena concluso, 1502 immigrati che tentavano – parafrasando il sindaco di Lampedusa – di conquistarsi l'universale diritto al "quieto vivere".

TAZ
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